C’è una città cambiata in modo veloce e radicale e c’è un gruppo di ragazzi che, attraverso un festival di teatro, attiva occasioni di inclusione e riflessione per far sì che questo cambiamento semini anziché distruggere.
A Matera il processo di riappropriazione e ripopolamento dei “sassi” è iniziato negli anni ’90, dopo un lungo periodo di abbandono di questo borgo metafisico fatto di abitazioni promiscue e scavate nella roccia, e ha avuto due enormi e vicini accadimenti che ne hanno accelerato l’amplificazione mediatica – con tutte le conseguenze che ciò ha comportato: nel 2004 la Passione di Mel Gibson, che ha esposto il paese lucano sugli schermi di Hollywood e lo ha fatto piombare al centro della moda turistica internazionale, e nel 2014 la nomina a capitale europea della cultura, che ha sancito la definitiva esplosione di Matera come destinazione obbligatoria delle vacanze in meridione e che ha fertilizzato il contagio di alberghi diffusi, bed&breakfast arredati Ikea e localini di ispirazione eataliana.
In mezzo a questo mutamento che ha il sapore di un giusto riscatto condito di odiosa retorica e falso recupero del passato, tre anni fa nasce il festival “Nessuno Resti Fuori” organizzato dallo IAC, un gruppo teatrale fondato nel 2010 (un anno prima del lancio della candidatura) che opera lontano dal centro turistico e con atti concreti di coinvolgimento dei cittadini, non solo per gli spettacoli di qualità (Menoventi, Teatro delle Albe, Teatro Nucleo tra i nomi di questa edizione) e per le attività extra-spettacolari proposte (laboratori in varie discipline, passeggiate nei quartieri, incontri di riflessione), ma anche per la scelta di collocarsi ogni anno in un quartiere diverso della città e rigorosamente periferico. I luoghi cioè dove vivono i materani emigrati qualche decennio fa dai sassi, e che sembrano essere stati esclusi dai processi culturali in atto.
Quest’anno “Nessuno Resti Fuori” è in corso fino a sabato 28 luglio nel quartiere Agna e in particolare al liceo artistico Carlo Levi, luogo di studio per eccellenza eppure lasciato in uno stato di incuria e degrado che ammutolisce. È proprio da tale particolare collocazione geografica del festival che parte la nostra conversazione con Andrea Santantonio e Nadia Casamassima, 38enni fondatori dello IAC, e con i loro compagni under 30 Dario Colacicco, Annamaria D’Adamo, Joseph Geoffriau e Ali Sohna, di cui abbiamo amalgamato le voci in questa intervista corale.
L’idea di collocare il festival in un luogo decentrato anziché nei sassi è nata come approccio critico al percorso di candidatura di Matera a capitale europea della cultura. Come IAC abbiamo sempre lavorato per portare del valore artistico in tutti gli spazi della città, quindi anche nel centro; anzi ci siamo sempre sentiti soddisfatti della relazione con questo contenitore, finché non si è cominciato a utilizzarlo come luogo esclusivo per la campagna di promozione della città. Il processo di candidatura ha infatti accelerato l’esposizione mediatica dei sassi, veicolando l’unico messaggio della Matera antica come luogo in cui si conservano i valori dell’arcaica cultura legata alla ruralità, alla frugalità e alla resilienza: concetti tanto modaioli e ammiccanti quanto falsi e mistificati, che hanno il solo intento di soddisfare il gusto estetico ed erotico dei turisti, dal momento che i sassi sono sì il luogo in cui tali valori si sono depositati nel tempo, ma gli abitanti che ne conservano la memoria non vivono più lì. Ci siamo quindi ripromessi di mettere in evidenza questo contrasto, andando nei quartieri dove risiedono i materani per farci raccontare come la città è cambiata negli ultimi decenni. E abbiamo scoperto che, proprio mutando, quelle forme e quei valori sono diventati ancora più interessanti e degni del lavoro di indagine che abbiamo iniziato a compiere nei quartieri nuovi.
