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Madama Butterfly oggi: vittima di un uomo o del sistema?

di Altre Velocità

Scordatevi una Madama Butterfly ambientata in un Giappone ottocentesco, con ombrellini, kimono e fiori di gelsomino. Certo, è ciò che si aspetterebbe di vedere durante una rappresentazione di quest’opera di Giacomo Puccini, ma non è quello a cui si è assistito al Teatro Comunale di Bologna dal 20 al 23 febbraio. Del resto, con Damiano Michieletto alla regia e Pinchas Steinberg alla direzione orchestrale, la produzione del Teatro Regio di Torino non poteva che presentarsi come un’innovazione. Michieletto, infatti, è ampiamente riconosciuto nel mondo dell’opera come un regista provocatorio e polemico, nonché saldamente ancorato all’attualità.

La provocazione aprirà, infatti, il primo atto dell’opera, e ne dominerà la scena fino all’intervallo. Il sipario si alza e ci si trova davanti a una metropoli dei giorni nostri, distante anni luce dal locus amoenus del libretto: cartelloni pubblicitari di brand e catene internazionali, insegne al neon tipiche dei quartieri a luci rosse, un venditore di hotdog sullo sfondo. Al centro, una decina di ragazzine in shorts e canottiera che si aggirano come farfalle in una teca di plexiglass: si scoprirà in seguito che quella “teca” sarà la casa di Madama Butterfly. Non ci troviamo in Giappone, ma in una qualche metropoli della Cina o del Taiwan: un Oriente in via di sviluppo, che ha rinunciato alle sue tradizioni per adottare uno stile di vita occidentale. Destino che toccherà anche alla nostra eroina: Cio-Cio-San, Madama Butterfly, che entrerà nella sua prigione ordinando le statuette dei suoi antenati e i cimeli della sua famiglia, ma che di lì a poco rinnegherà tutta la sua cultura per sposare un turista americano, Mr. Pinkerton, e vivere secondo il suo costume e diventare una degna moglie americana. Qui, però, Madama Butterfly non rappresenta il suo mondo che crolla sotto la potenza occidentale, ma le estreme conseguenze del capitalismo. Pinkerton è, infatti, un così detto “turista sessuale”, e la povera Cio-Cio-San è il suo acquisto per il viaggio.

Se il primo atto è infatti dedicato alla regia predominante di Michieletto, nel secondo e terzo atto viene consumata la vera tragedia, affidata completamente alla bravura e alla sensibilità degli interpreti e all’orchestra diretta da Steinberg. Il tenore Angelo Villari (Pinkerton) ha sostenuto le sue arie con una voce possente e limpida, concedendosi qualche graffiatura solo per giustificare il suo personaggio. Cristina Melis (Suzuky), mezzosoprano di talento e molto precisa, ci ha regalato un Duetto dei fiori che classificherei tra i migliori della produzione, eseguito egregiamente insieme al soprano Karah Son. La magistrale interprete sudcoreana della Butterfly, infatti, non si è certamente smentita nel corso di queste repliche, e ha portato sul palco del Comunale un’interpretazione musicale di altissimo livello, toccante ed incantevole. La Madama Butterfly di Karah Son, però, resta molto efficace anche dal punto di vista della presenza scenica: asiatica, esile, giovanile, la soprano riveste credibilmente la parte di una quindicenne che, però, svestita del suo kimono e del tutto struccata, si ritrova a somigliare più a una ragazza qualsiasi del Sudest asiatico, piuttosto che alla giovane geisha pucciniana.

È comunque incredibile, a questo punto, vedere come il succo della tragedia resti immutato: quella di Madama Butterfly, anche se tradotta in chiave contemporanea, resta ancora una storia di abbandono e abuso. Pinkerton, infatti, lascerà Cio-Cio-San dopo averla sposata, dopo che lei ha rinnegato tutta la sua famiglia. Alla ragazza non resta, dunque, che scegliere il suicidio, in un ultimo, estremo tentativo di attaccarsi a quella tradizione a cui ella aveva voltato le spalle. Solo, questa volta, Butterfly non si ucciderà con una sciabola da harakiri, ma con una pistola, come farebbe una ragazza di diciotto anni oggigiorno, nel caso si trovasse nella condizione di doversi togliere la vita.

L’ambientazione idillica di Nagasaki, come ci viene presentata nel libretto di Illica e Giacosa, sembra quasi voler giustificare quella fatale notte di passione tra la giovane Butterfly e il donnaiolo americano: idealizzando l’ambiente in cui vive Cio-Cio-San, la vicenda acquisisce un tono fiabesco. Una fiaba può avere un finale molto triste, ma aspira comunque a quei toni di amenità e sogno che gettano il fumo negli occhi dello spettatore e dei personaggi, offuscando la reale crudeltà della vicenda. E dunque, Michieletto si rifiuta di voltare le spalle al sacrificio della sua eroina e all’ingiustizia cui viene sottoposta: la casa dalle fragili pareti non è una casa, è una teca, e la farfalla al suo interno è destinata a morire. Madama Butterfly è una tragedia, e Michieletto la tratta, magistralmente, crudelmente, cinicamente come tale. Ogni tono di fiaba viene stroncato: a cominciare dal duetto d’amore tra Cio-Cio-San e Pinkerton, alla fine del primo atto, che viene privato con cinico realismo di ogni sorta di romanticismo, mostrando un Pinkerton affatto viscido e arrapato, che beve e si sveste sulle note del canto d’amore di Butterfly: impaziente, in quanto turista sessuale, di consumare la merce appena acquistata. Si è messa in scena non una fiaba, ma la realtà. La realtà che, ogni giorno, vivono sulla propria pelle tutte le donne che vengono sfruttate come merce di contrabbando da uomini che si sentono nel pieno diritto di farlo, solo perché questi vengono da paesi più benestanti ed economicamente più forti dei loro.

Una versione dell’opera di Giacomo Puccini senz’altro coerente con il libretto, ma anche con i toni inaspriti dell’esecuzione musicale. L’armonia, infatti, tra le più aspre composte da Puccini, viene eseguita dall’orchestra diretta da Steinberg in modo fluido, preciso e non scontato, e in qualche modo riescono a integrarsi perfettamente dall’atmosfera moderna senza creare stonature tra tema moderno e musica classica, meritandosi a pieno titolo i numerosi applausi del pubblico entusiasta.

Laura Astarita

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