altrevelocita-logo-nero

Un altro giro di giostra. "Emone" di Raffaele Di Florio

di Altre Velocità

Emone. La traggedia de Antigone seconno lo conto de lo innamorato è il regista Raffaele Di Florio, diplomatosi in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e artefice della regia e delle scene in questo progetto. E proprio l’impianto scenico, caratterizzato da una massa mastodontica di tubi innocenti e pellicole trasparenti, inghiotte lo spettatore e domina l’intero spazio, destinando l’avvicendarsi delle azioni a quell’unica gabbia di ferro. Se nella piazza del Municipio di Ferrara quella corsa di cavalli imbizzarriti e colorati si trasforma in un gioco a tempo per i più piccoli, o se sul grande schermo quella struttura fatta di luminarie avvolge solitamente la storia di due innamorati al galoppo, in questo lavoro teatrale quell’ammasso meccanico e gli animali tanto cari ai cavalieri e ai principi presenziano delle vicende grigie, oscure e funeste. Attorno a due cavalli inanimati e quasi congelati dal tempo, l’uno è il cadavere di Polinice che Antigone invano tenta di sotterrare e l’altro è simile a un balocco per l’infanzia, scorre la partitura di Antonio Piccolo in un dialetto napoletano, forse un po’ nebuloso, imprecisato e mescolato data la polifonia disparata di più napoletani che lo compongono e ben poco musicale, violento e disfatto nelle bocche degli interpreti. Il dialetto diventa uno stornello fascinoso o un match senza regole nelle parole della Guardia (Gino De Luca) tra brusche rincorse, rozzi affanni, risolini e deliri personali mentre negli altri attori (Paolo Cresta, Valentina Gaudini, Anna Mallamaci, Marcello Manzella) risulta viscoso, sofisticato e poco mobile quasi si trattasse di un parlato ad uno stato ancora embrionale e poco padroneggiato. Tutti insieme riescono a dominare alla perfezione l’enorme massa ferrosa sulla scena: conoscono a memoria tutti i suoi antri, imprimono la loro forza per farla muovere, fanno scaturire le singole battute da un punto imprecisato del congegno, vivono quello spazio artificiale e meccanico divenuto la loro terra. I personaggi esistono perché esiste quel dispositivo. A dare il via alla corsa, ad animare Ismene, Antigone, Creonte, la Guardia ed Emone e a congelare questi personaggi nel tempo della storia riducendoli in chiusura a dei fantocci di una giostra esausta è proprio la scelta di Piccolo: una voce registrata e sfalsata, ricreando un’eco di voci rotte, all’inizio e alla fine dello spettacolo suggerisce che lo spettatore stia assistendo a una sola e ben precisa porzione della storia, quella scelta dall’autore, il racconto di Emone. La voce si domanda la sorte degli altri cunti, quelli che hanno come protagonisti gli altri personaggi del mondo greco. Sono stati scritti? Sono stati cantati? A noi è arrivata la voce di Sofocle con la sua Antigone. Allora l’accendersi dei motori del meccanismo a tempo coincide con la scrittura e l’immaginazione, che non badano più alla figura di Antigone, ma approfondiscono la psicosi e le scelte di un altro personaggio del mito, della storia. La giostra compie un giro completo. Poi compie altre giri. Ruota. Compie sempre dei giri in senso antiorario. Mai compie un giro nella direzione contraria. La macchina non torna mai indietro: la narrazione non volge lo sguardo all’indietro e la corsa, o meglio la tragedia, corre via verso la fine. Mano a mano che la disfatta di Emone si genera la giostra perde i teli trasparenti esterni su cui è imbastita e il ventre di questo ammasso informe viene scoperto e con esso il resto della storia. Emone, figlio del re di Tebe Creonte e promesso ad Antigone, escogita uno stratagemma per spegnere la disputa tra due posizioni, due leggi, quella scritta e quella divina, attorno al cadavere insepolto di Polinice. Per riportare la pace a Tebe, Emone chiede al padre di permettere a tutti i cittadini di recarsi vicino al corpo e lanciare al vento un mucchio di terra. Antigone così sarà appagata e verrà liberata e Creonte si mostrerà magnanimo e risolutore ponendo fine a tale questione. La macchina a orologeria sta per frenare il suo movimento. Emone viene sorpreso accanto al cadavere di Polinice con un mucchio di terra tra le mani, contravvenendo al volere del padre. Poi il disvelamento del suicidio di Antigone: un cappotto rosso svetta alto e sospeso. Infine Emone, che per la disperazione, si ferisce a morte. Le ultime oscillazioni della giostra, ormai sfasciata e sbrindellata, congelano quasi in un tempo azzerato i corpi di Ismene, Creonte e della Guardia, ridotti a insulse marionette di un giocattolo, e accompagnano l’epilogo, quasi un resoconto, di Emone, adesso sul proscenio e posto accanto a una teca contenente proprio una piccola giostra. Frequentemente un sentimento di malinconia e di noia, mescolato all’inquietudine, all’incanto e al prodigio dell’esistenza, si associa alla contemplazione di questi marchingegni a carica e a tempo posti tra gli arredi di un’abitazione ammuffita. Fine della corsa.

Damiano Pellegrino

]]>

L'autore

Condividi questo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

articoli recenti

questo articolo è di

Iscriviti alla nostra newsletter

Inviamo una mail al mese con una selezione di contenuti editoriali sul mondo del teatro, curati da Altre Velocità.