Modena, dimostrazione del Teatro dei Venti, maggio 2015
Parchetto di Via San Giovanni in Bosco, cuore del festival Trasparenze. In un incontro condotto da Silvia Mei, lo scorso anno il regista e fondatore del Teatro dei Venti Stefano Tè affermava che «ci sono tanti modi per fare teatro al di là delle opere, noi lo abbiamo fatto». In effetti questo piccolo ma importante festival si è sempre caratterizzato per la presenza di incontri, concerti, laboratori, progetti di teatro e carcere, un procedere che negli anni ha saputo mettere al centro relazioni stratificate con diverse altre comunità. Lo scorso anno, il metodo di lavoro del gruppo è stato presentato in una domenica pomeriggio di sole, in un teatro alle porte della città colmo di persone. Al centro stanno l’esercitazione fisica, il training, il lavoro dell’attore su di sé, un allenamento fisico ed emozionale che annovera fra i padri nobili l’Odin Teatret ed esperienze di teatro di strada. Attori che allenano il corpo come uno strumento musicale, mettendolo nelle condizioni di raggiungere alte vette di perizia tecnica, capaci anche di virtuosismo. Quanto questa tradizione è in grado di parlare agli spettatori di oggi? Quanto questo “attore-atleta” può scalfire le patine mediali, rendersi credibile? E in che modo riportare i ritrovati di tale percorso, nello specifico del Teatri dei Venti anche sperimentati nel linguaggio del teatro di strada, in un più generale discorso sulla verità, sulla finzione e sulla rappresentazione, pensando a una crescita della cultura teatrale nel suo complesso? La dimostrazione a cui abbiamo assistito lo scorso anno mostrava esercizi “nudi” al confine fra training e danza popolare, esercizi che invitavano a pensare al lavoro dell’attore oggi, a come si produce la verità della visione, a come si percepisce ciò che viene rappresentato.
Castelfranco Emilia, Angeli e demoni, gennaio 2016
Uomini adulti attorniano la scena. Un pavimento di sabbia ammorbidisce i loro passi. Ci guardano, sollevano un pungo di sabbia e se lo versano sul volto, in una piccola coreografia di gesti – dal pugno che si apre sul volto per poi richiudersi veloce sul petto in un rapido mea culpa – che sancisce l’inizio di un più lungo e complesso rito. Il gruppo si incontra e si scontra, in lotte uno contro uno, tutti contro uno, mietendo vittime e lasciando sopravvivere alcuni. La pratica del conflitto in Angeli e demoni è una scrittura ciclica: i corpi dei detenuti del carcere di Castelfranco Emilia si sciolgono e si ricompongono dal basso verso l’alto, dal confine della scena verso il centro. Il contatto tra loro è intermittente, alterna scontri di gruppo a lotte individuali, intime, che si intravedono sul volto pensieroso e concentrato di questi attori. Accanto e in mezzo a loro intervengono ragazzi più giovani, adolescenti che senza timore si prendono cura a due a due di ogni corpo, ora porgendogli un po’ d’acqua, ora coprendo i loro occhi con un nuovo pugno di sabbia, quando il rito si conclude con le inevitabili sepolture. Vestite di nero, altre donne si lanciano in mezzo al cerchio dei guerrieri, pronte all’attacco. Si usano bastoni, si costruiscono piramidi umane, piccoli altari di guerra attorno ai quali si svolge un confronto danzato, acrobatico. Al centro del cerchio giace a terra un guerriero esanime, gli uomini lo proteggono mentre le donne tentano di sfondare le difese del gruppo; un uomo e una donna si isolano e combattono, come possibili Tancredi e Clorinda. Il duello conduce all’inevitabile strazio.
