altrevelocita-logo-nero
roberto-abbiati-circo-kafka

Senza pensare. Diario di giorni corsari (prima parte)

di Altre Velocità

La compagnia Punta Corsara, in occasione della rassegna organizzata da Gerardo Guccini “A sud del teatro”, è stata ospitata dal 9 aprile all’11 per tre spettacoli diversi: Hamlet Travestie, Io mia moglie e il miracolo, entrambi alla Soffitta e Il cielo in una stanza, all’Arena del Sole. Nati nel 2007 come progetto d’impresa culturale sostenuto dalla Fondazione Campania dei Festival e dalla prosecuzione di un progetto curato dal Teatro delle Albe, Arrevuoto, il gruppo diventa nel 2010, associazione culturale indipendente. Nei giorni seguenti agli spettacoli è stato organizzato un laboratorio in cui venti studenti selezionati hanno avuto la possibilità di lavorare con il regista Emanuele Valenti per due pomeriggi intensi e pieni di senso. Quella che segue è una pagina di diario di una delle nostre redattrici, al contempo partecipante al laboratorio teatrale. È giovedì e c’è il sole. Cammino verso la Soffitta, dove tra poco inizierà il laboratorio a cura di Emanuele Valenti, regista di Punta Corsara. È la prima volta per me e sono un po’ emozionata e po’ intimorita. Appena entriamo a teatro, Emanuele ci fa subito gli onori di casa e ci fa mettere tutti in cerchio per un giro classico di presentazioni. Ci consegna il testo della scena “Elfenstrasse 14 sportello emigrazione (1956)”, dallo spettacolo Il cielo in una stanza, andato in scena la sera prima, l’11 aprile, all’Arena del Sole: si tratta di un ufficio in Svizzera in cui cittadini italiani finiti a lavorare fuori dal loro paese chiedono aiuto, consigli e consulenze varie. «È con questo materiale che lavoreremo sia oggi che domani. Ma ci pensiamo dopo, ora si balla!», neanche il tempo di capire esattamente cosa fare e come muoversi di fronte a diciannove sconosciuti che, sulle note di Ricotta Twist di Carlo Rustichelli, iniziamo, chi più timido e chi più scatenato, a ballare, ognuno a modo suo: scomposti, buffi e bellissimi. «Con il naso, con il naso!» dice Emanuele e tutti a muovere il naso come dei cani alla scoperta degli odori, con i gomiti, le gambe, il bacino, la testa! e così via con ogni parte del corpo. Un coraggioso volontario, ad ogni richiesta di Valenti, inizia a ballare staccandosi dal gruppo, ora posizionatosi sul fondale, e noi tutti a imitarlo per arrivare, danzando, fino al proscenio e poi via via via a correre di nuovo indietro. Io non me la ricordo quand’è stata l’ultima volta che ho fatto un gioco, ma questo ne ha tutto l’aspetto di esserlo e sono felice. Non dovremmo mai dimenticarci di quanto è bello. A intervallare queste passeggiate ballate, ancora una volta i più coraggiosi si fingono speakers radiofonici degli anni ’50: «Buongiorno buongiorno cari amici della nostra Radio, questa è la giornata giusta per voi! Rimanete sintonizzati e chiamate al numero 800 800 677 per scegliere la vostra canzone preferita. Ops, purtroppo abbiamo solo Ricotta Twist, ma voi continuate a seguirci!». Balliamo, balliamo, balliamo e mi sento un po’ all’asilo, alla scoperta dei colori a tempera e un po’ a una festa del liceo, quando sei troppo impegnato a tenere sotto controllo la situazione per divertirti davvero. Stanchi e già con il fiatone, ci stendiamo a terra e Emanuele, voce calda e presenza rassicurante, inizia a leggere il testo consegnatoci poco prima. A parlare è il personaggio di Liliana Fuggi, la giovane donna arrivata a raccogliere, in qualità di testimone, le storie che passano per quello strano ufficio, per raccontarle, per non farle morire. Piano piano, di nuovo tutti seduti, leggiamo il testo intero e prendiamo confidenza con i personaggi. Alcuni ci stanno più simpatici, altri li troviamo divertenti, vivaci, tragicomici: Ceraseno Amedeo rimasto senza mano sul posto di lavoro, la signora Angelina, che a causa «della sua cattiva stella» ora rischia di perdere il posto di lavoro, Zampetti, povero marito il cui padrone va a letto con la moglie, la signora Elsa, cuoca andata in rovina per qualche bicchierino di troppo e così via. E… Pausa sigaretta. Dopo pochi minuti, eccoci di nuovo tutti pronti. Ora, come richiesto, ognuno (aiuto! Io no!) ha in mente un personaggio della storia appena letta su cui concentrarsi. Mi stupisco della semplicità con cui le cose riescono a prendere forma senza doverci nemmeno pensare, perché appena me lo chiedono le parole escono da sé: io sarò “Elsa”. È proprio una novità per me: il punto di forza sta proprio nel non pensare. Che liberazione! La scena si costella di tante personalità che ci guardano da lontano a cui noi, piano piano, cerchiamo di avvicinarci, prima facendo capolino, poi a passi lenti. Ci caliamo nelle loro storie. Lo facciamo in prima linea con il corpo, immaginandone le posizioni, iniziando a camminare come farebbero loro, cercandone i modi di fare. Chissà perché io ho scelto Elsa. Me la immagino una signora di cinquant’anni con il grembiule sporco di sugo: oggettivamente la cosa più distante da me che spesso nemmeno riesco a non bruciare il caffè. Entrare nei panni di qualcun altro ora significa trovare la nostra linea, il nostro dialetto, il nostro modo di essere altro per poi scoprire stupiti che c’è una parte di noi tra le pieghe di quello sconosciuto. Il pomeriggio sta finendo e penso che è la prima volta davvero che mi cimento in qualcosa che non so davvero se sono capace di fare. Questa incertezza, terribile compagna che ieri mi avrebbe fatto subito ritirare dal gioco, ora, (ancora una volta per la prima volta), mi incuriosisce, risveglia in me un desiderio di scoperta, un coraggio che non credevo di avere. Sono tante prime volte per un solo pomeriggio. Finalmente, più che al liceo, mi sento completamente all’asilo. (continua)

Sofia Longhini

]]>

L'autore

Condividi questo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

articoli recenti

questo articolo è di

Iscriviti alla nostra newsletter

Inviamo una mail al mese con una selezione di contenuti editoriali sul mondo del teatro, curati da Altre Velocità.