Quando il bambino era bambino, camminava con le braccia ciondoloni, voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente e questa pozzanghera il mare. Quando il bambino era bambino, non sapeva di essere un bambino, per lui tutto aveva un’anima e tutte le anime erano un tutt’uno. Quando il bambino era bambino non aveva opinioni su nulla, non aveva abitudini, sedeva spesso con le gambe incrociate, e di colpo si metteva a correre, aveva un vortice tra i capelli e non faceva facce da fotografo. – Peter Handke – L’entusiasmo sembrava dilagare il 5 marzo, fra i tavolini colorati nella sala d’attesa del teatro Testoni ragazzi, dove dei bimbi di età compresa fra gli 0 e i 6 anni, insieme ai genitori, aspettavano l’inizio di CERCA vicino: titolo conclusivo della rassegna Visioni di futuro, visioni di teatro… giunta quest’anno alla tredicesima edizione. Lo spettacolo, messo in scena dalla compagnia messicana Teatro al Vacío, nella piccola sala al primo piano dello stabile, indagava il tema dei rapporti interpersonali. Due figure coloratissime e clownesche (José Aguero e Adrian Hernande) dentro a una scenografia del tutto vuota, si osservavano, cercavano e respingevano reciprocamente in una performance a metà fra la danza e la pantomima. I movimenti e le espressioni dei performer erano enfatizzati e le azioni essenziali erano in grado di rendere davanti a decine di bambini il senso della paura e del desiderio che caratterizzano l’uomo nella relazione con l’altro. La delicatezza con cui la tematica è stata trattata – complici anche le musiche, curiosi oggetti di scena come zainetti, tende e peluche utilizzati dagli attori e non ultima la bravura di questi ultimi – si sono rivelati gli ingredienti adatti a catturare il gusto dei giovani spettatori. Molti di loro avevano Barbie e macchinine in mano. Sarebbe bastato poco perché vi ricorressero. In fondo i bambini, lo si sa, non hanno la compostezza tipica dello spettatore adulto. Non rimangono fermi se qualcosa li distrae e non applaudono comunque se uno spettacolo non li convince. Quello dei bimbi è un pubblico scomposto, ma di una scompostezza bella, che si fa partecipazione, come quella della piccola con le treccine bionde (non avrà avuto cinque anni) che, nell’assistere ai tentativi di uno dei personaggi di avvicinarsi all’altro, si alzava in piedi e spingeva con le braccia quasi a volerlo incoraggiare e dargli spinta… un po’ come fa un tifoso quando allo stadio gioca la propria squadra del cuore. Tempo fa, durante un’intervista in un teatro ragazzi, ho sentito un insegnante accusare la propria classe elementare di non essere in grado di comprendere gli spettacoli e di vedere nel teatro solo l’escamotage per evitare le lezioni scolastiche. Quello che io ho osservato al Testoni ragazzi non mi è sembrato affatto un pubblico così. Quei bimbi li ho visti appassionarsi, partecipare attivamente una volta invitati a danzare a fine spettacolo, ma soprattutto divertirsi. Credo che il problema, di fronte a un pubblico tanto “esigente” – riprendendo un aggettivo usato dal direttore del Festival Roberto Fabretti – sia la capacità di stimolarlo. In fondo i bambini sono spettatori belli, perché aperti, spontanei, privi di strutture precostituite, ma soprattutto perché difficili da ingannare: spettatori meravigliosamente scomposti da cui anche gli adulti potrebbero imparare.
Martina Vullo
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.