Orlando Furioso, festival di Spoleto, Edoardo Sanguineti, grandi registi italiani, direttore di teatri, teatro di regia, due anni dalla morte. Questo il flusso di pensieri che aveva attraversato la mia mente due settimane fa, pensando a Luca Ronconi. Pagine dai manuali di storia del teatro e della regia, spezzoni da documentari sulla RAI, notizie flash dai telegiornali. Adesso a quegli elementi se ne aggiungono altri, più pregnanti e personali, come genio semplice e unicità, sfida e utopia, scadenza, corpo dell’attore/corpo della scena. «Lasciatemi divertire». Il teatro di Luca Ronconi tra memoria e utopia, giornata di studi curata da Claudio Longhi in collaborazione con ERT, si è tenuta il 20 febbraio al Laboratorio delle arti in via Azzo Gardino ed è stata un’occasione imperdibile per avvicinarsi alla figura e al lavoro del grande regista scomparso due anni fa. Durante la mattinata, la presentazione da parte degli autori dell’annuale 25 della rivista «Culture teatrali», dedicato a Ronconi, ha dato modo di confrontarsi sulla situazione della regia in Italia oggi; nel pomeriggio, invece, abbiamo visto dialogare sul palco gli attori protagonisti dei suoi spettacoli, i suoi collaboratori artistici, i critici che lo hanno recensito e i direttori dei teatri organizzativi con i quali si è rapportato. I racconti personali degli interlocutori hanno dato vita a un mosaico di ricordi e impressioni che mi hanno restituito un Ronconi più “tangibile”, con pregi e difetti e ne hanno messo in luce le idee geniali, non tralasciando di menzionare il suo carattere esigente nei confronti degli attori, come gli aneddoti della Guarnieri o Popolizio ci lasciano intendere: «non ti spiegava le cose», «era capace di farti una correzione e dopo che l’avevi messa in pratica dirti l’opposto», «a te diceva una cosa e un altro ne diceva un’altra». Vorrei ripercorrere attraverso due parole chiave alcuni degli aspetti per me più significativi emersi da questa giornata, che ha rappresentato non soltanto un’opportunità di ritrovo con gli artisti, i tecnici, i giornalisti legati al regista, ma un incontro con Ronconi stesso. Conoscenza. Questo termine è presente anche nel titolo dato alla programmazione del pomeriggio, Il gran teatro ronconiano della conoscenza: prospettive a confronto. Anna Maria Guarnieri inizia il suo intervento dicendo che per Ronconi il teatro «è una forma di conoscenza», il cui frutto è anzitutto «un racconto privatissimo fra noi attori e lui stesso». Si tratta della cognizione del mondo attraverso il teatro, o dell’apprendimento dello spettacolo acquisito dagli attori attraverso la lettura “vertiginosa” dei testi e le prove, riguardo alle quali Massimo Popolizio racconta: «Ogni prova era una prova più per lui che per noi attori». Paradossalmente, nell’ottica ronconiana, la comprensione di una pièce da parte della compagnia deve restare parziale, perché – come afferma l’attore – «lo spettacolo di Ronconi esiste finché gli attori sono ancora un po’ inconsapevoli». La continua ricerca di modi appropriati di recitare, vista la convinzione del regista che «non esiste l’attore bravo per sempre», di scenografie e costumi funzionali, di trasposizioni efficienti da sceneggiature cinematografiche o romanzi per il teatro testimoniano il suo profondo e inesauribile desiderio di conoscenza del mondo e dell’uomo. Un’altra parola ricorrente in più interventi è oltre. Anna Maria Guarnieri ci racconta: «Lui ti chiedeva la luna, ti chiedeva di essere capace di guardare oltre»; Massimo Marino afferma che «Ronconi ci ha lasciato un teatro oltre le possibilità: un’avventura mentale, visiva, artistica». Un oltre che riguarda sia gli attori, con la richiesta di scavalcare le consuetudini nelle modalità di lettura e di recitazione, sia gli assetti materiali del teatro: scenografie sorprendenti, macchine sceniche complesse, spazi teatrali giganti (pensiamo a Gli ultimi giorni dell’umanità, ambientato in un capannone dell’ex fabbrica torinese del Lingotto), sia infine il rapporto con lo spettatore, attraverso scene simultanee (Orlando Furioso) o sovrapposte (Quer pasticciaccio brutto de via Merulana), spettacoli lunghissimi (Branciaroli ricorda le cinque ore di durata de L’uccellino azzurro) o spettacoli difficili, per il tema e per la struttura della messa in scena. Il pubblico spesso deve fare lo sforzo di crearsi il proprio percorso all’interno di una drammaturgia così densa. Alberto Benedetto, direttore di produzione del Piccolo Teatro di Milano, sostiene che «la strategia di Luca non consisteva nell’aprire porte, ma nell’inserire ostacoli». Per capire e apprezzare Ronconi bisogna quindi essere disposti a superarli, bisogna essere disposti ad andare oltre.
Marta Buggio
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.