Tempi Moderni (1936), Charlie Chaplin vestiva i panni di un operaio disumanizzato dalla ripetitività dei gesti e dai ritmi di lavoro infernali nella catena di montaggio. In quella che è diventata una delle immagini più iconiche del cinema del Novecento, le conseguenze dell’alienazione urbana industriale erano portata all’estremo e Charlot veniva letteralmente “assorbito” dagli ingranaggi della macchina. È il tema prettamente novecentesco dell’irruzione della modernità, quello del rapporto uomo-macchina, dell’alienazione dell’operaio nel suo oggetto. Ma come parlare oggi di classe operaia e di coscienza di classe in una società automatizzata e governata dalla tecnologia che ha perso qualsiasi slancio rivoluzionario? Oggi che l’incubo del lavoro precario e dei contratti a termine ha sostituito quello del lavoro a cottimo in fabbrica?
[caption id="attachment_1515" align="alignnone" width="850"] ph Mariangela Cicciarella[/caption]
Queste sono solo alcune delle domande che La classe operaia va in paradiso si pone (e ci pone). Ha debuttato il 31 gennaio al Teatro Storchi di Modena la nuova produzione ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione, con regia di Claudio Longhi e drammaturgia di Paolo Di Paolo (si vedrà in regione fra Bologna, Vignola, Ravenna, Cesena: il 6 febbraio al Teatro Asioli di Correggio, dall’8 all’11 febbraio al Teatro Bonci di Cesena, dal 14 al 18 febbraio all’Arena del Sole di Bologna, dall’8 all’11 marzo al Teatro Alighieri di Ravenna e dal 13 al 15 marzo al Teatro Novelli di Rimini, qui tutte le prossime date). Lo spettacolo è tratto dall’omonimo film di Elio Petri del 1971 che si proponeva di rappresentare la vita e l’alienazione della classe operaia, mettendo in luce non solo lo sfruttamento da parte della classe dirigente ma anche il servilismo dei sindacati e l’intellettualismo astratto e fallace delle rivolte studentesche. Proprio per questo il film riuscì a inimicarsi critici, intellettuali, industriali e sindacalisti italiani di qualsiasi schieramento politico. Un fronte comune che gettò ombra sulla pellicola che fu poco vista in Italia, nonostante la Palma d’Oro a Cannes e un cast d’eccezione in cui spiccano i nomi di Gian Maria Volonté, Mariangela Melato e Salvo Randone.
L’opera di Elio Petri ruota attorno alla figura di Lulù Massa, operaio stakanovista, assiduo esaltatore del lavoro a cottimo che, dopo aver perso un dito in un incidente in fabbrica, scopre la coscienza di classe. L’adattamento teatrale a cura di Longhi e Di Paolo non si limita a una semplice e sterile trasposizione del film sul palcoscenico: l’originale tessuto drammaturgico di Paolo Di Paolo intreccia la sceneggiatura cinematografica di Petri e Ugo Pirro alle vicende che hanno accompagnato la genesi e la ricezione del film, passando attraverso piccoli capolavori della letteratura italiana di quegli anni, con l’ambizione di raccontare non solo la storia di Lulù Massa ma uno spaccato dell’Italia di quegli anni, appena uscita dalle grandi proteste studentesche del Sessantotto e appena entrata in uno dei decenni più tragici della storia italiana, quello degli anni di piombo.
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ph Cicciarella[/caption]
Dopo Istruzioni per non morire in pace (2016), nell’ambito del progetto Carissimi Padri… Almanacchi della “Grande Pace” (1900-1915), ERT lancia nuovamente uno sguardo al passato per interrogarsi sulla contemporaneità, su un’Italia globalizzata e su un’ideologia rivoluzionaria che, nel bene e nel male, ha lasciato il posto a quella che sembra sempre di più essere una generica rassegnazione. E lo fa con la stessa fedele compagnia di attori, con un Lino Guanciale qui in prima linea nei panni del protagonista Lulù.
«Un tempo, il nostro, post-moderno e post-ideologico, che fatica a riconoscere in modo netto i tratti di una qualsivoglia “classe operaia”, dispersa e nascosta dietro gli innumerevoli volti del lavoro “flessibile”. Se dunque l’inferno umido e grasso della fabbrica cottimista dell’operaio Lulù Massa appare ben lontano dagli asettici e sterilizzati spazi industriali o dai lindi uffici dei precari odierni, lo stesso non è del ritmo ossessionante e costrittivo di una quotidianità, allora e ancora oggi, alienata» così si concludono le note di regia allo spettacolo di Claudio Longhi.
Dopo il debutto a Modena, dove lo spettacolo rimarrà fino al 4 febbraio, la tournée proseguirà in tutta Italia e terminerà al Teatro Argentina di Roma con sei repliche dal 22 al 27 maggio.
Valeria Venturelli
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L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.
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