Caverne platoniche e spettri sgranati approdano nel moderno involucro dell’Europauditorium il primo marzo 2017 con Ombra di Vinicio Capossela. Gli spettatori si sono trovati immersi nel crepuscolo già all’ingresso in sala, luci soffuse e i suoni del bosco all’imbrunire. Cala il buio, si apre il sipario e inizia lo spettacolo.
Capossela è un autore che estrapola elementi dalle più varie tradizioni musicali e folkloriche, per poi rimescolarle senza remore di attraversare confini geografici e cronologici: da Tom Waits alla canzone d’autore italiana, passando per le tarantelle e il tango argentino, non dimenticando le sagre di paese. Il senso del magico e dell’esotico è forse il principale filo conduttore delle sue canzoni che, grazie a una forte componente immaginativa e visuale, si prestano particolarmente anche a un contesto teatrale. Dice a proposito l’artista: «Da molti anni, nei concerti di tour che seguono l’uscita di un disco, mi sforzo di mettere in scena l’immaginario dell’opera. È la grande possibilità dei concerti in teatro, realizzare la cosiddetta sospensione dell’incredulità.» Poi aggiunge: «In questo prossimo tour l’ombra è la materia sostanziale, esistenziale, scenica dello spettacolo. Si tratta di abituarci al buio e finire in una specie di ipnosi a metà tra veglia e sonno che faccia affiorare in noi le creature che ci abitano».
Il tour teatrale che Capossela sta portando in giro per l’Italia è principalmente dedicato a Canzoni della Cupa, il suo ultimo album, uscito nel 2016 e distribuito da Warner Music.
Su due grandi teli situati davanti e dietro ai musicisti lampeggiano lupi mannari, ballerine e spettrali sterpaglie, ingigantite o rimpicciolite da un gioco di ombre, forse ispirato alla Fantasmagoria, forma scenica nata in Francia nel tardo XVIII secolo, che impiegava una versione modificata della lanterna magica per proiettare demoni e fantasmi su muri, fumo o tende semi-trasparenti. Le atmosfere evocate dai giochi di luci cambiano a ogni brano, accompagnando la voce profonda e ruvida di Capossela e i suoi musicisti, di indubbia perizia. L’impatto visivo generale è davvero sorprendente per la complessità messa in gioco a livello di illuminotecnica. Il concerto giustifica la sua presenza in sala e testimonia anche come le disponibilità finanziarie di una grossa produzione, unite alla sensibilità di un artista, possano creare un’offerta scenica accattivante. Dopo gli applausi di rito mentre i musicisti mimano l’uscita dalla caverna platonica, incoraggiati dal mattatore, segue l’esecuzione di alcuni classici come Il ballo di San Vito, Marajà, e Brucia Troia. Ormai le luci si sono accese e Vinicio è chiaramente visibile in tutta la sua umanità. L’artista visionario legato alle tradizioni del mondo si rilassa con qualche battuta, il pubblico applaude a lungo. E quindi uscimmo a riveder le stelle..
Alessandro Carraro
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.