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(foto di Alejandro Palacios)
(foto di Alejandro Palacios)

Rafael Spregelburd, corpo creativo e pensiero organico

di Francesca Di Fazio

Fra novembre e dicembre dello scorso anno, alla Fondazione Teatro Due di Parma si è svolto un focus su Rafael Spregelburd, drammaturgo, regista teatrale, attore teatrale e cinematografico argentino. Tre spettacoli si sono avvicendati: la prima nazionale di Inferno, ultimo lavoro scritto, diretto e interpretato da Rafael Spregelburd insieme alla sua compagnia El Patrón Vázquez; la prima nazionale di Pundonor, co-diretto da Andrea Garrote e Rafael Spregelburd, prova attoriale magnifica per Garrote nella drammaturgia firmata dall’attrice stessa; infine, la prima assoluta di Diciassette Cavallini, ardito esperimento di residenza e creazione diretto da Spregelburd presso il Teatro Due con gli attori dello stabile Laura Cleri, Davide Gagliardini, Luca Nucera e Massimiliano Sbarsi, affiancati da Alberto Astorri, Valentina Banci, Pavel Zelinskiy.

I tre spettacoli, andati in scena per il Teatro Festival Parma nel teatro nato dall’allora Compagnia del Collettivo, hanno portato in Italia uno spaccato della scena contemporanea argentina, di cui Spregelburd è l’esponente più riconosciuto. Drammaturgo, regista teatrale, attore teatrale e cinematografico argentino, Rafael Spregelburd ha all’attivo circa una trentina di testi teatrali, tradotti in più di quindici lingue. Il suo stile drammaturgico si distingue per la vertiginosa complessità narrativa, in cui si intrecciano molteplici livelli prospettici e cambiamenti di angolature, che a loro volta riflettono un’ironia pungente e una visione frammentata della contemporaneità. Pur definendo se stesso un “autore a tavolino”, che confeziona i propri testi in solitudine, Spregelburd ha imparato a scrivere il teatro a partire dalla sua pratica attoriale, dal contatto con il palcoscenico. Nelle sue creazioni, così, continua a evocare e a dare spazio al potere dell’attore nella creazione scenica: «L’attore non è solo un illustratore di idee altrui, egli pensa con il proprio corpo», ha riferito in un’intervista a Repubblica.

È secondo tale principio che il teatrista argentino ha lavorato alla realizzazione dello spettacolo Diciassette Cavallini, una rivisitazione contemporanea del mito di Cassandra. La riflessione su un futuro non controllabile è un tema che è stato scelto dall’autore insieme agli attori, e il testo è stato scritto da Spregelburd specificatamente per quel particolare ensemble. Come confermato dagli attori Valentina Banci e Luca Nucera, che hanno gentilmente risposto ad alcune domande volte ad arricchire questo approfondimento, si tratta di un procedimento più unico che raro in Italia.

(foto di Andrea Morgillo)

L’opera si apre in uno studio di psicanalisi dove una donna, che si identifica con Cassandra, si confronta con il suo analista. Il suo problema? Vede il futuro, ma solo quando è oscuro e pieno di orrori. Questa condizione, che richiama il mito della principessa troiana maledetta da Apollo, funge da scintilla per l’esplorazione di un intreccio narrativo complesso che sfida i confini del tempo e dello spazio: passato, presente e futuro si mescolano senza una linea logica precisa, in un gioco continuo di rimandi e sovrapposizioni. Lo spettacolo si ispira liberamente al mito, intrecciando la memoria antica con le complessità della psicanalisi, della fisica quantistica e della condizione umana contemporanea. I “diciassette cavallini” del titolo sono un’allusione diretta ai guerrieri greci che, nascosti nel cavallo di legno, distrussero Troia.

Tuttavia, questi personaggi diventano un simbolo più ampio: rappresentano le forze caotiche e imprevedibili che irrompono nella vita e che spesso si manifestano sotto forma di nevrosi, traumi o visioni. Il tema del controllo e dell’inevitabilità del destino si riflette nella struttura stessa dello spettacolo, che sfugge alla linearità per esplorare infinite possibilità e biforcazioni narrative. La scenografia, kitsch e sovraccarica, diventa un elemento narrativo essenziale: ogni oggetto, dall’enorme cavallo gonfiabile alla Jeff Koons agli orologi e ai manichini, contribuisce a creare un’atmosfera puntellata di simboli, a somiglianza dei paesaggi dei sogni. Un ambiente visivo che riflette lo stato mentale dei personaggi, intrappolati tra realtà e immaginazione.

