Scholomance (II), il performative environment creato da Nico Vascellari & guests, per il secondo giorno di Live Arts Week (http://www.liveartsweek.it/2017/it/). L’ambiente interno è occupato in gran parte da sculture di tubi in acciaio con annesse parti di corteccia e calchi di animali della foresta laccati in bronzo, accompagnati da neon colorati e dispositivi sonori. Su alcuni muri vengono proiettati video con diversi soggetti: le fronde di alberi mosse dal vento (a cui si accompagna involontariamente l’ombra degli alberi veri, presenti all’esterno della struttura, proiettata anch’essa sulle pareti), lo scoppiettare del fuoco in un braciere, una danza orientale. Il sound ambient, composto da suoni e rumori della natura mixati dal sintetizzatore, viene completato dal fischio di un simpatico vecchietto, simile a uno gnomo dei boschi, con la barba bianca, camicia a quadri e cappello in testa, che imitando i versi di numerosi uccelli si aggira per lo spazio insieme agli osservatori. L’happening coinvolge tre sensi: l’udito, la vista, il tatto. Gli interventi musicali di Dominick Fernow con il sintetizzatore fanno esperire senza dubbio al pubblico sensazioni uditive molto forti, mettendo anche a dura prova i timpani nei picchi di volume e altezza dei suoni, mentre gli urli cacofonici al microfono trasmettono un intento di rabbia e rivolta. La lingua umana ha un suo spazio, ma sempre per sottolineare un legame con la natura, ad esempio quando la parola albero viene pronunciata in svariate lingue, sfumando poi in suoni onomatopeici. Cristina Kristal Rizzo, danzatrice e performer, esplora il perimetro della struttura a occhi bendati, procedendo lentamente, fidandosi della memoria e della percezione, con in mano due palline da tennis. Dopo aver bevuto un sorso d’acqua, la sputa fuori, bagnando il pavimento e contribuendo così a modificare il paesaggio. Silvia Costa in una performance legge alcune voci del vocabolario delle scienze su animali estinti; in un’altra, più complessa e inquietante, si trucca fino a trasformarsi in un licantropo, una creatura con la testa coperta di peli, si toglie le scarpe, si straccia la maglia e i pantaloni con un pugnale e interagisce con un oggetto di metallo a forma di spicchio di mezzaluna. Grazie ai movimenti ampli e ai gesti dinamici, esso diventa un paio di corna di bue, un arco, una corda, un giogo. Poi l’artista si strucca, si riveste e ritorna nella società meccanica, informatica e alienante di cui tutti facciamo parte. In un’altra sala più buia, contemporaneamente, la coreografa Dana Michel svolge la sua performance: si muove rannicchiata, a scatti, meccanica, salendo al piano superiore e utilizzando i tubi dell’installazione. Dà l’impressione di essere un animale braccato e impaurito. In Scholomance (II) ci troviamo immersi in un rumore che rappresenta, secondo Nico Vascellari, la foresta del tutto e che include in sé l’origine dell’evoluzione. Attraverso vari stimoli assistiamo a un incontro, a volte trattato in modo riconoscibile ed efficace, altre volte in modo più misterioso e astratto, fra natura e artificio, primitivismo e progresso, folklore e tecnologia. Un incontro che stride, proprio come molti dei suoni che sentiamo.
Marta Buggio
]]>L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.