Matera e la Basilicata sono sempre state isolate e lontane dai centri culturali, e la scelta di rimanere qui è già di per sé fuori dalla normalità. Chi ha il desiderio di fare teatro si sposta a Roma, a Milano o dove c’è un sistema che ti permette di lavorare, mentre noi abbiamo voluto e potuto restare qui, e questa possibilità ci ha fatto nascere il desiderio di contagiare sia le zone di Matera meno frequentate dagli eventi culturali sia le persone normalmente non attratte dal teatro, per stimolare la loro attenzione. Molto spesso, infatti, quando ci si trova ai margini di un processo culturale non ci si sente portatori di nulla, anzi avviene una non-partecipazione di principio. E ne abbiamo avuto una dimostrazione emblematica: quando abbiamo organizzato la prima edizione del festival scegliendo il rione Piccianello, per coinvolgere i cittadini e raccontare loro cosa sarebbe accaduto, abbiamo ideato nelle passeggiate durante i mesi precedenti al festival. Ebbene un giorno, parlando con un gruppo di signori anziani, uno di questi ci ha detto: «Noi non siamo adeguati a guardare questi spettacoli». Quella frase ci ha molto colpito: cosa significa non sentirsi adeguati? Cosa porta queste persone a non reputarsi un possibile pubblico? Accade perché vivono in periferia, perché sono anziani o perché non hanno un’istruzione avanzata o una determinata estrazione sociale? In ogni caso, abbiamo preso come un dovere quello di andare sotto casa di queste persone e farle partecipare al festival.
È una geografia molto elastica, quella di “Nessuno Resti Fuori”, che si azzarda a proiettare un documentario in mezzo a un desolato parcheggio di periferia, facendo scendere gli incuriositi abitanti dai loro palazzoni, e che è in grado allo stesso tempo di allestire uno spettacolo di cabaret nella terrazza chic di Palazzo Lanfranchi, come incursione nel luogo centrale della città per segnalare innanzitutto la propria presenza.
Anche durante la proiezione del film nel parcheggio di Piazza Sant’Agnese ad Agna, non sono mancati i cittadini che sono venuti a chiederci quale fosse il senso di organizzare quell’attività in quel luogo. La nostra risposta è che finché le cose non si faranno, tutti gli abitanti del quartiere avranno sempre la possibilità di lamentarsi e nessuno di loro avrà mai accesso alla cultura. Il teatro, in particolare, assume il suo immenso valore solo nel momento in cui viene portato in una dimensione collettiva e non quando si chiude in se stesso o in una cerchia ristretta.
Poi ci sono le incursioni in centro, che sono un modo per mantenere il dialogo con gli altri piani, anche se è sempre più difficile: l’amministrazione di Matera è diventata molto pignola e chiede fidejussioni bancarie per poter allestire uno spettacolo nella città antica, mentre per fare la stessa cosa in periferia non occorre alcunché. Anzi, possiamo dire che tra i sassi non si può giustamente scheggiare una pietra né abbandonare una bottiglia di plastica a terra, mentre in periferia si può anche devastare una piazza senza che ciò importi a nessuno. E lo si vede constatando le condizioni di abbandono e di sporcizia in cui versa il quartiere in cui ci siamo stabiliti quest’anno.
Tutto ciò lo facciamo anche per scuotere le amministrazioni locali e far capire che anche questi luoghi possono vivere, perché sono evocativi anche se lontani dai canoni classici di bellezza e comodità in cui siamo abituati a vedere il teatro. E qualche risultato lo abbiamo ottenuto: l’anno scorso, per esempio, dopo che il festival si è tenuto nel quartiere Serra Venerdì, l’organizzazione materana Architecture of Shame ha lanciato un’indagine preliminare insieme agli abitanti del quartiere per rilevare le loro esigenze e inserirle in un bando di riqualificazione del rione che non fosse scritto a tavolino, ma che partisse dai bisogni concreti e reali. Ci piacerebbe che il nostro festival accendesse molte di queste micce, ma purtroppo chi deve progettare il cambiamento di questa città ha solo punti di vista parziali e speculativi, anziché lungimiranti.
Se è vero che la cultura è il nuovo oppio del popolo al posto della religione, come spesso ripete Goffredo Fofi, le iniziative del 2019 potrebbero rendere Matera l’emblema di questa amara considerazione. Il festival “Nessuno Resti Fuori”, nel suo testo di presentazione, avanza il timore che gli intenti della candidatura a capitale europea «restino slogan a cui non seguono azioni concrete». Anche se oggi è difficile e prematuro capire le conseguenze dell’essere piombati al centro dell’attenzione mediatica e della pioggia di denaro caduta da Bruxelles, la domanda resta sempre sullo sfondo e tutto il gruppo dello IAC sembra tenerla ben presente.
