Questa intervista fa parte dell’Osservatorio sulle arti infette, un progetto realizzato nell’ambito del Laboratorio avanzato di giornalismo culturale e narrazione transmediale organizzato da Altre Velocità: si tratta di una serie di conversazioni che le partecipanti al laboratorio hanno condotto con artisti, operatori e studiosi per indagare i mutamenti e le difficoltà del teatro rispetto alle conseguenze della pandemia del Covid-19.
Giulia: «Quando penso al nulla, penso a questo nulla qui. Un vuoto strutturale: abitato, come una vecchia casa, da persone che se ne sono andate a vivere nel Massachusetts. O da qualche altra parte, va bene uguale. Quando penso al nulla penso a una collezione di vuoti, tipo farfalline nelle teche. Ognuna con un nome e un volto, con una data legnosa e impolverata. Quando penso al nulla penso alla taxidermia alla quale destino i miei sentimenti, i miei amori, i miei oggetti. Mi metto tutto lì, davanti agli occhi, per dimenticarmene. La perpetuazione mi porta a proteggere, oppure a scordare. In ogni caso obbligo tutte le cose a finire, nel nulla».
Ilaria: «Il nulla non esiste. Non esiste nella misura in cui l’uomo non è in grado di concepirlo. Non esiste perché non appena lo pensi è già pieno di qualcosa. Quindi il nulla non esiste e esiste al tempo stesso.
Il nulla è indefinibile, ma è proprio l’indefinibilità a renderlo definito. Il nulla è privo di volto pur avendone uno. Il nulla, insomma, è di per sé una contraddizione.
Si dice sempre che tutto finisce, che ogni cosa prima o poi muore. Mi chiedo quale conforto si trovi a credere in una simile affermazione, ma soprattutto non è evidente il contrario? Non c’è cosa al mondo capace di svanire nel nulla, tutto lascia un segno, un’impronta, magari minima e quasi impercettibile, ma tutto resta. Il nulla non esiste, lo vorrei gridare a gran voce. Il nulla non esiste, per fortuna. Ma quando saremo finalmente pronti a prenderci la responsabilità del nostro non scomparire?»
E per te, cos’è il nulla?
«Il nulla si declina in modi infiniti», rivela Maurizio Cardillo in Fior di nulla – one man show, una performance che sarebbe dovuta andare in scena il 21 novembre scorso e che invece ha avuto un esito inaspettato: s’è fatta invisibile ed è stata adattata per l’etere, divenendo una sorta di radiodramma. Se non ci fossimo trovati in questa contingenza, l’autore non avrebbe mai pensato a una restituzione in formato radiofonico. Eppure, parlare del nulla in una scena invisibile nell’era dell’impossibilità del teatro sembra la veste perfetta per questo lavoro ricco di parole, riferimenti e poesia. Un “cabaret filosofico” – così viene definito – che attinge alla letteratura e al patrimonio comico, accompagnandosi ai brani al pianoforte digitale di Bob Messini.
Di seguito riportiamo la piacevole chiacchierata con Maurizio Cardillo, che abbiamo raggiunto al telefono in un freddo e uggioso pomeriggio invernale per farci raccontare la genesi del lavoro e il suo incontro con il tema del nulla.
