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Racconto di un enigma. Claire Heggen e il lavoro sul movimento

di Altre Velocità

Le virtù della marionetta ideale presso il Centro La Soffitta (13 febbraio 2017), ci ha raccontato il «mimo corporeo» di E. Decroux, suo maestro, e della sua filiazione a quello strano concetto che è la supermarionetta di E.G. Craig, uno dei padri fondatori della regia di inizio Novecento. Dove finisce l’arte della marionetta e inizia il mimo corporeo? Ma soprattutto: cos’è la marionetta? È proprio questo l’enigma da svelare, un enigma che non prevede una soluzione univoca, ma stimola a ricercare una risposta. A cogliere la sfida è proprio Decroux che vede nella supermarionetta la metafora dell’attore ideale. Da buon macellaio quale è stato da giovane, Decroux disseziona il corpo umano, lo ispeziona nelle sue articolazioni, lo fa muovere nello spazio e nel tempo e ne crea una vera e propria danza. Claire ce lo mostra praticamente: la scomposizione del corpo rende i suoi movimenti meccanici, i suoi arti seguono una logica naturale legata alla loro conformazione. Claire appare dunque come un automa, una marionetta per l’appunto, i cui fili sono mossi da un burattinaio invisibile. Ma a questa “ginnastica segmentata” segue un flusso continuo: viene fatta «colare l’acqua sui passi» e i movimenti che prima apparivano slegati, ora sono sciolti e morbidi, per quanto geometrici e ritmati al tempo stesso. A prima vista non è chiaro quale sia il motivo di fondo di questo lavoro e di queste performance. Claire invece, dopo anni di studio, di incertezze e di sperimentazione, ha ben chiaro dove questa pratica si sta dirigendo, ovvero verso la ricerca di una teatralità del movimento attraverso il coinvolgimento creativo e ludico del corpo. «Nella nostra arte [il teatro],» dice Decroux «il corpo dell’uomo è materia; dev’essere quest’ultimo ad imitare il pensiero». A partire da quest’idea e dai principi sul movimento del maestro, la Heggen lavora sul corpo nella sua materialità, sull’ascolto dell’emozione e del pensiero che nascono dal movimento stesso e non viceversa. Avviene così la spersonalizzazione dell’individuo, che si oggettiva presentandosi sul palcoscenico solo in quanto essere vivente. Sulla scena non troveremo né personaggi né storie, ma semplicemente un’esistenza, «un dramma ontologico», come lo definisce la Heggen. Le maschere sono parte essenziale di questa ricerca, in quanto l’espressività facciale manifesta emozioni personali, logica base del realismo naturalistico di inizio XX secolo, contro il quale sia Craig che Decroux vogliono lottare, l’uno affermando che «l’attore deve restare fuori dal suo personaggio» l’altro che «l’attore deve far vedere la propria arte, senza mostrare la propria persona», ovvero «essere al contempo soggetto e oggetto d’arte». La maschera permette dunque di ridare primato al corpo; il passo successivo è la “marionetizzazione dell’attore” tramite il posizionamento di maschere neutre su tutto il corpo, in modo tale da rendere le singole parti autonome in una sorta di metonimia in cui «le parti recitano per il tutto». Claire ci mostra un esempio a riguardo: indossa una maschera sul viso, un’altra sul ginocchio sinistro. Il suo corpo è coperto da vestiti neri, il suo polpaccio sinistro si è invece colorato di un rosso acceso. Claire sparisce. A terra c’è una madre che cuce. Il suo bambino appoggia la testa sulla sua gamba e sonnecchia. È vivace, lo capiamo non appena si sveglia: saltella di qua e di là, le va addosso facendole i dispetti. La madre a un certo punto perde la pazienza e lo sgrida. Lui singhiozza, ma torna dal genitore che lo culla tra le sue braccia per farlo riaddormentare. Si è tranquillizzato il piccolino. Finalmente la madre può tornare al suo lavoro. È un mistero come da un solo corpo ne siano apparsi improvvisamente due, estremamente legati, ma incredibilmente indipendenti. È un mistero come i nostri sensi abbiano perso la di vista Claire e abbiano accettato, senza farsi troppe domande, l’apparizione inaspettata di due figure. Le performance del Théâtre du Mouvement nascono a partire da improvvisazioni su un tema, senza una drammaturgia a priori (come ad esempio il tema degli animali mutanti), oppure a partire da oggetti o marionette, partecipanti attivi alla scena e alla sua costruzione drammaturgica. Soggetti e oggetti dialogano tra loro e vicendevolmente si scambiano le caratteristiche della propria natura: il soggetto si oggettiva e l’oggetto si soggettiva. Tenendo in mano una marionetta ricoprente tutto il braccio, Claire sparisce e quel braccio-figura diventa autonomo, si muove seguendo tutte le linee spaziali possibili. Il tutto spesso può diventare poetico e intriso di significato, sempre se lo si vuole vedere. Un corpo che tiene fra le braccia un fantoccio bianco, piccolo, steso e senza vita, ricoperto da un velo bianco; un corpo che si lascia trasportare da questa figura inerte e inanimata, che la segue, la abbraccia, lotta con essa per allontanarla (invano), non è priva di significato e di una storia. Ma questo racconto ha un senso universale, non individuale. Siamo davanti a figure, non a personaggi. Siamo di fronte a un corpo che si muove nello spazio e nel tempo. Claire Heggen si congeda, di certo non lasciandoci senza interrogativi, ma forse con qualcosa a cui pensare. “Disegna” sulla scena i propri contorni, la propria figura: ci mostra le sue due personalità, donna e marionetta. «Sono, sono stata una supermarionetta senza saperlo, oggetto e oggetto d’arte, che tenta di far vedere la propria arte senza mostrare la propria persona».

Ilaria Cecchinato

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