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Un diario per l’estate #3. Sale rosse, trame poetiche, sguardi bambini

di Altre Velocità

Appunti, pensieri non ancora del tutto formalizzati, suggestioni, ipotesi di discussione a partire dagli spettacoli visti. Una forma aperta, non saggistica, un racconto per frammenti ospitato una volta alla settimana, una scrittura quasi in presa diretta per provare a testimoniare la complessità e diversità delle proposte teatrali del presente.

Dentro un carillon di feltro bordeaux. Redrum di gruppo nanou

La Sala Corelli del Teatro Alighieri di Ravenna come la grande hall dell’Overlook Hotel del film Shining, col rosso brillante dei rivestimenti che si alterna al rosso scuro, deossigenato del sangue. Redrum di gruppo nanou è l’evocazione di un’atmosfera; non una rappresentazione della discesa nella follia di Jack Torrance, bensì un invito a vivere lo spazio eterotopico teatrale per quello che è: un limbo tra due dimensioni opposte e sconosciute, quella reale e quella onirica. Corpi che danzano in uno spazio a fisarmonica e preannunciano possibili metamorfosi, in un luogo di solito delimitato e riconosciuto dallo spettatore come ordinario e ordinato. Con Redrum invece, varcando l’ingresso dello spazio scenico, lo sguardo si libera tra immagini evocative e proiezioni del proprio corpo e di quello altrui in altri tempi e dimensioni. Qui siamo invitati a dimenticarci delle regole e dei limiti di movimenti imposti al corpo e allo sguardo.

Con Redrum, allestito lo scorso maggio in occasione del Ravenna Festival, gruppo nanou celebra i vent’anni di attività e il primo capitolo del progetto pluriennale Overlook Hotel, proseguendo la sua ricerca spaziale sulle installazioni coreografiche che aveva già avviato negli anni precedenti con Paradiso. In Redrum non c’è nulla di inquietante, non ci sono i personaggi di Stephen King e Kubrick. A evocare l’immaginario cinematografico e le atmosfere sinistre di Shining ci sono però il tappeto musicale curato da Bruno Dorella, che fonde rock strumentale ed elettronica tattile, e i fari scuri e ovattati – come se fossimo all’interno di un carillon di feltro bordeaux – che ampliano un’atmosfera onirica dove personaggi circensi si muovono solitari e sinuosi, proiettano le loro ombre dorate sulle pareti, si alternano e si susseguono nelle loro incursioni e cambi di abbigliamento.

Il teatro Alighieri di Ravenna sembra quasi il set di un film dove siamo tutti comparse. Per lo spettatore, libero di muoversi ovunque, alzarsi e cambiare la propria postazione di osservazione significa diventare per qualche secondo parte della performance. La luce taglia anche il nostro viso, e forse inconsapevolmente ci disponiamo statuari intorno ai danzatori immaginando che qualcuno ci stia guardando. Non siamo invitati a interagire con i performer, ma possiamo sentirci parte dello spettacolo, essendo coinvolti con tutti i sensi. Occupare lo stesso spazio implica scambiarsi i ruoli?

Il bar della sala Corelli è aperto, e quando vogliamo prendere una pausa dall’osservazione, possiamo farci un bicchiere in silenzio. Ma anche compiendo questo gesto, ci sentiamo comparse di un film. Redrum è un’esperienza totalizzante, sensuale e misteriosa, eppure non senza un elemento di calore e bellezza. Tutto avviene in slow motion, senza alcuna cronologia né drammaturgia. Lo spettacolo esplora il confine tra muto e sonoro, reale e immaginario, e sembra in qualche modo di assistere a una rappresentazione nella quale i rapporti tra i personaggi sono sì espressi attraverso la prossemica e le espressioni del volto, ma sono anche immaginati e ricamati da chi guarda. In fondo ci sentiamo un po’ nella grande sala dell’Overlook Hotel, in una stanza che prende vita e che evoca toni cupi, atmosfere avvolgenti, personaggi noir. Tutto ciò che è inanimato prende vita, ed è forse questo deragliamento della sfera spazio-temporale l’elemento più interessante e suggestivo della ricerca spaziale di gruppo nanou.

Alex Giuzio, Giulia Penta

ph Zani

In stato di particolare necessità. Costellazione Vicinelli di Gruppo RMN

A Forever Young 2024, negli spazi della Corte Ospitale di Rubiera, tra i cinque spettacoli finalisti in gara nella due giorni di luglio (15 e 16), si è visto un lavoro su Patrizia Vicinelli, figura incandescente e difficile da collocare all’interno del panorama italiano. In scena la sua produzione letteraria diventa una trama che una commissione consultiva, schierata in proscenio e mimata dai quattro interpreti, è chiamata a calpestare e inseguire per stabilire l’assegnazione di un vitalizio, quello previsto dalla Legge Bacchelli, a favore proprio della poetessa e attrice bolognese. La legge è del 1985 ma sul palco gli eventi sono calati nel giugno del 1990. La Vicinelli morirà l’anno successivo.

