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Danzare fuori dagli schermi. Tanzanweisungen di Moritz Ostruschnjak

di Petra Cosentino Spadoni

Oltre a Tanzanweisungen, di Moritz Ostruschnjak a Gender Bender 2024 è stato ospitato anche lo spettacolo Terminal Beach di cui Petra Cosentino ha scritto qui.

Il processo di creazione di Tanzanweisungen, letteralmente “istruzioni di danza”, prende avvio durante il periodo pandemico, in un momento di grande silenzio collettivo, racconta il coreografo Moritz Ostruschnjak. Riproposto all’interno della programmazione di Gender Bender in due repliche negli spazi dell’ex chiesa di San Mattia, lo spettacolo cerca di rompere questo silenzio sin dai primi passi dello Schuhuplattler eseguito dal performer Daniel Conant.


Scorrendo lo sguardo fino al fondo della navata, il palcoscenico si presenta come una piattaforma rettangolare che somiglia al piedistallo di una scultura o al ring in attesa di un incontro di boxe, evidenziato lungo il perimetro da tubi di neon che sembrano aumentarne la distanza e renderlo schermo. La coreografia si muove giocando sullo sconfinamento dello spazio scenico, di fronte al tentativo di contenimento che questo sembra esercitare rispetto all’azione performativa. Qui, dal silenzio emerge l’echeggiare di un ritmo scandito da schiaffi e battiti sul corpo del danzatore, caratteristici di una danza tradizionale bavarese che, saltando e girando, prevede il battere delle mani sulle gambe e sulle suole delle scarpe. Tanzanweisungen si configura come una riflessione sulla danza e sul suo stesso ruolo, attraverso l’esplorazione di diverse tecniche e stili di movimento, dalla danza classica al pugilato, in un momento di sospensione come quello collettivamente vissuto durante la pandemia, così come all’interno della dimensione virtuale, richiamando la questione dell’intrattenimento e della sovrastimolazione di mente e corpo che passivamente accumulano informazioni e immagini attraverso lo schermo. Ostruschnjak parla della danza come di un incorporamento, in cui il pensiero emerge attraverso il movimento: da qui la ricerca di una forma attiva di presenza, fatica e sudore, in una reale esperienza di silenzio, episodicamente interrotta da brani musicali.

And in the naked light I saw
Ten thousand people, maybe more.
People talking without speaking,
People hearing without listening,
People writing songs that voices
Never share
And no one dared
Disturb the sound of silence.
(Simon&Garfunkel, The Sound of Silence)

Sullo sfondo grand jeté, salti, battiti, schiaffi: il movimento sembra impossessarsi del corpo che, sottoposto a un flusso incessante di stimoli, non riesce a prendere fiato. “NEWS: IT WON’T BE LIKE THIS FOREVER” – il coreografo attraversa la scena con un cartello, successivamente sostituito dal passaggio di un altro messaggio – “NEWS: AFTER A WHILE WE WILL STOP THINKING ABOUT IT”. Le scritte dei cartelli vengono copiate direttamente dalla rete, racconta Ostruschnjak, e riproposte decontestualizzate e accostate a informazioni visive discordanti. In questa misura, la coreografia utilizza lo stesso linguaggio frammentato caratteristico della sfera digitale, superando la barriera dello schermo che rende il corpo ricettore passivo di impulsi. E dunque, i contenuti, le immagini, le informazioni si susseguono senza soluzione di continuità, polarizzanti, generando un affresco di suggestioni liberamente interpretabili e destabilizzanti. Se non sarà così per sempre, allora come sarà? Smetteremo di pensare a qualcosa di brutto, smetteremo di pensare a qualcosa di importante?

Geht in die Knie
und Klatscht in die Hände
Beweg deine Höften
Und tanz den Mussolini
(D.A.F., Der Mussolini)

La coreografia sconfina il perimetro del palcoscenico e continua a correre in questa direzione di crisi su un dancefloor attraversato dal ritmo martellante della batteria e dei sintetizzatori del gruppo tedesco D.A.F. che accompagna una provocatoria danza attorno ai principali regimi totalitari del secolo scorso. Lo sguardo si sposta catalizzato sui passi agitati che percorrono lo spazio della navata, prima di tornare frontale al palcoscenico – “I WENT OUT FOR A BIT AND THEN I CAME BACK” recita un ultimo cartello, apparso in pochi secondi alle spalle del pubblico distratto, lanciando un bagliore di luce sugli spazi di ombra che rischiano di aprirsi in quelle fessure che distolgono lo sguardo da ciò che ci circonda.

Foto di Wilfried Hösel

Articolo scritto da Petra Cosentino per Speciale Gender Bender 2024

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