Tutto ruota intorno alla famiglia. È una storia di sentimenti, pensieri, parole spesso non dette e alcune volte dette male, silenzi assordanti.
In primo piano una mancata comunicazione, e l’amore, quello un po’ ricattatorio tipico di tanti rapporti familiari e di quelle dinamiche che si creano al suo interno, affrontate con un sano umorismo che si alterna ad attente riflessioni.
I personaggi sono nove, tra questi c’è famiglia ma anche qualcuno che non è famiglia, come ad esempio Ragazza, una giovanissima e dolce Marina Occhionero. Nove personaggi ma in realtà cinque attori. Madre, interpretata da una formidabile Laura Mazzi, infatti con un abito si trasforma in Nonna; Padre così come Nonna paterna fanno parte della scenografia, e Zio è anche Sconosciuto, ruoli ricoperti da un divertentissimo e mai banale Marco Cacciola. Un’opera di tutti, per tutti. I nomi comuni dei personaggi sottolineano proprio questo.
Quando il sipario si apre e la luce illumina il palco scopriamo subito che i primi a presentarsi sono Madre e Figlio. L’illuminazione è essenziale, crea una grande intimità dirigendo e orchestrando la nostra attenzione verso chi parla. Lo spazio è un riquadro in cui sono incastonati gli attori, non c’è quasi mai profondità di campo. Questo spazio così stretto, così piccolo sembra quasi ingabbiare l’attore, come a esprimere un senso di soffocamento tipico di tanti rapporti familiari. Misure in cui stanno stretti, ma che non disturbano quando a oltrepassare quella immaginaria linea di confine è uno Sconosciuto, mentre fanno irrigidire quando lo fa un familiare.
Durante lo spettacolo nessuna musica, nessuna melodia di accompagnamento. Ciò che sentiamo è unicamente la loro voce, come se ci fosse spazio solo per quella. A volte divertita, a volte tremolante, a volte arrabbiata, a volte urlata. Unica canzone presente nello spettacolo è Padremadre di Cesare Cremonini.
Gli attori stanno per lo più immobili, in piedi o seduti quasi come fossero pietrificati. I movimenti più dinamici provengono dalla giovane coppia Fratello e Ragazza, un po’ per l’innocenza dei loro anni, un po’ perché ancora devono diventare famiglia.
Entriamo totalmente nel mondo che il regista Pier Lorenzo Pisano ha pensato. Non si può sfuggire. È una realtà senza tempo, ognuno dei presenti si immedesima. Ognuno con la propria versione di sé. Ma è facile sorridere nel vedere una Nonna sotto forma di Bancomat o rispecchiarsi nel ruolo di figlio, fratello, padre o madre. Pisano tocca il cuore e la mente di tutti.
Gli attori sono pertinenti ai loro ruoli, in particolare Alessandro Bay Rossi nei panni di Fratello, il figlio minore, quello che “resta”, quello che subisce la mancanza del fratello che se ne va, e che, trovandosi per la prima volta in vita sua a essere figlio unico, non sa come gestire in casa tutta l’attenzione su di sé. Alessandro Bay Rossi è straordinariamente credibile in questo, nella sua reticenza e nelle sue difficoltà di ragazzo. Ma anche Edoardo Sergente nel ruolo di Figlio regala credibilità e freschezza.
È una storia che racconta di quanto sia difficile tenere in equilibrio i rapporti familiari, come ci suggerisce quel tavolo da pranzo, simbolo per eccellenza di “Casa”, che pende a volte da una parte e a volte dall’altra. È una storia che parla di quanto sia difficile amare chi ci ama e di quanto invece sia più semplice lasciarci consolare da uno Sconosciuto. È un’analisi dei rapporti familiari fatta in maniera profonda ma che non disturba, anzi.
Brillante, attuale. Sicuramente uno spettacolo da non perdere.
Martina Anselmeti
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.