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Esterno, tarda serata.
Sedute al tavolino di “Au Cadran Voltaire”1, dopo lo spettacolo This is how you will disappear di Gisèle Vienne, in scena al Théâtre national de la Colline di Parigi dal 6 al 15 gennaio 2023. Ordinano due bicchieri di Chardonnay, una caraffa d’acqua e un piatto vegetariano à partager2. Dopo aver chiacchierato del più e del meno, iniziano una conversazione sullo spettacolo appena visto…
Marta: Secondo me lo spettacolo parlava della violenza maschile.
Ilaria: Credo anche io, ma c’è dell’altro. Volendo restare su questa linea, mi è sembrato si parlasse del Maschile nel senso più universale del termine, ovvero di quella forza che agisce nel mondo con violenza e autorità. Un concetto che ho visto incarnato in scena dalla figura vestita di bianco, con la felpa che diceva “FRANCE”, a mio parere una rappresentazione dello Stato-Nazione. Dalle sue azioni e per come si sviluppa l’arco narrativo, mi pare ne esca una profonda critica all’autoritarismo, una denuncia a tutte quelle politiche che si mascherano della parola “democrazia” ma che nel profondo si rivelano dittatoriali…
Il cameriere porta le bevande
Marta: Ora che me lo hai fatto notare, quella felpa mi ha riportato alla memoria vecchi ricordi di vecchie campagne elettorali e di atteggiamenti simili a quelli che hai descritto… Comunque, al netto del fatto che la tua lettura è calzante e assolutamente plausibile, sento anche che il discorso politico potrebbe declinarsi piuttosto in una critica allo stato, nella misura in cui resta immobile e lascia impunito l’uomo come genere maschile. Però, in questo caso mi schiero e propongo una lettura intenzionalmente autoritaria e sostengo il tema della critica alla violenza squisitamente maschile.
Ilaria: Credo che un’interpretazione non escluda necessariamente l’altra, anzi in qualche modo son complementari. Il Maschile è di per se stesso incarnato nello Stato (e quindi nella politica), proprio per il principio di cui parlavo sopra, ma anche – più banalmente – per la preponderante presenza di uomini a ricoprire cariche di potere. Ecco, il potere. Penso sia un altro tema, inevitabile mi vien da dire dati i discorsi appena fatti. Certo, nulla di così esplicito: la narrazione (che poi non c’è una “trama” in senso tradizionale, sono quadri all’interno di un arco narrativo…). Dicevo, la narrazione si sviluppa per azioni fisiche – agite con la tipica pratica del rallenty di Vienne (mi è tornato in mente CROWD3) pochissima parola, espressa da voci amplificate. Sembra di ascoltare i pensieri interiori dei personaggi, che sono tre: una ginnasta perfezionista, una rock star decaduta e la figura vestita di bianco con la felpa FRANCE (lo stato, il potere, la società. il maschile…).
Marta: Sì, penso che le parole che sentiamo siano soprattutto i pensieri dei personaggi, a parte qualche breve interazione. Il punto forte secondo me è la scena fissa: siamo in una foresta nera, no, oscura… no, buia… Ecco siamo in una foresta buia (incredibile come non si possa esprimere questo concetto senza richiamare qualcos’altro…). Comunque, siamo in un bosco cupo – pini e conifere varie occupano il palco su sfondo nero. A colpo d’occhio l’ho trovato molto suggestivo. Sarebbe stato interessante che il pubblico potesse sedersi in mezzo a quel bosco.
Ilaria: Anche per me è stato suggestivo, forse anche perché era una scenografia molto realistica… Ho trovato interessante il tappeto di foglie secche. Innanzitutto perché nascondeva il sentiero e a mio parere in questo senso si fa significante: di fatto amplifica la metafora dello smarrimento suggerita dal macro-contesto della selva oscura (ecco, io il richiamo lo lascio evidente). E poi quello strato di foglie mi ha affascinato per i suoni che rilasciava.
Marta: Vabbè, la selva oscura… ma FRANCE era un po’ oltre la metà del cammin di sua vita, no? Anche se ora la mezza età si riferisce più alla fascia 50-60… [prende il telefono] Aspetta…Ila, Google sostiene che la fascia di mezza età va dai 40 ai 60…
Arriva il piatto, dando (fortunatamente) una fine precoce a un possibile dibattito infinito sull’età. Le due chiedono delle salse e iniziano a cenare.
