Jokyo, ovvero “situazione esistente”, è il secondo spettacolo site specific della rassegna Contesto, ed è stato creato dal maestro di butoh Yoshito Ohno insieme a Febo Del Zozzo, direttore della compagnia Laminarie e del progetto stesso (10 marzo 2017 al DOM, la Cupola del Pilastro, Bologna). Il giorno prima dello spettacolo c’è stata l’occasione di conoscere meglio il butoh e Yoshito stesso attraverso l’incontro Le scene del butoh: corpi, memorie, archivi, promossa dall’Archivio Kazuo Ohno del Dipartimento delle Arti. L’iniziativa, coordinata da Matteo Casari ed Elena Cervellati, si è tenuta nel Salone Marescotti in Via Barberia e ha visto la partecipazione di esperti di danza e della cultura asiatica come Eugenia Casini Ropa, Giovanni Azzaroni e Samantha Marenzi. Kazuo Ohno e il butoh Il butoh è un tipo di danza giapponese nato alla fine degli anni Cinquanta da Hijikhata Tatsumi e Kazuo Ohno, dotato di una forte componente teatrale ed espressiva e non rigidamente codificato dal punto di vista tecnico, caratterizzato da un’ampia varietà di stili. Yoshito ci racconta che il padre, dopo aver combattuto in guerra per nove anni,, iniziò a danzare per creare un mondo diverso da quello che aveva visto in quei tempi bui, un mondo dove si potesse essere felici. «Per Kazuo – dice il Yoshito – il butoh significava tenerci alla vita, darle importanza. Per me il butoh è come una preghiera». Samantha Marenzi sottolinea nel suo intervento la compenetrazione fra vita e arte nella figura di Kazuo: «Con Kazuo non riusciamo a distinguere la vita dallo spettacolo». Anche vedendo e ascoltando Yoshito, archivio vivente del padre in un certo senso, si fatica a distinguere le due componenti: parla sempre da in piedi, eretto, il suo volto e i suoi movimenti sono carichi di un’energia tipica di un danzatore che deve entrare in scena, muove le braccia e cambia il tono della voce, sta facendo una performance non programmata, e nello stesso tempo sta rispondendo alle domande. Eugenia Casini Ropa definisce il butoh «un modo intenso e dilatato di vivere l’esperienza umana, in unione con l’universo e tutte le sue forme», il cui scopo è «svelare il mistero del nostro esserci nel mondo». [caption id="attachment_1041" align="alignnone" width="850"] ph Mario Carlini[/caption] Esito della residenza: Jokyo Al DOM si assiste quindi all’incontro fra due mondi: quello di Yoshito Ohno e quello di Febo Del Zozzo. Oltre a loro, registi dello spettacolo, ci sono otto non professionisti, i partecipanti alla residenza artistica con il maestro giapponese. Mentre noi spettatori ci posizioniamo a sedere, in sala è buio e sul fondo della scena intravediamo una riga di persone, ondeggianti, con delle piccole pile puntate verso di noi. Sentiamo un rumore di sottofondo, ma non è musica, è una polifonia di respiri regolari o affannosi, di rantoli, che si fa sempre più forte. La riga di corpi vestiti di nero avanza, compatta, e poi i performer, a canone, cadono sulla schiena e rimangono a terra, immobili. La tessitura fonica dei loro agonizzanti respiri rimanda a un grottesco concerto. Poi si alzano, si mettono in fila, camminano e battono i piedi a un ritmo marcato, ripetitivo, cadono nuovamente, continuano a battere i piedi a terra, più forte, quel ritmo diventa assordante, estenuante nella sua monotonia, non si vede l’ora che finisca. Da ognuno dei quattro lati che concettualmente delimitano la scena, uno dopo l’altro cadono dall’alto una manciata di aste di legno, che sbattono fragorosamente sul pavimento, a pochi decimetri dagli spettatori. Questa parte del pezzo, come si legge nel foglio di presentazione, si chiama Prima zona, rappresenta il contesto vissuto da Febo ed è determinata dalle parole oppressione, chiusura, soffocamento, materia, ritmo, macro-organismo, strumenti scenici. A essa segue Incontro, costituito dalla presenza in scena dei due artisti. Le aste cadute a terra sono state alzate e formano un contenitore semitrasparente al palcoscenico, dal sapore orientale. Più che di fronte a un dialogo, come scritto nella presentazione, sembra di assistere al contrasto fra due modi di muoversi e quindi a due diverse modalità di relazionarsi al mondo e all’arte. Febo, ai piedi un paio di stivali, cammina, barcolla e cade, ripetutamente, rumorosamente, in modo a volte spettacolare. Yoshito invece, scalzo, si sposta di soppiatto, in silenzio, con discrezione e sicurezza. Entrambi sono vestiti di nero. L’artista italiano porge al maestro giapponese la girandola che l’altro teneva in mano alla sua entrata in scena. È il loro unico contatto fisico. La terza parte, Seconda zona, esplora invece il contesto di Yoshito ed è caratterizzata dalle parole immagini, interiorità, lentezza, trasformazione, fiore. È strutturata in due momenti: nel primo, di gruppo, gli interpreti si dispongono liberamente nello spazio e improvvisano sulla musica lenta, rilassante. Tracciano itinerari nello spazio, testano il loro equilibrio, sembrano cercare con lo sguardo qualcosa che va oltre i loro corpi. Estraggono dalle tasche una matassa di ovatta e cercano di allungarla, di modellarla, anche se essa fa resistenza e non sembra semplice plasmarla. Nel secondo momento, infine, rientra in scena Yoshito, con trucco e kimono bianchi, in testa un paio di orecchie da coniglio, altamente stranianti. Esegue un assolo dove hanno grande rilievo le espressioni facciali, le braccia e soprattutto le mani, su una canzone giapponese dolce e lenta. [caption id="attachment_1042" align="alignnone" width="850"] ph Mario Carlini[/caption] Cosa rimane di questo spettacolo? L’inquietudine e l’oppressione veicolate dal gruppo iniziale, le dita parlanti di Yoshito o la varietà della partitura di suoni e rumori che abbiamo sentito? Forse resta soprattutto la consapevolezza che la danza, come ha detto Samantha Marenzi alla conferenza, non è solo il momento dell’esibizione, ma una condizione del corpo e della vita.
Marta Buggio
L’Archivio Kazuo Ohno consiglia: Cervellati, Elena; Casini Ropa, Eugenia (a cura di), Ono, Kazuo; Ono, Yoshito, Nutrimento dell’anima. La danza buto. Aforismi e insegnamenti dei maestri, Macerata, Ephemeria, 2015.
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.