Questo diario dal festival di Santarcangelo è prodotto dal “Laboratorio itinerante di giornalismo culturale in Romagna“, organizzato da Altre Velocità, che segue cinque festival estivi del territorio romagnolo.
Guxxi Fabrika arriva per la prima volta in Italia con Santarcangelo Festival 2023. Esperimento che tesse aspetti performativi, laboratoriali ed espositivi, come un ordito si muove in maniera trasversale e capillare nel festival, portando in piazza Ganganelli macchine da cucire, ago e filo, attorno ai quali si sta radunando in questi giorni un’affezionata comunità. Il progetto nasce tre anni fa dalle artiste lettoni Cote Jaña Zuñiga, Klinta Šinta, Anta Pole e Marta Rubene, per riflettere sulla produzione e sul senso del valore degli artefatti umani, con un focus particolare su quelli tessili.
L’Agenzia europea dell’ambiente stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile a causa dei vari processi a cui i prodotti vanno incontro, come la tintura e la finitura. Il 10% delle emissioni globali di carbonio sono prodotte dall’industria della moda, più del totale di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo messi insieme, e ogni anno circa 90 milioni di capi di abbigliamento finiscono nelle discariche, inquinando falde e suolo con microplastiche e prodotti chimici. Le condizioni lavorative nei luoghi in cui vengono dislocate le produzioni di abbigliamento sono basate su sfruttamento, salari da fame e orari che non concedono riposo. Per non parlare delle morti sul lavoro, come per esempio i 250 dipendenti della fabbrica tessile pakistana di Ali Enterprises, uccisi da un incendio nel 2012, o il complesso di Rana Plaza in Bangladesh dove nel 2013 sono morte 1.134 persone e 2.500 feriti sono stati recuperati sotto le macerie.
La drammaticità di tutta questa situazione viene ripresa da Guxxi Fabrika con una mimesi ironica, denunciando le ipocrisie della moda, smontando la sacralità di cui si investono i grandi brand di lusso e invitandoci a riflettere sul valore dei prodotti scintillanti seriali che troviamo negli scaffali, camuffati da bisogni. Abbiamo incontrato le artiste con le mani in pasta, o meglio, con le mani in stoffa. Con il contributo di alcuni visitatori stavano confezionando delle borse e nel pomeriggio hanno realizzato una tenda parasole che fungesse da riparo dal caldo canicolare. «Questa sorta di fabbrica vorrebbe ridiscutere il senso del lavoro e della produzione», ci raccontano le artiste, che invitano la cittadinanza a cimentarsi nella realizzazione di un prodotto tessile con le proprie mani, per comprendere il valore del tempo e delle competenze. Un cartello dice “Rimani quanto preferisci”, permettendo ai visitatori di sostare, giocare, chiacchierare o semplicemente avvicinarsi alla realtà della produzione di Guxxi Fabrica, per stimolare sguardi più consapevoli. C’è anche la possibilità di portare a casa alcune delle opere, ma non è ammessa la compravendita né l’uso del denaro; quello che le artiste vogliono stimolare è il baratto consapevole, per educarci come comunità alla possibilità alternative oltre il sistema denarocentrico. «Non sempre la negoziazione è facile, non siamo abituati a dare il giusto valore alle merci. La produzione in serie e le grandi catene di fast-fashion promuovono una visione distorta sia dei costi che del valore effettivo», ci raccontano le performer.
Siamo immersi in un mondo turbocapitalista che sottostima e svaluta l’artigianato, e nel mercato vengono imposti prezzi al ribasso a discapito di lavoratrici, lavoratori e dell’ambiente. Nelle narrazioni pubbliche, però, le pesantissime falle di questo sistema non trovano posto; al contrario, tutto sembra luccicante e imperdibile. La parte esperienziale del percorso di Guxxi Fabrica in questo senso è fondamentale: solo costruendo con le proprie mani è possibile comprendere il reale valore dell’artefatto, il tempo impiegato e le abilità richieste, ma anche l’inventiva e la creatività. Un paio di jeans non può costare una decina di euro: se il suo prezzo è così basso, significa che il vero costo non lo stiamo pagando noi.