[question]Fior di nulla è un radiodramma sul vuoto, sull’assenza, sull’invisibile. Dove e quando nasce l’urgenza di affrontare questo tema complesso?[/question]
[answer]«Questo tema affonda le sue radici molto lontano, nella mia storia personale. Circa dieci anni fa, al Teatro delle Moline, nacque uno spettacolo in collaborazione con l’Arena del Sole di Bologna e, insieme a Filippo Pagotto e Tommaso Arosio, realizzammo una specie di festival sul nulla: chiedevamo agli spettatori di entrare in sala e stare nello spazio senza far niente. Una sorta di “nulla contest” (ride). Si dice meno fai e più ottieni, a teatro: “less is more”. Ho da sempre un’attrazione per l’assurdo e il nulla e il vuoto spesso si incrociano con esso. Questa che avete ascoltato in radio è la versione per gli auditivi».[/answer]
[question]Per parlare del nulla hai citato tantissimi riferimenti poetici e letterari, creando così un nulla “molto pieno”. C’è una fonte in particolare che ti ha suscitato questo percorso?[/question]
[answer]«La madre di tutte le ispirazioni è Beckett: è l’ospite speciale. Sono attratto dalla sua scrittura, dai suoi testi narrativi nei quali il soggetto scrivente pone in dubbio la propria esistenza. Più in generale la letteratura del Novecento mi nutre, perché l’Io vi esplode in tante piccole ramificazioni. Amo anche la poesia di questo secolo, è l’allenamento che preferisco».[/answer]
[question]Fior di nulla è uno spettacolo pensato per il teatro. La forma radiofonica come ha cambiato la performance e quali mutamenti ha subìto il tema del nulla?[/question]
[answer]«Lo spettacolo avrebbe dovuto essere programmato in presenza del pubblico nella stessa data in cui è andato in onda online. Grazie a Elena di Gioia, Piera Raimondi Cominesi e Radio Emilia Romagna ha poi preso questa strada: è stato un salto nel vuoto e mentre lo facevo mi sono reso conto che quella era la direzione giusta. C’era una parte di me che aderiva completamente alla dimensione radiofonica, sentivo che il lavoro era arricchito da questa forma e non impoverito».[/answer]
[question]Fra le citazioni ne troviamo una di Samuel Beckett, tratta da Giorni felici: «Il sole splendeva non avendo altra alternativa sul niente di nuovo». Questo ci ha fatto riflettere sulla situazione teatrale attuale: credi che il teatro nelle sue forme online e in streaming sia un fuoco fatuo che illumina il nulla o un sole che apre possibilità sul nuovo?[/question]
[answer]«È una domanda difficile, a cui forse non ho una vera risposta. Fior di nulla è la mia seconda occasione di teatro in streaming: la precedente è avvenuta durante il primo lockdown di primavera 2020. La dimensione audio mi interessa molto: sono un auditivo e interpreto il mondo attraverso i suoni, non essendo stato dotato dalla natura di una vista perfetta. Adoro le voci, mi piace la musica e riconosco le persone più da come parlano che dal loro aspetto. Vorrei continuare a coltivare questa dimensione a prescindere da questa pandemia, mentre la dimensione video non l’ho ancora praticata, ma sicuramente non mi attrae molto».[/answer]
[question]Lo scrittore francese Flaubert desiderava scrivere un romanzo sul nulla intendendo forse questo rimanere nudi e pieni di buchi, parafrasandoti. Cos’è per te il nulla e perché decidi di affrontare questo tema proprio ora?[/question]
[answer]«Il nulla è per me un posto meraviglioso dove aspettare che non succeda niente: chiunque può raggiungerlo, basta avere la pazienza e l’umiltà di starci. Nonostante la sua faccia ci spaventi, è un bel posto. Credo inoltre che siamo troppo pieni di presunti significati e che il vero senso delle cose invece ci sfugga, perché è molto più semplice di quanto si pensi. Dal punto di vista esistenziale, il nulla è qualcosa che mi attrae e al quale torno con dedizione e amore, quando posso».[/answer]
[question]Hai concluso il tuo esperimento di teatro alla radio con questa frase: «Ciao, andrà tutto bene. Ciao, andrà tutto antani». “Antani” è una parola inventata che non ha nessun significato ma che, accostata ad “andrà tutto bene”, ci ricorda questo nihil teatrale e vitale in cui siamo immersi al momento. Come può il teatro aiutarci a uscirne?[/question]
[answer]«Il teatro è lì che ci aspetta: è una fonte di salvezza. Essere fedeli alla propria fiamma d’ispirazione, alle proprie follie e alle proprie voglie è qualcosa che mi salva. Rivolgendomi soprattutto ai più giovani, mi sento di suggerire proprio questo: non vergognatevi mai dei vostri desideri che sembrano così distanti da quelli di tutte e tutti, anzi sappiate che è là dentro tutta la ricchezza».[/answer]
L'autore
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Laureata in Dams e in Italianistica, si occupa di giornalismo e cura progetti di studio sul rapporto tra audio, radio e teatro. Ha collaborato con Radio Città Fujiko ed è audio editor per radio e associazioni. Nel 2018 ha vinto il bando di ricerca Biennale ASAC e nel 2020 ha co-curato il radio-documentario "La scena invisibile - Franco Visioli" per RSI.