Costretto a spostarsi a novembre per ritardi burocratici indipendenti dall’organizzazione, torna dal primo al quattro novembre il festival calabrese Primavera dei Teatri, organizzato per il tredicesimo anno a Castrovillari (Cs) dalla compagnia Scena Verticale. Nonostante la dislocazione periferica, anzi forse in virtù di questa, la rassegna è diventata negli anni appuntamento imprescindibile nel panorama teatrale italiano. Si va a Castrovillari per discutere le arti della scena contemporanea: oltre agli spettacoli, il festival non ha mai rinunciato a darsi alcune linee di approfondimento, proponendo incontri, presentazioni di libri (quest’anno a cura del docente e studioso Dario Tommasello), workshop. Si torna da Castrovillari con le idee un po’ più chiare su un panorama, quello della scena teatrale italiana, e con domande nuove da porsi durante l’anno.
Abbiamo incontrato Saverio La Ruina, insieme a Dario De Luca direttore artistico della rassegna e fondatore della compagnia Scena Verticale
Ci racconti le linee di lavoro che vi siete dati per questa edizione?
Per Primavera dei Teatri non abbiamo mai individuare una linea, se questa viene intesa come tema. Per progettare percorsi “tematici” occorre potere programmare sul lungo periodo, cosa per noi molto difficile. Si tratta quindi di tenere i radar accesi su ciò che accade, con una grande attenzione ai giovani gruppi. Ci ha sempre contraddistinto una certa attenzione alle nuove drammaturgie, sia in senso classico, quindi testuale, sia visivo o installativo (non è un caso che a Castrovillari siano transitati anche in passato gruppi come Fanny & Alexander, Kinkaleri, Motus, la prima Accademia degli Artefatti).
Devo dire che il sistema teatrale italiano ci facilita la vita. La pigrizia delle grandi strutture, nelle stagioni invernali, lascia “fuori” molti spettacoli che meriterebbero di essere visti. Abbiamo quindi a disposizione un patrimonio di opere che vanno valorizzate.
Vorrei fare anche un discorso più generale, per far comprendere cosa intendo quando parlo di gruppi giovani. La presente edizione, come del resto tutte le altre, avrebbe potuto essere rafforzata se avessimo inserito spettacoli in qualche modo “sicuri”, che hanno avuto una discreta visibilità almeno nei festival estivi. La nostra scelta è sempre stata di segno opposto, nel tentativo di scommettere su proposte ancora poco viste, anche nell’ambito della ricerca. È il compito di un festival, o almeno del nostro: seguire le fasi del lavoro di gruppi giovani o che hanno poche possibilità di diffusione, e costruire insieme un debutto.
Entriamo più direttamente nel programma di quest’anno…
Il primo giorno si parte con Hi Mummy di Kronoteatro, che viene presentato nella stessa sera di Discorso Grigio di Fanny & Alexander. Da tempo stavamo tenendo d’occhio il gruppo di Albenga e, quando siamo stati a Genova con il nostro spettacolo, li ho raggiunti per vedere una prova, cosa che accade spesso quando siamo in turné. Kronoteatro è gruppo giovanissimo, contraddistinto da una energia esplosiva, ma con l’aggiunta del regista che non è giovane. Un’osmosi caratteriale e artistica che ci interessa molto. Il 2 novembre c’è Esiba Teatro, con Cianciana, gruppo di Siracusa composto da persone ventenni. Un lavoro che riflette le origini, il luogo da dove proviene, la Sicilia, latitudine dalla quale si continua a partire. Esiba è loro penultimo lavoro, che abbiamo preferito rispetto all’ultima produzione. In programma ci sono poi Oscar De Summa e Tino Caspanello, artisti già più riconosciuti. Altro percorso che ci ha molto interessato è il trittico di Costa / Arkadis, il Progetto sui manufatti artigiani. Sono un gruppo di Occhiobello che porta in Calabria tre spettacoli recenti, due dei quali di soli venti minuti. Nel panorama teatrale italiano ci è sembrato un percorso originale, che tenta di mettere a fuoco ciò che resta dei lavori artigiani e indaga una loro inadeguatezza nel mondo odierno “digitale”. Si parla anche di scuola, di insegnamento, dello smarrimento del rapporto educativo. Anche qui ci troviamo di fronte a un gruppo giovane, che è stato insignito dell’ultimo premio Dante Cappelletti.
In programma avete anche il nuovo spettacolo di Maria Teresa Berardelli, drammaturga che ha vinto il Premio Tondelli nel 2009…
La ragazza al buio debutta il 4 novembre, con La Berardelli c’è stato un percorso particolare. L’anno scorso era stata a Primavera dei Teatri con Il paese delle ombre, testo notevole ma con una messa in scena non soddisfacente. Le ho così proposto di provare a fare la regia dei suoi stessi testi, per vedere cosa sarebbe accaduto, anche solo per una volta. Penso sia importante mettersi alla prova in questo senso, per capire come si può far reagire la propria scrittura con il corpo e con la voce. Lei ha accettato la sfida, vedremo quindi l’esito a Castrovillari. Infine abbiamo Biancofango con Porcomondo, spettacolo più noto che parte da una materia perturbante, che “sporca” anche lo spettatore, e La Merda di Ceresoli e Gallerano, che tornano in Italia dopo avere vinto il primo premio al Fringe di Edinburgo.
È interessante notare, guardando al primo giorno, la vicinanza di Discorso Grigio di Fanny & Alexander (che ci rimanda un’immagine dei grandi sistemi, della sovrastruttura, della Storia) con Kronoteatro, che discute di rapporti famigliari, di storie piccole. Come dialogano questi due orizzonti?