Ilaria: Marta, concentrati, parlavamo della selva oscura… un’ambientazione che non è solo data dalla scenografia, ma è costruita anche attraverso un complesso disegno sonoro, composto da stratificazioni di elaborazioni elettroniche, amplificate in sala da casse posizionate sia davanti che dietro la platea. L’intento – riuscito – mi sembra un coinvolgimento totale dello spettatore, che – sebbene seduto in platea a fruire dello spettacolo in modo frontale – si ritrova totalmente immerso in quello che non è altro che uno spazio astratto, un limbo in cui il tempo è sospeso e abitato da scomode verità dell’inconscio di singole interiorità… che giri di parole…
Marta: Resto sempre molto ammirata dal tuo onanismo mentale sul suono… Il mio riguarda invece l’aspetto visivo e narrativo. Infatti, a mio parere, comincia con un episodio biblico rivisto sotto una luce distopica: Adamo ed Eva in una foresta oscura, lui un uomo di “mezza età”– con indosso la felpa FRANCE – e lei una ragazzina appena adolescente, vestita da ginnasta. Lui la sta aiutando con una serie di esercizi: addominali, salti, verticali… (mi verrebbe da pensare che in qualche modo lo devi pur passare il tempo nel Bosco Oscuro dell’Eden). Però non sono felici o allegri… Sono cupi e tristi. Sono da soli e lui sembra soffrire… sembra voler contrastare una forza maligna dentro di sé… Lei appare più determinata (o rassegnata). Sta svolgendo il compito che le è stato dato. E lui sembra sempre più turbato, sempre più invischiato e aggrovigliato in sentimenti contrastanti…
Ilaria: È davvero interessante il tuo punto di vista, non l’avevo affatto interpretato come un riferimento ad Adamo ed Eva, ma in effetti l’allusione non è da escludere. La mia mente è sempre rimasta sul piano più generico: per me FRANCE è una presenza che si manifesta soltanto ai nostri occhi, lì sulla scena, ma che in verità è invisibile: è, per l’appunto, una forza che impone con violenza il proprio potere. È quindi in generale il peso delle sovrastrutture sociali da cui non ci si riesce a liberare, per cui, come dici, ognuno – come la ginnasta – sta lì a svolgere il compito che gli è stato assegnato, in modo passivo. Un lento processo di annichilimento che a lungo andare crea una costrizione così importante sulla persona da condurla a smarrire completamente il proprio pensiero critico e la propria identità, finendo in balia di un sistema…
Marta: Sì, forse sì… Però quello che stai descrivendo è una cosa che tutti noi subiamo durante la vita. Per questo vorrei dare a FRANCE una maggior concretezza. Sento che lo spettacolo deve essere interpretato senza troppa astrazione. In questo momento, ho bisogno di qualcosa di concreto [addenta una patatina]. FRANCE ha pure delle visioni. È tormentato da incubi… forse è senso di colpa?
Ilaria: Vorrei specificare che la mia astrazione è concreta, ovvero è quel che dici, una pressione sociale (tra canoni e regole) che tutti subiamo. Dico che è “invisibile” nella misura in cui io non sono riuscita a intenderlo come una persona fisica, come un personaggio, ma come una sorta di “regola”, inventata dagli uomini per vivere insieme. Le visioni e i tormenti di FRANCE secondo me manifestano il riconoscimento delle ingiustizie che queste “false-verità” comportano. Ammetterlo è troppo difficile, perciò a lavorare dentro è una sorta di senso di colpa collettivo inevitabile, la cui causa non la si vuol vedere perché metterebbe in crisi tutto ciò che fino a quel momento si è pensato fosse giusto, vero, buono…
Marta: Anche se personalmente non credo che il senso di colpa sia inevitabile, nello spettacolo forse emerge in questo senso… ma trovo sia sempre tutto molto confuso. A un certo punto, appare quasi di nascosto, vestito di nero su sfondo nero, la rock star. Ecco, in lui ho visto i tratti di Sid Vicious, quello dei Sex Pistols. Capelli a punta, catena al collo… e tra l’altro è calzante perché lui è stato accusato di aver ucciso la fidanzata Nancy… comunque, quando questo individuo appare, è Adamo che lo segue, lasciando Eva da sola. In un bosco. Di notte. E poi, per aumentare la confusione… nebbia.