Lo spettacolo si divide in due parti: L’oracolo invertito, dominato dalla figura di Apollo, e I diciassette cavallini, che invece si richiama a Dioniso. La prima parte esplora il rapporto tra ragione e caos, ordine e disordine, attraverso una narrazione che si sviluppa in modo frammentario ma comunque lineare. I personaggi, tra cui un nevrotico ludopatico e un mitologo che cita Robert Graves, si muovono in un labirinto di storie che sembrano condurre verso una verità, ma finiscono per rivelare solo altre domande. La seconda parte, più dichiaratamente dionisiaca, abbraccia il caos e l’esagerazione: i ruoli si moltiplicano, gli attori si trasformano, e il palcoscenico si riempie di situazioni surreali che sembrano ripetersi all’infinito. Gli attori ripetono più e più volte le stesse battute, camminano all’indietro, ripercorrono le stesse azioni in una spirale atemporale che sembra non avere fine.

Dietro questa apparente confusione, però, c’è una riflessione profonda sul ruolo del teatro. Spregelburd utilizza la scena per decostruire le aspettative del pubblico, ribaltando i rapporti tra spettatore e spettacolo. Il teatro non è qui un semplice intrattenimento o una narrazione rassicurante, ma un luogo di scoperta, dove il senso si costruisce e si decostruisce continuamente. È un universo esploso e “DISintegrato”, come Spregelburd stesso definisce il suo teatro.

(foto di María Bäumler)

Se di primo acchito appare un po’ bizzarro vedere attori italiani interpretare il teatro “molto argentino” di Spregelburd, colmo di parole, intensità e grida, gli attori dell’ensemble si muovono con abilità in questa complessità, portando in scena personaggi sfaccettati e mutevoli. Valentina Banci dà vita a una Cassandra intensa e stratificata, mentre Luca Nucera, Pavel Zelinsky e Massimiliano Sbarsi interpretano ruoli che passano dal tragico al comico con grande versatilità. Gli elementi visivi, dal design scenografico di Alberto Favretto ai costumi colorati di Giada Masi, aggiungono una dimensione visiva potente.

I lavori attorno a Diciassette Cavallini sono iniziati circa due anni prima del debutto, e si sono articolati in diverse sessioni di residenza artistica durante questo tempo. Già dalle primissime prove, Spregelburd ha chiesto agli attori di cominciare a improvvisare, lasciando loro grande libertà creativa. «Le improvvisazioni erano ancorate nel palcoscenico, e nei nostri corpi di attori», racconta Nucera. «Alcune sono diventate poi parti centrali dello spettacolo, come l’esecuzione ripetuta di azioni riavvolte all’indietro (immagine costante della seconda parte dello spettacolo, ndr). Come attore, non ho mai lavorato tanto e con tanta precisione a un movimento di rewind sul palco».

Il principio dell’improvvisazione è volto, in Diciassette Cavallini – ma anche in altri lavori dell’autore, com’è chiaro in Inferno – a scongiurare l’intento rappresentativo a teatro. L’inventiva momentanea spezza la mimesi e propone parentesi di senso alterato. Il meccanismo dell’improvvisazione diviene così funzionale alla scrittura drammaturgica e agisce come la “scrittura automatica” dei surrealisti, riducendo frapposizioni censorie di tipo razionalistico.

«Ho continuato a praticare l’improvvisazione dopo l’accademia», spiega Banci, «e ho sempre cercato di salvaguardarla. Tuttavia, in Italia è rarissima. I registi Valerio Binasco e Paolo Magelli un po’ la utilizzano, ma in maniera diversa: Rafael non è solo regista, ma anche drammaturgo e attore. Questo determina una doppia ricchezza, perché tutte le improvvisazioni confluiscono poi non solo nella dinamica scenica, ma anche nella scrittura. È un connubio che spesso manca, ed è questa mancanza che a volte rende difficile il lavoro con autori contemporanei». Talvolta, anche le cose che sembravano più lontane dal tema dell’improvvisazione, rientravano alla fine nell’orizzonte di senso più ampio dello spettacolo. Come riporta Banci, «Rafael accoglie ogni proposta, poi le lavora e le fa rientrare attraverso la finestra. Compie delle magie creative».

