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L'ideale e il possibile: Chiedi chi era Francesco

di Altre Velocità

Chiedi chi era Francesco (in cartellone dall’11 al 16 marzo) con regia di Andrea Adriatico e drammaturgia di Grazia Verasani, dedicato proprio a quel giovane ragazzo, la cui morte è stata in qualche modo l’apice della stagione del Movimento ’77. Quindi: chi era Francesco? Lo spettacolo ha inizio rispondendo proprio a questa domanda. Francesco era un giovane di 24 anni, studente di medicina e militante di Lotta Continua, una formazione della sinistra extraparlamentare, che scendeva in piazza in difesa della libertà e della democrazia, contro il bigottismo della società e il fascismo ancora presente. La vita di Francesco ce la raccontano in forma documentaria le voci di quattro attori, che ci danno le spalle nel piccolo spazio del palco ricavato da una “finestra” all’interno di un grande schermo, in cui vengono proiettate foto di cortei, ritagli di giornale, simboli politici. Vediamo anche Francesco, sorridente, fiero, convinto. All’improvviso uno sparo alle nostre spalle. Il palco si svuota, c’è anche del fumo. I carabinieri si mostrano, poi fuggono. A terra c’è Francesco e rimarrà lì per l’intero spettacolo, a ricordare come il suo corpo sia diventato emblema di un’epoca. Lo spettacolo procede con impostazione radiofonica. Una speaker, di spalle, di fronte a un microfono che scende dall’alto, inizia il suo programma: è l’11 marzo 2017 e la puntata è dedicata a Francesco Lorusso. Quella che ascoltiamo è un’emittente di vecchio stampo, sembra proprio alludere alle radio libere. Il microfono è aperto e si ricevono tre telefonate: quella di Barbara che chiama dalla sua auto; quella di Alberto mentre fa jogging; e l’ultima, quella di Andrea, sotto casa della sua ex-fidanzata (gli attori sono in esterna, in diretta Skype, li vediamo proiettati sullo schermo). Barbara e Alberto hanno chiamato perché conoscevano Francesco: lei ricorda con malinconia quel periodo di grandi utopie andate infrante, quella rivoluzione mancata che sembra non aver lasciato traccia; Alberto invece conosceva indirettamente Francesco, ma condivideva gli stessi ideali e in tal senso sentiva con lui un forte legame. Alberto non è triste, ma arrabbiato, soprattutto se pensa ai cingolati in Piazza Verdi inviati da Cossiga (quello con la “K”) su richiesta del sindaco Zangheri, per fermare i manifestanti. Una repressione violenta quindi, la stessa che ha chiuso i microfoni di Radio Alice (di cui sentiamo l’ultima cronaca con la polizia alle porte),  simbolo della democrazia e rifugio per manifestanti come Alberto; la stessa violenza che ha ucciso Francesco. Andrea invece ha vent’anni, è capitato per caso su queste frequenze e la sua più grande preoccupazione è essere stato lasciato dalla fidanzata e riuscire a non rimanere a piedi perché finisce la riserva del motorino. Seppur colpito dalla storia di Francesco, non lo capisce: non crede che qualcosa possa cambiare, nessuno lo vuole davvero. Dal momento che «la vita fa schifo», meglio chiudersi nei piccoli piaceri personali, prima o poi qualcosa arriverà. Anche la speaker si lascia andare ai ricordi di quando andava al  cineforum con le amiche a guardare i film impegnati, delle discussioni sull’aborto, sulla sessualità, sullo stipendio per le casalinghe. La loro era una  giovinezza in cui non importavano le apparenze, ma quello che si pensava. [caption id="attachment_1161" align="aligncenter" width="621"] in primo piano Francesco Lorusso[/caption] Lo spettacolo, attraverso le riflessioni di Barbara, Alberto e la speaker ci catapulta all’interno di quella voglia di vivere, di conoscere e lottare propria dei giovani degli anni ’70, la cui atmosfera è restituita anche attraverso le canzoni “mandate in onda” (qui si può ascoltare la playlist). Si respira rassegnazione, un senso di impotenza dovuto all’incomprensione dei giovani come Andrea, che se ne stanno fermi ad aspettare. È chiaro come la solitudine sia vista come cifra della società contemporanea; una solitudine che ha comportato un totale immobilismo, quando invece c’è ancora molto per cui lottare (non mancano riferimenti alla contemporaneità: la speaker aggiorna su un incendio al CIE, in cui, alla fine, l’ignoto uomo che era sul tetto ha perso la vita). Con ciò non si vuole affermare che la vicenda di Lorusso e i movimenti degli anni ’70 necessitano di essere ripresi e imitati. Questo spettacolo, seppur con una certa patina sentimentale nei confronti di quegli anni, ci sollecita, attraverso la storia di Francesco, a riflettere sul nostro presente. «A che punto è la città?» si chiede Alberto citando Roberto Roversi. Forse è arrivato il momento di chiederci dove stiamo andando e se quella è la direzione giusta. È chiaro che il contesto politico-culturale e la vicenda di Lorusso non sono narrati in tutta la loro complessità, anzi una simile trattazione, dai tratti semplici e superficiali (se non addirittura mitologici), può provocare un certo fastidio. Eppure pare essere un’operazione  non solo voluta, ma anche efficace. Rendendo Lorusso “mito” (così come il movimento stesso) si è venuto a creare una sorta di distanza spazio-temporale tale per cui lo spettatore ha la possibilità di confrontare oggettivamente la storia di Francesco con la propria (e quindi con il presente). Quella di Lorusso a torto o a ragione, vana o meno, è pur sempre una morte. Prematura e cruda si potrebbe aggiungere. Lorusso è l’Antigone di Anouilh, colei che muore per la purezza dei suoi ideali. Lo spettatore si avvicina a sentimenti, valori e atteggiamenti che è evidente non gli appartengano più, ma ne può cogliere e apprezzare la forza e la convinzione. Questo spettacolo ci invita a ritrovare vigore e coraggio, ma soprattutto un nostro modo di lottare, un nuovo atteggiamento che, si spera, possa essere il più efficace possibile; ci invita a leggere qualche libro in più, a farci una nostra idea di mondo e batterci perché questo possa essere migliore, senza abbassare la testa accettando tutto come viene. Chi era Francesco dunque? Un ragazzo che amava la vita e voleva insegnarci a lottare uniti contro ciò che riteniamo ingiusto, all’insegna di valori come la dignità umana, la parità dei sessi, la certezza del futuro. Un ragazzo che ha avuto il coraggio di dire no, con una forza che solo l’impeto giovanile può avere.

Ilaria Cecchinato

Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto.

Nazim Hikmet

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