Bisognerebbe organizzarne più spesso di giornate di studio come quella del primo marzo al Lac di Lugano. In occasione del debutto del La dodicesima notte, regia di Giovanni Ortoleva, si è riunita una parte della nuova generazione di registi e drammaturghi, anche se di generazione nessuno vuole parlare (pur essendoci moltissimi tratti in comune). A parte presenze riconducibili a esperienze precedenti (Federico Bellini, Chiara Lagani…) sono intervenuti Emanuele Aldrovandi, Giacomo Bisordi, Stefano Cordella, Angela Dematté, Francesca Garolla, Valentina Grignoli, Leonardo Lidi, Leonardo Manzan, Giovanni Ortoleva, Federica Rosellini, Simon Waldvogel. Primo promotore di iniziative del genere, sul solco del magistero di Luca Ronconi, è il benemerito Centro Teatrale Santacristina di Roberta Carlotto, dove d’estate, ormai da qualche anno, viene fatto il punto della situazione sulle necessità della regia di oggi, le sue caratteristiche, le sue qualità. L’incontro di Lugano, promosso dal direttore Carmelo Rifici, coordinato da Maddalena Giovannelli e Alessandro Iachino, si è svolto di fronte agli studenti delle Scuola di Teatro Luca Ronconi del Piccolo Teatro e della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi (Milano), dell’Università della Svizzera italiana (Lugano) e dell’Accademia Dimitri (Verscio): da una parte registi e drammaturghi nati più o meno alla fine degli anni Ottanta o all’inizio degli anni Novanta e dall’altra gli studenti figli del nuovo millennio.
L’incontro si è rivelato di grande rilievo per saggiare modalità comunicative, posizionamenti, desideri. Sarebbe troppo lungo mettere in fila le questioni emerse e forse non sarebbe nemmeno il modo giusto per restituire il succo di un incontro che non ha espresso precise indicazioni di ricerca o approfondite visioni artistiche. Perché più che per interventi strutturati il pomeriggio è trascorso in modo fluido con il microfono che passava di mano in mano e in piccoli botta e risposta. Vale la pena soffermarsi per ora su prime impressioni. Ciò che è emerso ha fatto venir voglia da un lato di porre domande, questioni, obiezioni, per il momento da rimandare alla prossima occasione, dall’altra di andare a conoscere meglio gli spettacoli che si stanno realizzando. In parole povere, quanto è grosso l’iceberg che si nasconde sotto la punta più visibile?
Tutti hanno parlato dell’importanza della regia e della drammaturgia, ma sempre col tentare di avvicinare le funzioni e ridurre lo scarto gerarchico. Il contributo degli attori è ritenuto fondamentale nella creazione e nell’apporto di immaginario, però senza dubbio è il regista non solo a tenere le fila di tutto il processo, ma anche il responsabile finale dello spettacolo, che è prima di tutto un prodotto, cioè qualcosa che deve essere “venduto”, perciò comprensibile a un pubblico ampio. Naturalmente si sono espresse una serie di sfumature, ma di fondo è molto evidente la consapevolezza di far parte di un sistema produttivo che ha bisogno di espandersi con energie nuove, in un momento di grandi incertezze e di ampli vuoti. La linearità del sillogismo suona brutale, forse per un eccesso di realismo. Ha il merito di non camuffarsi dietro false retoriche, anche se naturalmente solleva molteplici interrogativi e contrarietà.
Forse però, su questo punto, non è a questi giovani registi chiara del tutto l’enorme occasione che hanno in mano e ha fatto molto bene a ricordarlo il direttore Carmelo Rifici: «Uno spazio così ampio a giovani registi era impensabile venti anni fa» (per questo, mi viene da aggiungere, urge un discorso sui linguaggi, sul repertorio, sui contenuti…). Essere nel posto giusto al momento giusto dà moltissima forza (non è un caso che i toni a volte sfiorino una certa presunzione…), tanto da far dire ad alcuni che il teatro risulta alla fine meritocratico. Ma che cos’è la meritocrazia? Secondo quali parametri viene stabilita? Che rapporto c’è tra meritocrazia, adattabilità e integrazione? Colpisce che nei discorsi della gran parte degli intervenuti la storia del teatro dei gruppi degli ultimi venti-trent’anni non venga mai citata o presa a riferimento, come se ci fosse una cesura più o meno consapevole. Dunque tutto ciò che ruotava attorno alle questioni di orizzontalità e di scena ibrida sono risuonate in maniera un po’ ovattata. La nuova generazione, che vuole essere singolare e non di gruppo, inizia da un’altra parte, è questa la novità più saliente degli ultimi anni che vale la pena comprendere al meglio e su cui è importante tornare a discutere.
L'autore
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Critico teatrale, è tra i fondatori di Altre Velocità e collabora con la rivista Gli Asini. Dal 2004 conduce una rubrica radiofonica di attualità teatrale su Rete Toscana Classica. Ha curato svariate pubblicazioni nell'ambito del teatro ed è stato codirettore del Festival di Santarcangelo per il triennio 2012-2014 e presidente dell'Associazione Teatrale Pistoiese.