Ilaria: Ecco, la nebbia … devo dire che a posteriori quel momento… mi è piaciuto! Dico a posteriori perché in un primo momento ho pensato che fosse un po’ una “fighetteria” da grande produzione. E forse in parte lo è. Ma poi mi son lasciata trasportare. Credo sia drammaturgicamente coerente e contribuisca ulteriormente all’immersività a cui prima accennavo in riferimento al suono. Perché non avrebbe destato lo stesso effetto se non ci fossero state quelle basse frequenze ad accompagnare tutta quella nebbia che dal palco ha invaso la platea per un lungo tempo (sarà durato almeno tre minuti?). Alla fine il palco era completamente bianco e noi avvolti in quel denso fumo. Coinvolti in quel non-luogo, come tante interiorità smarrite…
Marta: La nebbia è stata molto interessante, però… penso di averla vissuta con maggior disincanto. Cercavo di placare la tosse… e come me ricordo anche altri in sala. Mi è pure caduta una pastiglia per la gola, che è rimasta a brillare nella moquette scura del teatro… insomma, mi sono distratta.
Quindi la nebbia… sì, efficace ma non eccezionale, credo sia servita soprattutto per dividere la prima parte dalla seconda… Infatti dopo ci sono di nuovo Sid Vicious e Old Adamo che parlano. Il primo confessa il reato: ha ucciso la sua compagna, dopo averla stuprata. Adamo si agita e lo picchia, ma Sid implora pietà. Chiede per favore di non fare la stessa fine che lui ha imposto alla sua fidanzata. E sai cosa mi ha fatto arrabbiare? Che Adamo lo ascolta. Si ferma. Ecco qua penso che Adamo e Sid siano la stessa persona: due facce della stessa medaglia, ma contaminate l’una dall’altra. Adamo riesce a tenere a freno i peggiori istinti, ma ne è perpetuamente sedotto, mentre Sid vi ha ceduto, ed è stato proprio in quel momento che ha riconosciuto la sua umanità e l’ingiustizia che ha commesso. Poi, Adamo cede e lo uccide. Credo che lo scopo di tutta questa scena fosse dimostrare che l’essere umano, e in particolare il genere maschile, non sia in grado di rinunciare alla violenza.
Ilaria: Si, hai centrato il punto, credo anche io che, alla fine, sia una denuncia del sistema di giudizio e così del sistema sociale. La violenza del Maschile vince perché l’essere umano ha bisogno di purificarsi. Adamo-FRANCE è turbato di fronte a Sid che si è lasciato andare ai peggiori istinti perché li riconosce come propri e la reazione è sopprimerli (uccidendolo in questo caso). Le due facce di una stessa medaglia, come dici bene. Quindi forse è vero, c’è qualcosa che rimanda al maschile, sia esso il genere o in senso astratto. Resto quindi dell’idea che le due cose si completino: c’è una duplice denuncia e resto convinta che ci sia anche la dimensione politica, in Vienne4.
Marta: Io non sono d’accordo sulla necessità di purificarsi, che vedo più come una questione religiosa. Dal mio punto di vista, sì, sul palco c’è stata la rappresentazione della violenza vista come un male. Però non penso che questa visione sia applicabile al gesto di Adamo su Sid, quanto piuttosto a quello di Adamo e Sid sulle rispettive controparti femminili. Mi ha fatto quasi piacere il gesto violento di Adamo nei confronti di Sid. Aveva un qualcosa di giusto, ma non per questo mi complimento con Adamo… Non può, come dici tu, “purificarsi”.
Ilaria: Mi spiego meglio sulla questione purificazione e parto proprio da una tua frase: «Mi ha fatto quasi piacere il gesto violento di Adamo nei confronti di Sid. Aveva qualcosa di giusto, ma non per questo mi complimento con Adamo». È vero, sentire quella violenza come giusta è qualcosa di umano proprio perché, come dicevo e come hai ben ribadito, è parte integrante della nostra natura. Ma al tempo stesso credo che il senso di sollievo sia dato dal fatto che la violenza di Adamo su Sid corrisponda alla condanna di un gesto considerato dalla legge – e quindi dalla morale comune – un reato (Sid che uccide Nancy). Se Sid avesse ucciso Adamo (che poi lo chiamo così solo per capirci ma per me resta FRANCE), avrebbe avuto tutt’altro significato, a mio modo di vedere.
Marta: Se Sid avesse ucciso Adamo sarebbe stato il plot twist5 di cui tutti abbiamo bisogno…
Ilaria: Forse lo spettacolo quindi cerca di farci ragionare sul fatto che la violenza di Adamo è una violenza che riusciamo a giustificare, quella di Sid no, o non del tutto…ma sempre di violenza si parla.