Gli Angeli e i Demoni sono i Cristiani e i Musulmani della Gerusalemme Liberata del Tasso, opera a cui l’intero processo di lavoro si ispira, e lo scenario di guerra sottratto al poema è il territorio (teatralmente) neutro per altre guerre meno lontane nel tempo. Coppie di opposti si sovrappongono, rendendo articolata la semplicità su cui il disegno drammaturgico si fonda. Lo spettacolo ideato dal Teatro dei Venti è frutto di un percorso di teatro in carcere che ha permesso agli attori di vivere l’esperienza di residenze teatrali fuori dalle loro celle, investendo il loro tempo nella scrittura scenica guidata dal regista Stefano Tè. Il lavoro fa parte delle numerose azioni del coordinamento emiliano-romagnolo Teatro carcere, che ha visto la produzione di sei spettacoli in diverse città lungo il corso del 2014 e 2015.
Dopo gli incontri e gli scontri, le danze e i canti arabeggianti che provenivano dai ballatoi dei palchetti del Teatro Herberia di Rubiera, dopo canzoni usate come intervalli fra una sequenza e l’altra il clima dello spettacolo rimane teso, ma si allinea su una nuova nota, una sorta di riconciliazione generale tra i presenti, che insieme ripetono la sequenza di gesti dell’inizio, chiudendo finalmente il ciclo di tormentati sospiri di cui siamo stati testimoni.
Modena, Trasparenze, quarta edizione, 5-8 maggio 2016
Torniamo al 2016, pensando alla prossima edizione del Festival che si terrà a Modena dal 5 all’8 maggio. Pochissime, a livello teatrale, sono le “comunità” in grado di porci domande su quello che siamo disposti a vedere, e in tal senso paiono oggi più credibili alcune esperienze minoritarie, spesso periferiche, dove ancora ci sono le condizioni affinché chi programma e chi produce siano in grado di influenzare il contesto in cui lavorano (e non solo di esserne ospitati), ponendo domande complesse a chiunque voglia creare una relazione. Questo è il caso di Trasparenze, che anche nel 2016 ha lavorato selezionando una parte del suo programma insieme alla Konsulta, un gruppo di ragazzi e ragazze under 25. Anche nell’imminente edizione il festival organizza laboratori tentando di allargare la comunità di spettatori, lavorando per esempio con una casa protetta, con bambini, con l’associazione senegalese Takku Ligey. Alla programmazione teatrale (che propone anche gli spettacoli di Michele Santeramo e di Mario Perrotta nella casa circondariale) si affianca un programma musicale che non appare come un corollario ma dialoga con gli spettacoli teatrali, fra i quali segnaliamo almeno Mangiami l’anima e poi sputala di Fibre Parallele, Dopodiché stasera mi butto di Generazione disagio e i lavori di compagnie da conoscere come Oyes e Idiot Savant. Completano il programma un ciclo di incontri a cura di Silvia Mei e Agostino Riitano e un incontro con Armando Punzo a cura di Cristina Valenti. Il festival s’ispira quest’anno a Moby Dick, come scrivono i direttori artistici Stefano Tè e Agostino Riitano: «Incanto, traversata che genera perdizione per una meta lontana, ignota, alla ricerca di quell’essere incastrato tra sogno e incubo, sul filo e per mare, che per noi è la città. Trasparenze infatti quest’anno intende concentrare la propria attenzione sulla città come “corpus unico” e mito contemporaneo».
foto di Chiara Ferrin
L'autore
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Tra i fondatori di Altre Velocità, è assegnista di ricerca presso il Dipartimento delle Arti all'Università di Bologna, dove insegna Discipline dello spettacolo nell'intreccio fra arte e cura (Corso di Educazione professionale) e Nuove progettualità nella promozione e formazione dello spettacolo al Master in Imprenditoria dello spettacolo. Immagina e conduce percorsi di educazione allo sguardo e laboratori di giornalismo critico presso scuole secondarie, università e teatri. Progettista culturale, è tra i fondatori di Altre Velocità e dal 2020 co-dirige «La Falena», rivista del Teatro Metastasio di Prato. Fa parte del Comitato scientifico dei Premi Ubu. Usa solo Linux.