Primavera dei Teatri ha sempre inteso offrire una panoramica delle direzioni attuali del teatro italiano, preservando la diversità dei linguaggi e dei temi. Rispondendo alla tua domanda in modo più personale, sono sempre più convinto che il teatro debba coinvolgere, e che ciò che accade sulla scena debba riguardare lo spettatore. Ci si può arrivare con testi classici, postmoderni, con attori brechtiani o stanislavskiani. Ma, mi chiedo: di fronte a una grande interpretazione, tali differenze sono da mettere in primo piano? Se una proposta mette in crisi le nostre certezze, e ci spinge a porci delle domande, credo che i discorsi che stiamo affrontando, pur importanti, possano rimanere sullo sfondo. Sono affascinato ugualmente dalla forza di un testo teatrale “tradizionale” e dalla potenza di un linguaggio visivo, mi colpiscono alcuni spettacoli “freddi” – spettacoli che ragionano, che costruiscono percorsi intellettuali – ma anche altri che toccano corde puramente emotive. Pensando al cinema, amo molto Clint Eastwood. Un artista asciutto che arriva però al cuore, e che riesce sempre a fermarsi un passo prima di divenire sentimentale, quindi manipolatorio.
Oltre alle drammaturgie, Primavera dei Teatri ha spesso messo al centro l’attore. Un parola-mondo che evoca storie e storiografie tra loro molto diverse (la tradizione, il post-drammatico, la performance, l’estetica relazionale ecc). Cosa ti colpisce oggi? Cosa cerchi nelle opere che vedi?
Io nasco come attore, ho studiato alla scuola di teatro di Bologna. Avendo poca o nessuna tradizione teatrale in Calabria, ho fatto di necessità virtù e mi sono messo a scrivere, calandomi quindi in una dimensione che apre prospettive che vanno oltre una “semplice” interpretazione. La tua domanda mi fa tornare alla mente un episodio che mi è accaduto in Toscana, durante una replica di Italianesi (pure in programma a Primavera dei Teatri, il 3 novembre). Al termine dello spettacolo un signore di 75/76 anni è venuto a dirmi: «Lei mi ha riconciliato con me stesso». Mi raccontò di avere fatto una scelta di vita di sopravvivenza, curandosi di non provare emozioni. Non so che esperienze avesse avuto, però questa frase mi è rimasta dentro, come un simbolo del grande potere del teatro. Sto parlando di un valore catartico che forse andrebbe recuperato, e non solo discusso o evocato. Allora mi viene da pensare che sia proprio questo che cerco nell’attore e nel teatro, al di là del linguaggio: dei momenti che facciano rinascere. Il personaggio si può distruggere, nascondere, e qui esprimo concetti ben noti. Ma, a mio parere, l’attore dovrebbe rimanere sempre un passo indietro rispetto al personaggio, proprio per mettersi in ascolto del pubblico, per aprirgli una porta di ingresso. Troppe volte vedo invece un egoismo, un narcisismo dell’apparire, ma così si sprecano una possibilità e una responsabilità. Se infatti si riesce a stare nel mezzo fra personaggio e pubblico, lì accade l’incontro, e il teatro. Troppe volte, invece, succede che mettiamo noi stessi davanti a tutto. Nel teatro di ricerca accade meno frequentemente, incontro spesso attori e attrici di grande livello, forse ancora di più in questi anni che negli ’80 e nei ’90.
Cosa accade a Castrovillari quando non c’è Primavera dei Teatri?
A Castrovillari esiste una stagione organizzata al teatro Comunale, stagione che non ci è mai stata affidata, per vari motivi. Quindi, durante l’anno, non accadono molte cose rilevanti, se non l’attesa di Primavera dei Teatri! In questi anni si è creato una zoccolo duro di cittadini che aspettano il festival e che vedono tutti gli spettacoli in programma, un vero e proprio “pubblico da festival”. Nella storia di Primavera dei Teatri ci sono stati molti casi di non adesione, o di smarrimento di fronte alle opere, ma la discussione è sempre rimasta accesa. Gli spettacoli che non sono stati capiti, o quelli meno riusciti, non hanno prodotto un rifiuto, una chiusura, ma un desiderio di vedere di più. Si è creato così un pubblico critico in un territorio che proponeva solo teatro commerciale, e che sarebbe pronto a difendere il festival. Da questa storia potremmo estrarre una considerazione generale: il pubblico, qualsiasi pubblico, deve potere vedere il teatro contemporaneo, anche con quello linguisticamente più radicale. Stiamo parlando di quantità di spettatori piccole? Non ne sono così convinto. Allo Stabile x, durante le repliche di uno spettacolo di giro, siamo certi che si vendano più biglietti che a Primavera dei Teatri? Non voglio fare un elogio del teatro di ricerca, anzi. Anche da noi ci sono scambi, piccoli clientele… fenomeni che non aiutano, che non fanno bene al teatro. Lo sforzo da fare è grande, ma esiste la possibilità di avvicinare un pubblico non specializzato al teatro in cui crediamo, e Primavera dei Teatri lo testimonia.
L'autore
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Tra i fondatori di Altre Velocità, è assegnista di ricerca presso il Dipartimento delle Arti all'Università di Bologna, dove insegna Discipline dello spettacolo nell'intreccio fra arte e cura (Corso di Educazione professionale) e Nuove progettualità nella promozione e formazione dello spettacolo al Master in Imprenditoria dello spettacolo. Immagina e conduce percorsi di educazione allo sguardo e laboratori di giornalismo critico presso scuole secondarie, università e teatri. Progettista culturale, è tra i fondatori di Altre Velocità e dal 2020 co-dirige «La Falena», rivista del Teatro Metastasio di Prato. Fa parte del Comitato scientifico dei Premi Ubu. Usa solo Linux.