Marta: Finora abbiamo interpretato lo spettacolo utilizzando i concetti di bene e male… mi chiedo ora invece se non convenga guardare la faccenda sotto una luce diversa, magari più “cinica” se vogliamo. Esaminiamo il concetto di violenza come un nome che diamo a un’azione.
Ilaria: Io credo invece che si debba proprio parlare di bene e di male perché penso che lo spettacolo voglia mettere in crisi questa dicotomia e, in fondo, arrivare a quello che stai dicendo tu. Il punto a cui ci porta Vienne, a mio parere, è farci notare come la violenza di Adamo-FRANCE riusciamo a giustificarla in virtù del fatto che non possiamo ammettere a noi stessi che la violenza (e così tutto ciò che bolliamo con il termine “male”) possa esistere nell’animo umano. Ecco allora cosa intendo per purificazione: abbiamo bisogno di “liberarci dal male” [e qui si, siamo sul religioso, ma d’altronde stiamo parlando di società e politica…]. E lo facciamo ammettendo l’esistenza di una violenza giusta e una sbagliata: quella giusta elimina ciò che non è tollerato. Quindi hai ragione quando dici che la purificazione non può avvenire davvero, ma, suggerisce Vienne, ci serve crederlo. FRANCE, come noti anche tu, è turbato prima e lo resta anche dopo, infatti.
Marta: Credo però che Vienne si soffermi soprattutto sul mostrare come la violenza sia parte dell’essere umano. Considerando l’ambientazione naturale, mi sembra che ci dica magari la violenza è nata come uno strumento di autodifesa, ma siccome il genere è umano è afflitto da questa croce terribile che è la capacità di pensiero, tendiamo a usare la violenza fisica (e verbale) anche come strumento di “giustizia”, di resa dei conti, di scorciatoia. Mi sembra che poi emerga il fatto che la violenza è anche istinto, per cui la troviamo sia nella ragione che nell’inconscio. Pensa anche alle scene finali: degli uomini (interpretati da dei commoventi manichini) guardano il cadavere di Sid e non battono ciglio. Scena successiva, un gufo (vero!) vola tranquillo nel bosco, il SUO bosco, il luogo in cui vive naturalmente, e di nuovo un uomo, un cacciatore, armato di arco e frecce, cerca di ucciderlo. E ci riuscirà probabilmente, perché è una lotta impari: un altro esempio di come l’uomo abbia usato la mente per “migliorare” e “perfezionare” la propria portata violenta.
Ilaria: Hai ragione. Non sono del tutto d’accordo sulla lotta impari, invece. Io credo che il gufo, tranquillo nel suo habitat, non sia più debole dell’uomo, anzi. Il suo problema è che viene ingannato dal cacciatore che dovrebbe conviverci e invece ne fa una preda, senza un reale motivo: non è di certo una necessità naturale. E ne fa una preda sia per migliorare e perfezionare la sua portata violenta, come dici, sia per pura sete di potere e controllo sull’altro (e sull’ambiente). Non è una lotta impari anche per un altro motivo: io in questa scena ho rivisto tornare la dialettica tra le forze del Femminile e del Maschile. Se ricordi, la stessa traiettoria del gufo la percorre di corsa, poco prima, la ginnasta, vestita degli stessi colori dell’animale. Un po’ didascalico, ho pensato, ma funziona… Comunque continuo a parlare di forze proprio perché non credo si tratti di una questione genere: il fatto che le figure femminili siano le vittime è solo una denuncia della vittoria – nell’animo umano – del Maschile – inteso come lato violento e distruttivo – sul Femminile – inteso come il lato della cura, della rigenerazione e dell’attenzione per l’altro e per il mondo attorno…
Chiedono un altro bicchiere di Chardonnay e finiscono le ultime patatine, quasi in silenzio, se non fosse per qualche altro scambio su concetti di estetica e facezie varie6.
A ogni modo, secondo me ci siamo con l’interpretazione, perché questa messa in discussione della morale comune e l’indagine sui tabù dell’inconscio è un percorso di ricerca che Vienne porta avanti da tempo, vedi in particolare Jerk7 e l’ultimo lavoro L’etang8. Se in questi due andava a scavare in scomodi angoli dell’interiorità umana – l’uno nei pensieri di un serial killer, l’altro nella mente tormentata di un adolescente – in questo caso mi sembra proprio che si intenda mettere in luce l’impatto del sociale e del politico sulle singole interiorità.
