Arriviamo a Villa Pini in una giornata di pioggia, in bicicletta. Ci aspetta fuori dalla porta dell’ingresso Gabriele Zagnoni, dentro un impermeabile che sembra troppo grande per lui. È il regista di Radar Project, il progetto che vede alcuni artisti tra attori, autrici, regista, scenografo e tecnico, uniti appositamente per l’occasione.
Una volta che tutto il gruppo ci ha raggiunto, entriamo nella villa. Cerchiamo la stanza giusta in cui fare le nostre interviste, quella più luminosa, senza eco. Finiamo per scegliere quella al secondo piano, in parquet, perché le finestre grandi fanno entrare la luce anche con la pioggia ma, guarda caso, è comunque quella con più eco. Non importa, iniziamo.
Gabriele ci rivela come è nato questo progetto, in un viaggio iniziato da Rimini e giunto fino a Parma. Proprio in quest’ultima tappa del loro percorso hanno incontrato Roberto Spaggiari, figlio di proprietari terrieri. Roberto pare avere ricevuto un’interessante proposta da entità inizialmente ignote (che si scopriranno poi connesse alla ‘ndrangheta) per l’acquisto delle sue terre ai fini di costruzione. È questa la storia che il gruppo vuole raccontare: lo capiscono tutti subito. E lo capiamo anche noi, perché mentre Gabriele ce lo racconta è travolto da un’ondata di entusiasmo: questo spettacolo si propone proprio di essere il racconto di una scelta, di chi ha deciso di non cedere alle provocazioni e alle tentazioni, di un luogo che sfugge a becere dinamiche di mercato, di costruzione e corruzione, di arresa. E proprio alla luce di questa presa di posizione, nasce un luogo in cui, al posto di una schiera di edifici, ne sorge una di alberi: insomma, un bosco vero e proprio.
Dopo Gabriele ci raggiungono lo scenografo Cesare Nanni e l’attore Daniel Sansalone, che si susseguono in una serie di racconti tra ricerca della sacralità nella resa dello spazio in scena e la paura, per giovani artisti come loro, di affrontare il futuro incerto e zoppicante che il mondo offre, e in qualche modo, dunque, di “buttarsi nel vuoto”.
Dopo di loro entrano in sala le due autrici (ma anche attrici presenti in scena), Noemi Pellicciari e Cecilia Lorenzetti. Sono così legate da sembrare a tratti un corpo unico e ci ammaliano raccontandoci del loro intenso lavoro alla ricerca del sacro, tra parola poetica e corpo. Il testo nasce attraverso le letture di grandi autori come Pavese e Celati, che si mischiano poi ai versi delle due. Si parte da una storia reale, quella del signor Spaggiari, che viene resa in scena attraverso figure archetipiche come il matto dei tarocchi, gli spiriti del bosco e infine l’uomo comune, che insieme rendono epico e grandioso questo racconto.
Ora scendiamo tutti insieme al piano di sotto, il gruppo per provare e noi per assistere alle loro prove: li guardiamo mentre discutono, ballano un valzer, recitano in coro, si ascoltano, si scontrano. Sullo sfondo di un oblò in cui vengono proiettate prima la pioggia poi una schiera di alberi, gli attori in scena si muovono guidati dal regista, in continuo ascolto e messa in discussione. Riflettono insieme sulla giusta via da prendere, ragionano sul mondo più vicino a loro per raccontare una vicenda che sta loro a cuore, si cimentano in esercizi del corpo. Si vede proprio bene, sono una squadra. Ma ormai è calata la sera ed è tempo per noi di andare. Lasciamo lavorare il gruppo senza i nostri occhi curiosi che si posano su di loro, compresa la nostra telecamera che li sta ormai seguendo a ogni mossa da tutto il pomeriggio. Salutiamo gli artisti del gruppo e inforchiamo le nostre biciclette per tornare in centro, dove il sacro tanto ricercato in questa villa lontana da tutto si disperde nell’aria, tra lo smog dei viali e i vicoli male illuminati del centro.
L'autore
-
Sospesa tra le Marche e l'Emilia, si laurea in lettere moderne a Bologna, sua mamma adottiva. Prosegue con italianistica e, nel mentre, cerca se stessa tra corsi di recitazione e di scrittura. Inciampa nel laboratorio di critica e giornalismo a Vie Festival 2017 e da allora Altre Velocità la accoglie a casa.