un’assemblea sull’immigrazione è stata interrotta dall’intervento di un gruppo di skinheads. La sera del 2 febbraio, ispirati dal quadro Rissa in galleria di Boccioni, sono Gianluca Enria e Leonardo “Lago” Bianconi a mettere in atto un simile blitz: gli spettatori attendono lo spettacolo radunati sotto i portici di via del Pratello, quando, improvvisamente, dei figuri in camicia nera sopraggiungono ordinando in malo modo di entrare. Inizia così M il nostro di Predappio, presentato in anteprima presso la sala studio di Teatri di Vita, dove, contemporaneamente, è allestita la mostra Ahi, Rachele! di Rachele Palladino. E se a essere tornato fosse proprio LUI? Enigma questo su cui si sta interrogando anche il cinema, restituendo la fantasiosa possibilità con la pellicola Sono tornato, uscita nelle sale in questi giorni con Massimo Popolizio nel ruolo di protagonista. Tra i facinorosi vi è infatti anche lui, M (durante lo spettacolo il suo nome non viene mai nominato, non lo faremo perciò neanche qui). Il nostro di Predappio (Gianluca Enria), rivolgendosi alla folla radunata e prendendo particolarmente di mira un giovanotto in felpa con cappuccio (Leonardo Lago), illustra deciso la sua proposta politica. Vi troviamo la difesa dei confini dall’invasione straniera, assieme a altri spunti programmatici che sembrano filtrare dall’attualità della campagna elettorale. Certo, lui, certe cose non le avrebbe mai dette così, senza stile. E proprio come un politico contemporaneo arringa gli astanti col discorso che rivolse al parlamento a seguito dell’omicidio Matteotti. Ma cos’è M? – si chiede il giovane con la felpa – M come Matteotti, come morte, come menzogna? E chi sono i giovani che oggi si identificano ancora in lui? Proprio a loro lo spettacolo sembra voler parlare, con i versi di una poesia di Pasolini, rivolta a un ipotetico ragazzo fascista, ultimo possibile interlocutore in un mondo ormai trasformato e inglobato dalla borghesia neo-capitalista. Intanto M è lì, addobbato da Rachele Palladino con un telo bianco semi-trasparente, come un’istallazione, un monumento, tanto da far pensare che potrebbe essere lasciato chiuso nella galleria, a spettacolo finito. Poi l’impianto audio trasmette una voce, descrive la tomba del duce, vicino a Predappio, e il suo museo. Descrive il custode, in rigorosa camicia nera, e i nostalgici avventori, che possono lasciare i loro pensieri nel registro presente all’ingresso, proprio come si usa fare alle mostre. La forma di anteprima lascia ancora molto aperta la struttura di questo spettacolo, ispirato da un’idea di Andrea Adriatico. Quello che è già ben chiaro è invece il messaggio che i due attori vogliono comunicarci, invitandoci, con leggerezza e ironia, a stare attenti, perché in Italia (la cronaca tristemente lo testimonia) l’adesione alla retorica del fascismo non si è affatto sopita.
Matteo Boriassi
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.