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Menelao di Davide Carnevali, l’insoddisfazione della tragedia

di Altre Velocità

«Anacronismi e incongruenze temporali sono da prendersi per quello che sono: niente. Non c’è tempo nella tragedia. Solo un istante che si consuma nell’attimo stesso della rivelazione, o si dilata eternamente nell’orizzonte di una fine che non arriva.»

Questo scrive Davide Carnevali nell’apertura della drammaturgia del suo Menelao (una tragedia moderna) come avvertenza al lettore. Se non c’è tempo significa che qualcosa è universalizzabile, che può comunicare a tutti in ogni momento. Ma se è questo il senso della sua affermazione, mi sembra che entri in contraddizione con la messa in atto dello spettacolo, andato in scena a Bologna dal 16 Febbraio al 3 Marzo presso il Teatro Arena del Sole.

Nel momento in cui si afferma che nella tragedia non c’è tempo, cosa significa portare il “tragico” nel contemporaneo? È necessario far utilizzare ai personaggi un linguaggio corrivo e scurrile o far cantare a Menelao De André sotto la doccia?

Centrale è il tema dell’insoddisfazione dell’uomo. Menelao possiede tutto: la donna più bella del mondo, ricchezza, agio eppure è infelice, eppure non è un eroe. Si crogiola nei suoi pensieri, tentando di sopravvivere alla morte scrivendo delle memorie e pregando un rapsodo di parlare di lui come di un valoroso guerriero. Vivere senza gloria è il prezzo da pagare per essere sopravvissuto alla guerra. Tutto questo malessere ha una sola colpevole: la ragione. Tumore di Zeus. «Quello che non va è proprio questo. Dovrei essere felice. Ma non sono felice. E cosa me ne faccio io del denaro, di una donna, di un regno, di una guerra vinta, se non sono felice?». Questo è il grande dilemma di un Menelao nel quale tutti possono rispecchiarsi. Purtroppo lo spettacolo si ferma in superficie, non sviluppando le tematiche che si presentano in forma germinale. L’insoddisfazione, la felicità, il senso di inferiorità sono sentimenti con i quali ogni essere umano è costretto a confrontarsi. L’attore ha la possibilità di esaminarli in un luogo dove le coordinate spazio temporali possono essere abolite, di dare quindi una prospettiva lontana da quella comune. L’uso delle luci (curato da Francesca Ida Zarpellon), di artifici scenici originali (penso, ad esempio, alle marionette o all’espediente del tavolo che all’occorrenza viene trasformato in un letto) la bravura degli attori (Teatrino Giullare che hanno introdotto nello spettacolo momenti di ventriloquismo) sono di grande potenzialità. I primi dieci minuti appaiono un concentrato di stimoli, parole e suggestioni che restano però sospese fino a perdere completamente forza nell’ultima scena. È come se il regista abbia sacrificato il contenuto in favore della forma.

Marcella Pagliarulo

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