Il nostro atteggiamento nei confronti di Matera 2019 è di felice criticità. Non siamo oppositori o “haters”, come si usa fare al giorno d’oggi, ma ci sentiamo critici nel vero senso della parola e chiediamo che venga prestata un’adeguata attenzione a ogni aspetto dell’essere capitale. Il rischio è infatti che Matera diventi il prossimo anno una “vetrina delle vetrine”, cioè che arrivino a sfilare tutti i prodotti culturali più chic, mentre questa città avrebbe più bisogno di shock.
Il nostro timore è che dopo il 2019 Matera piombi in una fase degradante, e d’altronde sappiamo che il titolo di capitale europea non è mai servito a piantare semi o a lasciare eredità in nessun’altra precedente città eletta. Per cercare di evitarlo almeno in parte, cercheremo di sfruttare una scelta della fondazione Matera 2019 che reputiamo intelligente: quella cioè di dividere i fondi in tre macro-aree, di cui una gestita direttamente da 27 associazioni locali, tra le quali rientra anche lo IAC, in co-produzione con la fondazione (le altre aree sono dedicate una ai “progetti bandiera” gestiti direttamente dalla direzione artistica e una alle grandi mostre commissionate a quattro realizzatori).
Nel frattempo, a Matera stanno già accadendo molte cose significative legate all’essere capitale europea. Noi artisti del territorio abbiamo per la prima volta la possibilità di entrare in relazione con altri artisti che stanno attraversando e attraverseranno questa città, ma soprattutto gli adolescenti stanno vivendo un momento di grande apertura che alimenta le loro prospettive. Secondo noi sono gli under 18 a giovare di più di questo titolo, avendo finalmente la possibilità di rimanere anziché di andarsene come si è sempre fatto. Fino a pochi anni fa, restare a Matera dopo le superiori era considerato da sfigati, mentre oggi i giovanissimi stanno vivendo la loro cittadinanza in maniera positiva e con tutti i vantaggi che comporta l’essere protetti dalla propria rete di amici e famiglia in un momento di grandi decisioni della vita.
Poi ci sono gli anziani, che vedono come qualcosa stia cambiando anche se magari non capiscono cosa, ma questo intanto scatena la loro curiosità, che è il primo sentimento da cui può scaturire l’avvicinamento.
Un aspetto molto importante per “Nessuno Resti Fuori”, espresso sin dal titolo stesso, è quello dell’inclusione. Domenica scorsa il programma ha proposto un interessante momento pubblico di riflessione sull’accessibilità degli eventi culturali, immaginando che i festival abbiano il potere di scardinare ogni barricata. Inoltre tutti gli spazi sono accessibili ai disabili, il biglietto di ingresso a 5 euro non è obbligatorio per nessuno ed è prevista la traduzione LIS (il linguaggio dei segni per i sordi) per tutti gli incontri e per alcuni spettacoli; per non citare il lavoro di coinvolgimento dei migranti a cui lo IAC lavora sin dalla prima edizione.
“Nessuno Resti Fuori” è un’ambizione, una dichiarazione di intenti prima che un titolo. Il lavoro da fare è ancora tanto e le variabili da considerare sono ingenti, ma il nostro obiettivo è far sentire tutti gli individui come un potenziale pubblico. L’inclusione non deve essere un artificio creato a tavolino da un’istituzione, bensì una questione naturale che parte dalla collettività.
Abbiamo lavorato all’inclusione in maniera graduale, all’inizio coi migranti e quest’anno attrezzando gli spazi affinché fossero facilmente raggiungibili per tutti coloro che hanno disabilità motorie e ingaggiando dei traduttori LIS professionisti per alcuni spettacoli e per tutti gli incontri. Ma sappiamo che c’è ancora tanto da fare, e non per buonismo bensì perché ci interessa coinvolgere tutte le persone che possono aggiungere valore al nostro percorso – compresi i turisti che offrono punti di vista sempre particolari. Così facendo, intorno al festival si sta creando una grande famiglia fatta di scambi, relazioni, amicizie e viaggi, che vorremmo diventasse un’unica voce per tutti.
L'autore
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Giornalista, si occupa di teatro e di economia ed ecologia legate alle coste e al turismo. Fa parte del gruppo Altre Velocità dal 2012 e collabora con le riviste Gli Asini e Il Mulino. Ha curato e tradotto un'antologia di Antonin Artaud per Edizioni E/O e ha diretto la rassegna biennale di teatro "Drammi collaterali" a Cervia. È autore de "La linea fragile", un'inchiesta sui problemi ambientali dei litorali italiani (Edizioni dell'Asino 2022), e di "Critica del turismo" (Edizioni Grifo 2023).