Tale procedimento è evidente anche nello spettacolo Inferno, l’ultimo lavoro argentino di Spregelburd, in cui egli stesso recita affiancato dagli attori della sua compagnia. Anche qui, una scenografia ricolma di oggetti e oniricamente drappeggiata accoglie lo spettatore, facendolo entrare in un viaggio alla Essere John Malkovich nella mente del protagonista.

(foto di María Bäumler)

Al centro della narrazione c’è Felipe, un giornalista di rubriche turistiche, interpretato da Spregelburd, che si risveglia in un incubo: il Vaticano ha abolito l’inferno, decretandolo non più un luogo ma un’entità onnipresente: l’inferno è nel linguaggio. Felipe riceve questo messaggio da due enigmatiche donne (Andrea Garrote e Violeta Urtizberea), inviate in sogno per guidarlo attraverso una bizzarra ricerca di redenzione. In un vertiginoso regno della Parola, il protagonista deve raccogliere sette chiavi simboliche, corrispondenti alle virtù teologali.

L’umorismo tagliente e il sarcasmo danno profondità a un’opera che affronta anche temi universali e dolorosi, come la memoria dei desaparecidos, integrandoli nella dialettica tra salvezza e condanna. Inferno invita lo spettatore a interrogarsi sulla natura dei propri errori, sulla possibilità di redenzione e sul potere inestinguibile del linguaggio: «le parole si comportano come virus. Il loro obiettivo è sopravvivere a qualunque medicina».

Negli universi drammaturgici che Spregelburd costruisce, nei suoi testi che sono dei percorsi apparentemente caotici e in verità perfetti come una mappa, egli include le improvvisazioni nate sul palcoscenico. Spregelburd non si limita tuttavia a spiluccare dalle proposte degli attori per nutrire il proprio precipitato drammatico. L’apporto che egli chiede agli attori va più nel profondo, fino a creare una forma di vera e propria co-creazione drammaturgica. È quello che è successo nella collaborazione con gli attori del Due, come spiega Valentina Banci: «Oltre a vedere confluire le nostre improvvisazioni nel testo, Rafael ci ha chiesto di collaborare al secondo passaggio a tavolino, quando ha messo nero su bianco le nostre proposizioni. Abbiamo partecipato attivamente a ritoccare lo scritto, abbiamo lavorato con lui alla sistemazione, e poi di nuovo lo abbiamo confrontato con la scena, cambiando ancora le dinamiche. Si tratta di un organismo vivo».

È questa attenzione alla parte organica del teatro che porta Spregelburd a costruire quelle che lui stesso chiama «forme biologiche stabili e complesse». Riprendendo l’immagine della mappa per riferirsi al testo drammaturgico, una mappa serve a far sì che degli esseri viventi si muovano all’interno di un dato spazio: se prima non l’attraversano gli attori con il loro corpo creativo e l’autore col proprio pensiero organico, come potrebbe infine lo spettatore giungere a destinazione?

L'autore

  • Francesca Di Fazio

    ricercatrice di Storia del teatro presso l’Università di Bologna e docente a contratto presso l’Università Sorbonne Nouvelle e l’Università di Strasburgo. Ha conseguito il dottorato presso l’Università Paul-Valéry Montpellier 3 nell’ambito del progetto ERC “PuppetPlays” e in cotutela con l’Università di Bologna con la tesi La marionnette et son drame. Les dramaturgies pour le théâtre de marionnettes contemporain en France et en Italie (1980-2020). Qualificata come Dramaturg Internazionale presso la Scuola I. Gazzerro di ERT, nel 2020 co-scrive il radiodramma Claudio e Gertrude sono morti, produzione Teatro Metastasio con la regia di Roberto Latini, e Phoenicopteridae di Collettivo Inciampo, vincitore del bando Di nuovo Eretici. Nel 2021 il testo è trasposto in radiodramma dal Teatro i di Milano, con la regia di Renzo Martinelli. Tra il 2021 e il 2023 il testo Oracoli è portato in scena da Elisa Cuppini e Savino Paparella. Scrive o ha scritto su Altre Velocità, Stratagemmi - Prospettive teatrali, PAC.Haut du formulaireBas du formulaire

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