Alcuni testi performati dalla voce registrata della Vicinelli, spezzati nelle parole e dilatati instancabilmente nelle vocali, e delle tracce audio fungono da cornice e si intervallano alle valutazioni dei componenti della commissione, quasi sempre in attrito tra loro. I pareri di un esperto-tecnico, conoscitore dell’opera della poetessa, e alcune diapositive vocali numerate – frammenti della Vicinelli mandati giù a memoria dalla commissione – farciscono la procedura selettiva per la concessione del beneficio economico. A chi appartiene l’opera della Vicinelli? Questo interrogativo sembra suggerirci, in fondo, tutto lo spettacolo, presentato in quest’occasione in forma di studio della durata di trenta minuti dal Gruppo RMN (Leonardo Bianconi, Luisa Borini, Leo Merati, Giulia Quadrelli, Chiara Sarcona, Francesco Tozzi), che pure in passato aveva affrontato le pagine di un altro autore, ancora una volta emiliano. In alcuni momenti, quando il lavoro si discosta dal corpus letterario o mette da parte gli elementi biografici dell’autrice, il teatro sembra ridisegnare e far affiorare tutte le storture o i paradossi che si innescano quando un sistema – un manipolo di burocrati, amministratori o funzionari – tenta di stabilire, a colpi di carta straccia e requisiti, che cosa possa essere arte oggi e dove risieda. La scena quale discorso altro e aggiuntivo sulla creazione può portare avanti, accostandolo al peso delle parole di questa poetessa?
Damiano Pellegrino

Il gruppo RMN

I teatri del mondo a Porto Sant’Elpidio. Appunti da una conversazione

Nella “regione dei Teatri”, le Marche, territorio con un’altissima densità teatrale rispetto alla popolazione e al numero di Comuni, a Porto Sant’Elpidio nasceva 35 anni fa il primo Festival in Italia dedicato alle nuove generazioni. Porto Sant’Elpidio è un comune di 25 mila abitanti dove, fino a qualche anno fa, c’era un dipendente comunale che faceva l’animatore teatrale del Comune e andava nelle scuole a incontrare le classi, a raccontare storie grazie allo strumento teatrale. Il suo nome è Ermanno Pacini.
In questo contesto fertile e sensibile tanto all’arte teatrale quanto all’infanzia (come la Fano di Tonucci, anche Porto Sant’Elpidio è “città dei bambini e delle bambine”) il Comune decide di dare alla luce I Teatri del mondo, fiore all’occhiello riconosciuto da tutte le giunte che si sono alternate a prescindere da colori e visioni politiche. Un unicum nel panorama festivaliero che pare ci riporti a un pezzo di mondo che forse non esiste più, ma che pure che resiste.
Oberdan Cesanelli, Stefano Leva e Lorenzo Palmieri, i tre direttori artistici, prima di condurci alla Pineta, luogo degli spettacoli del pomeriggio, ci portano da “Sette Mari” dove, tra un bicchiere di vino e una spaghettata alle vongole abbiamo chiacchierato del Festival che dirigono dal 2017. Ogni Festival tra i suoi desideri ha quello di creare un ambiente, un luogo da attraversare con delle domande. Che comunità vuole creare I Teatri del mondo? Stiamo parlando di un festival che propone oggi una trentina di spettacoli, dal 13 al 20 luglio 2024 (qui il programma). «Una comunità consapevole», afferma Oberdan con nitidezza, «un lavoro capillare non finalizzato al solo evento festivaliero ma che dura tutto l’anno a partire dal dialogo con le scuole, avamposto fondamentale per creare un terreno anche per il Festival. L’idea è trasmettere i valori legati alla cooperazione, allo stare insieme, al rispetto dall’Altro, al raggiungimento di un obiettivo comune e a questo ci si può arrivare anche guardando uno spettacolo e, dal canto nostro, cercando di programmare spettacoli che possano facilitare l’emersione di logiche cooperative».
Per Lorenzo una delle vocazioni principali del Festival «dev’essere quella di non allontanare nessuno dal teatro e di trattare l’infanzia con rispetto, parlando a bambini e bambine, ragazzi e ragazze da cittadini di serie A, come persone che abitano il nostro stesso mondo con pari diritti e doveri».
Siamo arrivati al caffè parlando dei rischi che le giovani compagnie faticano a prendersi, di quali domande debba porsi il settore del Teatro Ragazzi per avvicinare nuovo pubblico, dell’età dei giovani spettatori e spettatrici che si è abbassata drasticamente, come se dagli 8 anni in avanti il teatro non parlasse più una lingua così tanto affascinante. In Pineta iniziano gli spettacoli, sono seduta vicino a una famiglia di cinesi, il bambino più piccolo ride di gusto, la madre lo zittisce.
Agnese Doria

Gli spettacoli
Redrum, coreografie di Marco Valerio Amico Rhuena Bracci; musiche originali di Bruno Dorella; con Carolina Amoretti, Marina Bertoni, Rhuena Bracci,Andrea Dionisi, Agnese Gabrielli, Marco Maretti, scene e luci Marco Valerio Amico; costumi Rhuena Bracci; produzione Nanou Associazione Culturale, Ravenna Festival, Operaestate Festival Veneto, Hangartfest.

Costellazione Vicinelli, di Gruppo RMN Leonardo Bianconi, Luisa Borini, Leo Merati, Giulia Quadrelli, Chiara Sarcona, Francesco Tozzi, consulenza letteraria di Allison Grimaldi-Donahue

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