altrevelocita-logo-nero

Ricordami di me. Su "Antologia di S" di Muta Imago

di Altre Velocità

Un lunedì come tanti, un lunedì per ricominciare, fare progetti, ripetersi le scadenze che presto dimenticherai, fare il piano della settimana e, come di consueto, non rispettarlo mai.
Anzi, credo che non fosse lunedì. Mi sono sbagliata: era venerdì; ho appena controllato l’agenda.
Il ricordo mente sempre, sfalsa giorni, ore, sensazioni, amori.
Venerdì, ore 17.30, Zoom, incontro con Rodolfo Sacchettini.
Ci sono, finita per sbaglio, caso, curiosità, ma ci sono.
Argomento dell’incontro: radiodramma.
Introduzione – ascolto di Danger, primo radiodramma nella storia, datato 1924 – ascolto di alcuni minuti di Intervista aziendale, radiodramma datato 1968 – ascolto di alcuni minuti di Antologia di S., podcast datato 2015 – consigli su podcast da ascoltare – conclusione.
Scrivendo una sintesi piuttosto asciutta, l’incontro con Rodolfo Sacchettini è andato così.
Eppure non posso tralasciarla, la meraviglia che ho provato nell’ascoltare, anche solo per pochi minuti, la storia (e la voce delicatissima dell’autore) dell’Antologia di S., che mi ha subito affascinato.
E alla fine dell’incontro ho subito pensato: «La vado ad ascoltare».

Così è stato, il giorno dopo o forse il giorno dopo ancora; nel ricordo che giorno era poco conta.
Ascoltati tutti di fila i sei podcast di Riccardo Fazi dei Muta Imago, mi hanno incantato.
Sin dall’inizio del racconto il mio viso aveva la compagnia di qualche goccia di troppo e mi chiedo perché e non trovo una risposta; quando si piange non la si sa mai.
La storia è per gli ultimi romantici: rincontrare chi si è amato o almeno si credeva di amare a quattordici anni.
Riccardo, nella libreria a casa del padre, ritrova una musicassetta, la ascolta e, all’inizio della playlist degli anni 90, la voce di lei “Ciao Roma, ci vediamo a Santarcangelo!”, fresca, pura e cristallina.
Lo chiama Roma, fa una metonimia, ma lei forse non lo sa; ha solo quattordici anni. Perché Riccardo Fazi viene da Roma e nella sua adolescenza trascorre una vacanza estiva insieme ai suoi genitori a Rimini, dove incontra lei, di cui non ricorda neppure il nome: sono passati ventidue anni da quell’amore durato tre giorni.
Di lei non ha il numero, mail, contatto Facebook, nome, nulla. Se non la sua voce in quella musicassetta dimenticata tra i libri.
E da vero romantico parte, decide, la va a cercare: la vuole trovare.
Treno, direzione Santarcangelo.
Appena arrivato in paese, si mette alla ricerca del suo amore perduto: ha con sé la cassetta, un registratore, due microfoni e qualche ricordo stropicciato di lei.
La ricerca inizia e Riccardo trascorre le giornate in paese, chiedendo informazioni ai cittadini di Santarcangelo. A loro racconta che sta cercando la sua lei di ventidue anni fa. La descrive ogni volta a chi incontra e un giorno lei ha trentaquattro anni, un altro forse trentacinque, un giorno ha i capelli castani e lisci, un altro biondi, un giorno fa pallavolo e un giorno nuoto, ma sugli occhi Riccardo non tentenna: gli occhi di lei sono chiari chiari.
Il ricordo mente sempre, sfalsa gli anni, i colori, gli sport, gli amori.
I cittadini di Santarcangelo partecipano a questa ricerca dell’amore perduto; chi con entusiasmo e chi con diffidenza: uno straniero è entrato in paese e non si sa mai come accoglierlo.
Molti forniscono informazioni preziose per la ricerca, altri non vogliono proprio saperne di questa storia di altri tempi, ma quasi tutti si perdono nel ricordo. Di una giovinezza ormai congedata. Di un paese che non è più come quello di vent’anni fa, perché vuoi o non vuoi anche i paesi cambiano, sebbene chi ci abiti abbia uno spirito antico e vorrebbe che il paese rimanesse intatto così per secoli, così per sempre.
Altri invece si perdono nel ricordo di una scelta, la più dura e dolorosa: partire o restare? C’è chi è soddisfatto di essere rimasto in paese e chi invece si chiede chissà come sarebbe andata se…
Le storie che vengono raccontate a Riccardo sono commoventi, perché vere. Le voci dei cittadini sono tutte registrate e se si ascoltano attentamente ogni tanto soffia un sospiro di troppo: quello del rimpianto. Di scelte sbagliate, progetti ideati e mai realizzati, amori che sarebbero stati più volentieri accantonati.


Tuttavia dalla loro voce trapela (oltre all’accento romagnolo) una dolce malinconia di un tempo bellissimo, forse perché passato.
Il ricordo mente sempre, sfalsa gioie, dolori, scelte, amori.
«Ti è rimasta nel cuore o nella mente?», osa chiedere un signore a Riccardo, che risponde con un intelligente «Ci penso un po’». Chi pensa lavora con la mente e Riccardo, in modo sibillino, si svela anche se forse nessuno se ne accorge.
In paese quasi tutti credono che Riccardo sia ancora innamorato di lei. Non è così, ma piace anche a me credere che lo sia. Altrimenti perché si va alla ricerca di un amore perduto se non per ritrovare l’amore? Forse sì, Riccardo è innamorato. Non di lei. Ma di ciò che lei rappresenta ora per lui: il suo passato, la sua giovinezza e gli anni più belli. Vuole ritrovare lei per ritrovare lui, per ricordarsi chi è stato prima di diventare grande e poi dimenticarselo.
Alla fine, quasi come in una caccia al tesoro, indizio per indizio, la trova.
A un tratto si era quasi disinteressato di lei, immerso e incantato dalle tante storie raccontate dagli altri, da tutte quelle trame che avevano come filo conduttore Santarcangelo. Vite unite da un paese.
Si fa dare l’indicazione dello studio di lei, ma non vuole il suo numero: non vuole conoscerla, sentire come è cambiata la sua voce, vuole solo osservarla da lontano. Forse solo per sapere cosa è rimasto della lei quattordicenne.
«I suoi occhi sono appena più scuri di come li ricordavo», dice Riccardo quando finalmente, dopo quattordici giorni di ricerca e ventidue per trecentosessantacinque di dimenticanza, la guarda negli occhi.
Chissà chi glieli ha iscuriti, quale dolore, quale sconfitta, li ha resi più bui. Ma questo Riccardo non lo saprà mai. Non chiede chi è diventata, se è ricca, se è felice, se è sposata. Non gli interessa il suo futuro, perché per lui è rimasta per sempre nel 1993.
Forse era più bella nel ricordo. Forse solo perché era di ventidue anni fa.
Il ricordo non mente, abbellisce solo là dove non ce ne era bisogno perché era già bello così: l’amore.
Non una parola tra i due, solo uno sguardo attraverso una vetrina.
Lui la riconosce nei suoi quattordici anni, non vestita nei suoi forse trentacinque.
E attraverso di lei si riconosce anche lui.

Marta Costantini

]]>

L'autore

Condividi questo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

articoli recenti

questo articolo è di

Iscriviti alla nostra newsletter

Inviamo una mail al mese con una selezione di contenuti editoriali sul mondo del teatro, curati da Altre Velocità.