Castrovillari è un paese senza fretta. Tutto è vicino, dal corso principale al protoconvento al castello Ragonese si procede pochi passi alla volta, seguendo il proprio itinerario. Almeno, è stato così per chi ha vissuto Primavera dei Teatri. Una volta raggiunto il protoconvento, il gioco è fatto: sei dentro il festival. Ma se l’ingresso è rapido, l’uscita è molto più lenta, almeno per chi sceglie di non trascurare le visioni e le domande che hanno animato quei giorni, provando ad affrontare il panorama di opere che gli è stato offerto.
Primavera dei Teatri è un festival che sa contenere le diversità, e attorno alla parola “drammaturgia”, che viene qui attraversata da segni e possibilità diversissimi, trascinando con sé numerosi fili sull’attore e sulla regia, sulla tradizione e sui nuovi linguaggi, la direzione artistica di Scena Verticale si dimostra fermamente aperta, accostando tra loro artisti alle prime esperienze accanto a gruppi più consolidati e pronti al debutto in una così grande occasione. Saverio La Ruina, Settimio Pisano e Dario De Luca costruiscono così un orizzonte nel quale si affiancano più colori, facendo risaltare la luminosità e le diversità di ognuno.
Troviamo così spettacoli più tradizionali accanto a teatri che hanno saputo reinventare la drammaturgia facendone un atto politicamente intrecciato alle funzioni registiche e attoriali, come Fanny & Alexander o I Sacchi di Sabbia; oppure artisti che usano la parola come strumento per raccontare in maniera diretta e inequivocabile il proprio punto di vista, o ancora teatri che valorizzano la radice stessa del dramma-azione attualizzandola con naturalezza, come nel caso di Punta Corsara. Questa quindicesima edizione ha dunque presentato opere più forti accanto ad altre più problematiche, spettacoli più o meno disposti a rischiare e a tenere vivo un dialogo col pubblico. Si cercherà di raccontare tutto questo attraverso analisi e domande in un resoconto che si dilunga in tre parti e che prova a testimoniare uno stare dentro il festival e che cosa, chi scrive, sia riuscito a portarsi a casa, riunendo i contrasti di colore e le sfumature di pensiero che hanno permeato la programmazione.
Pezzi di Sud
Le più giovani (e locali) generazioni incontrate al festival sembrano quelle più incantate da un linguaggio scenico passato, e si fanno portatrici di un bizzarro anacronismo, una visione che però – fortunatamente – non riesce ad appartenergli del tutto. Scena Nuda e Anomalia teatri sono gruppi formatisi prevalentemente nel sud Italia, anche se con componenti interne che si sono nutrite di visioni in altre città più a nord, dove forse il transito di compagnie di ricerca è più intenso e accessibile.
Padre, Figlio e Sotto Spirito, ph Angelo Maggio
Con Padre, Figlio e Sotto Spirito, Scena Nuda allestisce la rappresentazione di un dramma familiare tra fratelli con al centro un trauma causato dai genitori, e in sottofondo una non precisata guerra. La drammaturgia è interpretata attraverso un dire e non-dire continuo, con cambi scena-costume repentini, come se lo spettacolo temesse di rivelare troppo allo spettatore. Se da una parte alcuni frammenti ci catturano, dall’altra ci troviamo continuamente abbandonati a noi stessi, vivendo un dramma vago e veloce. Gli attori vorrebbero stare nei loro personaggi, ma non ci riescono mai del tutto, forse non ne hanno il tempo; vorrebbero incarnare quel dramma, ma sembrano non conoscerlo fino in fondo, col risultato di stare su una superficie stereotipata dei fatti, mentre si avverte, talvolta, qualcosa che li àncora altrove.
Anomalia teatri nasce dall’incontro fra Rita De Donato, attrice e regista formatasi all’accademia drammatica di Roma, e Davide Fasano, allievo diciottenne di Saverio La Ruina; in Scarpestrette, ambientato nel ventennio fascista, la De Donato interpreta una ragazza che si ribella alla società a cui appartiene, mentre il fratello, con un ritardo mentale, si affida alle regole e ai gesti del suo tempo. La sensibilità scenica di queste due figure è forte, e la composizione dello spettacolo è ben orchestrata, a partire dall’immagine di lei che, promessa sposa, non riesce mai a terminare la vestizione dell’abito, i merletti penzolano dalla spalla, la cerniera non rimane mai chiusa, e queste scarpe dal tacco alto le tornano sempre in mano, come a raffigurare un’impossibilità a procedere se non a passo libero. Viene solo da chiedersi come mai l’autrice sia dovuta andare così lontano per raccontare le problematiche incarnate da questa coppia di fratelli, invece di indagare un tempo più intimo e vicino. L’elaborazione del presente è cosa complessa, ed è vero che alcuni pezzi di passato possono aiutarci nella comprensione di situazioni attuali, ma in Scarpestrette tali connessioni si avvertono solo da lontano, e rimane la curiosità di scoprire il pensiero di questa compagnia su qualcosa di più ravvicinato, che si possa condividere maggiormente.
Va’ pensiero che io ancora ti copro le spalle, ph Angelo Maggio
Scena Verticale, compagnia padrona di casa, inserisce nel discorso del festival anche una propria proposta. È Dario De Luca ad andare in scena e a aggiungere un tassello a questo viaggio attorno alla drammaturgia, fornendoci una visione inaspettata. Anche in Va’ pensiero che io ancora ti copro le spalle scatta nella nostra mente il sapore di uno strano passato: l’attore allestisce infatti uno spettacolo di teatro-canzone, dove la musica gioca sullo stesso piano della presenza attoriale. A partire dal tema portante del pensiero, qui animato quasi come un vero personaggio, Dario De Luca scivola dai princìpi della rivoluzione agli sfondi della politica, dall’appiattimento critico dei social network al senso di vuoto che riempie i dialoghi dei colloqui di lavoro. Con disinvoltura ma anche con una certa cura, lo spettacolo procede tra testi cantati di fronte o dietro a un piccolo siparietto allestito sul palco e gli scambi di battute col pianista seduto su un angolo del palcoscenico. Il tono è ora ironico ora serio, e tiene fede al desiderio di riflessione e gioco proprio del teatro musicale. In questo attraversamento, lo spettacolo sembra forse voler abbracciare più sfaccettature del necessario, accostando così quadri più efficaci ad altri più lenti, ma intrattiene e smuove allo stesso tempo, aderendo con leggerezza al filo di un ragionamento.
Segue in #2 – Canzoni di morte, smarrimenti familiari
di Serena Terranova
L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.