Questo articolo è esito di due laboratori di scrittura critica a cura di Altre Velocità, organizzati all’Università di Bologna e al Liceo scientifico Fermi di Bologna.
Dopo il ballo cosa resta?
Mina, De Gregori e i Watussi. Palloncini, coriandoli, spumante e conto alla rovescia. Sembra Capodanno e invece è il nuovo spettacolo di Emma Dante.
Riprendendo le fila di Ballarini, un precedente spettacolo della regista, dal 2 al 5 marzo è andato in scena all’Arena del Sole di Bologna il Tango delle capinere,lavoro che condensa in un’ora le tappe universali di due innamorati. Nel buio sentiamo un carillon, filo conduttore della vita della coppia e legame con la loro passione per il ballo. Luci fioche ci fanno intravedere due bauli in scena. Un’anziana seduta su un baule collega una spina accendendo così il palco e l’amore dei due personaggi. Raggiunta dal suo lui iniziano a ballare e continueranno fino alla fine dello spettacolo. Delle maschere ne invecchiano i volti solo successivamente se ne libereranno in un processo di svelamento che tuttavia mai li connota come individui a partire dal nome. In scena non si chiamano mai per nome: “loro” siamo “noi” oppure lei e lui, dopo tanti anni, si amalgamano tanto da perdersi l’una dentro l’altro?
Sono i loro corpi a parlare più delle parole, poche e in siciliano. E tra un passo di danza e l’altro, tra gesti quotidiani, tic e piccole nevrosi, si passa dall’età adulta al fidanzamento, dal parto alla genitorialità, un viaggio nel tempo che si compie man mano che gli attori si spogliano dei tanti vestiti che indossano e degli anni che hanno condiviso: via il pigiama, via la sottoveste, rimangono in costume da bagno e con qualche manciata d’anni e il ricordo di un innamoramento adolescenziale.
I gesti e i balli sfrenati compongono la partitura del tango dei due innamorati ma dopo un ballo cosa resta? Resta la capinera, uccello che quando canta predice la morte.
Preponderante è la gestualità, linguaggio con cui la regista porta avanti questa narrazione. Ciò che risulta agli occhi dello spettatore è una partitura di gesti e suoni che scandiscono lo spazio e il tempo scenico. Il corpo e l’energia degli attori si modificano seguendo l’età dei personaggi che scorre a ritroso: se all’inizio l’anzianità è suggerita da movimenti legnosi e lenti, la giovinezza è caratterizzata da gesti fluidi e vivaci. È nel ballo che si riflette questa profonda differenza, prima accennato poi sfrenato.
Il ripetersi di determinate azioni genera una comicità quasi infantile che nel pubblico adulto provoca un sorriso malinconico. Da un lato la storia nella sua universalità ci parla: le scelte registiche nella loro essenzialità vengono accolte dallo spettatore in maniera soggettiva secondo la propria sensibilità e vissuto.
Uno spettacolo il cui fulcro è un amore che si rinnova lungo una vita tra comicità e sofferenza, tra incanto e disincanto, tra conquista e difficoltà. Dall’altro convive un sentimento quasi opposto: è difficile credere a storia d’amore così pura e semplice, ci pone ad un passo di distanza: come di fronte ad un bel quadro il racconto interpretato dai personaggi appare tenero e riconoscibile, eppure bidimensionale. È possibile riconoscere l’immaginario di una narrazione dominante nello spettacolo. Per l’appunto, la stereotipizzazione che mira all’universalità della vita senza lasciarsi increspare da uno spiraglio di verità umana. In tal senso si rimane superficialmente coinvolti per via della costruzione a tratti semplicistica dei personaggi che raffigurano un’italianità media. La caricatura della quotidianità lascia perplessi rispetto alla complessità del reale e l’assenza di una tensione fino a un punto di rottura, nell’accumularsi di oggetti e ricordi, rimane uno spettro che accompagna la chiusura del sipario. Che sia questa sensazione a condurci ad una banalità voluta in quanto verosimile?
De Mase Letizia, Cacciabue Sara, Chiarion Giulia, Ringozzi Irene, Focaia Daniele, Lupo Francesca, Marino Ester, Zanasi Rebecca, Di Bitonto Annarita, Panico Chiara, Valente Tosca Annamaria, Mioli Laura, Forte Federica, Simenone Martina, coordinamento di Martina Del Prete
Il ballo dell’amore che perdura
Due bauli e due attori. Una anziana coppia con abitudini, tic, acciacchi, affanni, intimità e ricordi condivisi. Cumuli di eventi stratificati, su due corpi appesantiti dagli anni e dalla vecchiaia, e di oggetti, custoditi nel segreto di vecchi bauli, scalfiti in superficie dal tempo. La storia dei due protagonisti si riavvolge a ritroso sulle note di un carillon e a partire da un bacio coraggioso, raggiunto a fatica attraverso movimenti legnosi e presto abortito da colpi di tosse e asma. Ma cos’è questo slancio di amore, che ha tratti grotteschi, tra infermi? Non è la fiamma dell’innamoramento, non è la passione del colpo di fulmine, eppure è amore: quello più autentico perché realistico, quello più solido perché maturo, rinsaldato da una vita di gesti ripetuti, di azioni ricorrenti, di esperienze di coppia. È l’amore della lunga durata, quello che ha più da raccontare e che scoppietta a ritmo di anniversari sul sottofondo sonoro di petardi, trombette, esplosione di rumori quotidiani. È anche, però, lo spazio dell’intimità silenziosa, dove non c’è bisogno neppure di chiamarsi per nome e dove entriamo come voyeurs. La grande sfida sarà per noi quella di decifrare il linguaggio corporeo più che verbale, mentre sotto un cielo stellato e in una luce soffusa si illumina la vita passata della coppia. Svestendosi strato dopo strato, e svuotando un po’ alla volta i bauli dei ricordi, i due anziani ballano la loro storia d’amore coniugale. Ogni indumento rimosso li avvicina sempre più alla giovinezza: la gestualità e le movenze diventano progressivamente più rapide, fluide e ritmiche e, per salti temporali, si arriva finalmente al primo incontro, al matrimonio, al tempo delle attrazioni, dei tuffi nell’ignoto, dei corpi ancora sconosciuti, dei sogni e dei grandi ideali. Mentre musica e canzoni liberano le emozioni imprigionate nei bauli, gli oggetti lì custoditi si spargono sul palco, che viene alla fine lasciato in disordine, disseminato dai souvenir che la vita ha donato ai due e dai costumi indossati nelle numerose e più variegate vicende della loro esistenza. Quella confusione è allegoria del disordine di ogni vita mortale, affidata sì al caso ma tenuta insieme dalla possibilità di raccontare le storie condivise, uniche e al tempo stesso universali: quando i bauli, svuotati del tutto, fagociteranno come tombe i due corpi separati dalla morte, gli oggetti sopravvissuti sul palco deserto parleranno ad altri di presenze passate. Con potente maestria, e grazie alla sapiente recitazione di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, Emma Dante dedica ai suoi genitori uno spettacolo che, al di là dei richiami autobiografici alla sua terra, parla a tutti della vita condivisa, ovvero di un amore scandito a ritmo di due quarti, che ha nel tango la sua chiave di violino. Si svela così il senso del titolo: come le capinere davanti a due innamorati segnano l’inizio dell’amore ma davanti al letto di morte annunciano la dipartita estrema, così il tango delle capinere è la danza melodiosa e malinconica di due amanti che si accompagnano verso la fine.
a cura di Classe 3I, Liceo Enrico Fermi, Bologna, coordinamento prof.ssa Cristina Girardi
L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.