Marta: Confesso che, oltre a questo, della Vienne ho visto solo Crowd. Uno spettacolo che probabilmente poteva durare 10 minuti se non avesse fatto muovere tutti i ballerini a rallentatore, in un rave che approverebbe anche il nostro governo per la sua pacatezza. Comunque, pensavo… secondo te la Vienne cerca di dirci che l’essere umano è infelice o violento come un serial killer per colpa della politica e della società? Io su This is how you will disappear resto dell’idea che il messaggio sia che è il genere maschile a spargere il maggior carico di violenza ragionata e dolosa.
Ilaria: Secondo me Vienne ci fa ragionare sul fatto che la violenza è parte della natura umana, mentre politica e società sono un prodotto altrettanto umano, un bisogno… ma si tratta di faccende dai fragili equilibri, perché hanno a che fare con la questione del potere, che necessita di mantenersi stabile e per questo tende al controllo e alla regola. Il problema di fronte al quale secondo me ci pone la Vienne – e che suggerisce l’infelicità umana di cui parli – è che questo controllo, per il potere è normale: sta agli individui non assecondarlo, conservando il proprio diritto all’autodeterminazione e il proprio pensiero critico, per mettere in crisi le false verità e le regole di comportamento che il Potere tende a inculcare a tutti perché ci sia obbedienza…
Marta: Come il concetto di mezza età… Io veramente9…
Ad ogni modo, … penso che la politica e il potere vengano anche mostrati come due “entità” che non ascoltano tutti sebbene predichino di ascoltarne la maggior parte. Questo però scatena la forte reazione di autodeterminazione, che è un concetto da difendere a tutti i costi, ma che allo stesso tempo porta una serie di fragilità nel rapportarsi con un mondo che ha progressivamente abbandonato il senso di “fusione panica” (però lasciamo stare D’Annunzio, che al momento è meglio se resta sopito). [Lo spirito di D’Annunzio batte comunque un colpo].
Ilaria: In questo senso… credo ci sia una denuncia alla violenza socio-politica che impone standard di vita e comportamento: secondo me in scena si vede la progressiva scomparsa del diritto di autodeterminazione. Che poi è un modo anche questo di operare una sorta di epurazione di ciò che per la società è considerato diverso e quindi incontrollabile e fuori norma… e qui ci vedo anche un’accusa al capitalismo: ginnasta e rock star sono personaggi che hanno a che fare con una dimensione pubblica che li priva del loro privato, perché viene decostruito e ri-narrativizzato per essere monetizzato, spettacolarizzato. Diventano, in altre parole, o ideali da inseguire o capri espiatori da punire… e anche se è uno spettacolo del 2010, questi discorsi ancora parlano e anzi, oggi forse sono addirittura amplificati: costruiamo identità altre sui social, per fare un banale esempio. Ma non ci inganniamo, invece, credendo di poterci così autodeterminare quando in realtà ci raccontiamo come la società vorrebbe che noi fossimo? Tra l’altro auto-censuriamo i lati canonizzati come “oscuri”: non vanno mostrati e se si mostrano, meglio se spettacolarizzati… sono denaro…
Del vapore bianco invade la terrasse: si voltano. È uno dei baristi usciti a fumare la sigaretta elettronica. Lo guardano, lui si scusa sorridente, le ragazze ricambiano. È come nello spettacolo, si dicono. A volte si leggono le coincidenze come segni e a loro piace significare tutto…
Ilaria: Insomma… forse qui sta il senso del titolo This is how you will disappear: scompariremo come individui se non accettiamo la natura umana nelle sue sfaccettature; ma anche – e soprattutto – se non preserviamo e diamo valore al nostro pensiero critico, se non mettiamo in discussione la giustizia per come ce la presentano e in crisi il potere. Se ci dimentichiamo che possiamo avere un’opinione e che possiamo esprimerla e che la Verità non esiste…
Marta: In questa lettura, scompariremo proprio nel senso sociale. Esisteremo solo nel gruppo che segue determinati standard. Certo, magari ci saranno un sacco di gruppi e ognuno sceglierà a quale tra questi aderire. E ci sarà sempre chi ne resterà fuori, volontariamente o meno. E sono d’accordo nel pensare che dovrebbero esserci più stili di vita da abbracciare, ma per quel che mi riguarda, in questo spettacolo, che considero riuscito vista la quantità di ragionamenti e di probabili sovraletture (dobbiamo trovarci un hobby, Ila. Cosa fanno i giovani d’oggi per intrattenersi?), non ci vedo politica. Al massimo ci vedo la società (inevitabile, comunque. Tutto è società). E vedo un obiettivo specifico: la violenza del genere maschile. Questa sera mi va di autodeterminarmi così.
