Mettiamo che Antonio Barracano sia un uomo prestante, nel pieno delle forze, e non un vecchio guappo sul viale del tramonto. Si erge al di sopra della legge, solo e unico giudice delle questioni di quartiere. Mettiamo che i suoi figli siano più giovani di almeno trent’anni e che il rione Sanità sia quello di oggi, un po’ più globalizzato rispetto al passato, dove predomina lo stile hip hop, brillano i telefoni cellulari e rimbombano i bassi nei bagagliai delle auto. Mettiamo che la macchina mangereccia della società di cui parlava Eduardo negli anni Sessanta, basata sullo sfruttamento degli “ignoranti”, sia mutata radicalmente e, nonostante questo, non sia cambiato nulla.
Attraverso un classico di De Filippo – Il sindaco del rione Sanità – Mario Martone torna a parlare della sua Napoli, e attualizzando i fatti narrati ripensa una questione ancora irrisolta: la crisi della giustizia italiana. In scena all’Arena del Sole di Bologna, Francesco Di Leva interpreta un Barracano irruento, portatore forse di una visione meno idealizzata della giustizia rispetto al più celebre predecessore eduardiano. Sebbene consapevole che, proprio come nella tragedia antica, il sangue chiama sangue, questo Don Barracano non ha ancora raggiunto la saggezza derivata dall’esperienza, l’autorità che incute timore e rispetto. Alza la voce, mena le mani: una scelta che da una parte avvicina lo spettacolo alla realtà di oggi, dall’altra permette di tradire il personaggio rendendolo meno nobile.
Ciò che ci colloca in un contesto a noi più vicino è l’inizio rappato da Ralph P, che in scena interpreta Palummiello. All’aggressività del suo ritmo, come fosse una freestyle battle, ‘o Nait risponde con dei colpi di pistola. Così inizia lo spettacolo, con la trasformazione della casa di Barracano in una sala operatoria. La scenografia di Carmine Guarino risulta efficace pur restando minimalista, mostra lo sfarzo con essenzialità. Al centro si trova un tavolo che, all’occorrenza, si trasforma in un letto d’ospedale, il balcone e gli ingressi sono stilizzati, mentre il pavimento riflette come uno specchio. In alto due grandi pannelli emanano una luce fredda e asettica, per poi ricoprirsi d’oro, così come il resto del mobilio, quando i personaggi si trasferiscono nella casa di Napoli. L’unico elemento che non muta mai sono i due (finti) rottweiler ai lati estremi del proscenio: illuminati da un fascio di luce rivelano il feroce istinto di protezione di chi sta a guardia della casa.
L’idea di NEST – Napoli Est Teatro, una realtà che da alcuni anni si occupa di rivalutare le periferie e di strappare i giovani dalle grinfie della delinquenza di strada, è quella di portare in scena, insieme agli attori professionisti, i ragazzi provenienti dal quartiere San Giovanni a Teduccio. Il finale si allontana dal testo classico di De Filippo, subisce un taglio, una ghigliottinata improvvisa. Non si tenta alcuna redenzione: il dottor Fabio Della Ragione (Giovanni Ludeno), che in passato ha creduto in Barracano e nella possibilità di cambiare le cose dall’interno, non redigerà l’ultimo referto secondo coscienza, perché il buio irrompe in scena. Martone nega dunque la speranza eduardiana che il mondo possa essere «meno rotondo ma un poco più quadrato», a conferma che ancora oggi, e forse per sempre, «chi tiene santi va in paradiso», ma chi non li tiene non va all’inferno, va da Antonio Barracano.
foto di Mario Spada
L'autore
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Laureato in Istituzioni di regia all'Università di Bologna, si interessa di arti performative e di critica teatrale. Collabora con Emilia Romagna Teatro Fondazione, affiancando all'attività di studioso quella di dramaturg.