Non parlano più di teatro, ma non smettono di chiacchierare: inventano storie, si raccontano. Si ripetono ancora una volta di essere a Parigi e che un po’ sembra di essere tornate a casa. Il cameriere le ha prese in simpatia: non parlano bene il francese, ma nonostante tutto ci provano. Ora si alzano e pagano la cena. Escono dal ristorante e passeggiano leggere per le strade della Ville de Lumière, dirette verso Place de la Bastille.
FIN
- locale molto carino e appetitoso per gli occhi e la bocca, situato poco dopo il cimitero di Père-Lachaise
- dal francese, “da dividere”.
- CROWD (2017, ideazione, coreografia e scene Gisèle Vienne, drammaturgia di Gisèle Vienne e Dennis Cooper).Scrive Vienne sullo spettacolo: «con CROWD […] ritraggo un gruppo in cui le attività e le interazioni sociali rivestono un ruolo centrale. […] è una comunità di giovani che si è ritrovata per il desiderio di provare sensazioni di euforia e per l’interesse comune riguardo a un genere musicale, la techno. Il contesto scelto è quello di una festa. La rappresentazione del gruppo ben si adatta alla questione dell’intimità ed alla sua relazione con una comunità di persone, e alla relazione tra emozioni individuali e collettive». (qui le note complete).
- Ilaria qui si riferisce al fatto che in Francia c’è stata la pena di morte per ghigliottina fino al 1977.
- Dall’inglese “colpo di scena”.
- Un modo altolocato per dire che le due, talvolta, si dilettano nel disquisire di archetipi maschili che suscitano in loro un certo interesse, che va da un riconoscimento di avvenenza a un più incisivo desiderio di manipolazione.
- Jerk (2008, creato e diretto da Gisèle Vienne, drammaturgia Dennis Cooper). Uno spettacolo per platee ristrette, che propone una ricostruzione immaginaria, poetica e inquietante dei crimini perpetrati dal serial killer americano Dean Corll, un adolescente texano che negli anni Settanta, insieme a due coetanei, uccise e violentò più di venti persone. I raccapriccianti dettagli di torture, abusi ed esecuzioni, note all’opinione pubblica come “Houston Mass Murders”, sono raccontate in scena attraverso il ventriloquismo e l’arte dei burattini, pratica imparata da Corll in carcere. Il pubblico è portato dentro i fatti, costringendolo a confrontarsi con la cruda realtà. Nato come un radiodramma nell’ambito dell’Atelier de création radiophonique di France Culture (2007), Gisèle Vienne trasforma il racconto immaginato dalla penna di Dennis Cooper nel 1993, in uno spettacolo teatrale e ora anche in un film (2021).
- L’etang (2022, basato sul testo originale Der Teich (The Pond) di Robert Walser, ideazione, direzione, scenografia, drammaturgia Gisèle Vienne, con Adèle Haenel e Henrietta Wallberg, adattamento del testo Adèle Haenel, Julie Shanahan, Henrietta Wallberg in collaborazione con Gisèle Vienne) tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore svizzero Robert Walser, Vienne riprende il dramma familiare di un ragazzino che, non sentendosi amato dalla madre, inscena il suicidio nel tentativo disperato di ricevere l’amore materno. Descrivendo la violenza delle norme sociali, il testo sperimenta livelli di realtà e temporalità e confonde i limiti tra interiorità ed esteriorità.
- Intercalare ricorrente tra le due, tipicamente da leggersi con tono rassegnato.
Gli autori
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Laureata in Dams e in Italianistica, si occupa di giornalismo e cura progetti di studio sul rapporto tra audio, radio e teatro. Ha collaborato con Radio Città Fujiko ed è audio editor per radio e associazioni. Nel 2018 ha vinto il bando di ricerca Biennale ASAC e nel 2020 ha co-curato il radio-documentario "La scena invisibile - Franco Visioli" per RSI.
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Giornalista pubblicista, tra le varie collaborazioni attualmente lavora presso l'Ufficio Stampa di Arte e Architettura alla Biennale di Venezia. Laureata in Lingue a Trieste, nel 2018 si diploma alla Scuola Paolo Grassi di Milano in Organizzazione Teatrale. Ha lavorato in ufficio stampa e comunicazione per teatro, tv e musica, mentre nell'ambito organizzativo per festival di teatrodanza e per la compagnia DLT - DopoLavoro Teatrale con sede a Toronto (Canada).