Inferno non tradisce le aspettative. Un flusso continuo, nonostante le brevi cesure, rari i silenzi: questa la struttura del viaggio condotto dalla Guidi entro le potenzialità concrete della phoné come materia duttile, plasmabile, e che ha fatto tappa presso i Teatri di Vita di Bologna il 24 gennaio. Come quell’Ulisse del XXVI canto, a cui presta la voce e che ha esperito la potenza e le capacità persuasive della parola, Chiara Guidi esplora tutte le possibilità dello strumento voce in poetico dialogo con gli strumenti musicali magistralmente suonati da Francesco Guerri. La scena, scarna di elementi superflui, vive infatti di soli corpi sonori: quello della Guidi, del violoncello, dello stesso Guerri e di tutti gli strumenti di cui egli si serve. Grazie a ognuno di essi la musicalità del verso dantesco si fa corpo strumentale e carne, l’uno la perfetta eco dell’altro. In particolare l’ampia gamma di pizzicati, cacofonie e accordi del violoncello, sembra incontrare nel corpo della Guidi una perfetta cassa di risonanza, un corpo che si muove, costantemente, sottolineando o contraddicendo quegli stessi ritmi. Una sintonia, quella musicale e vocale, in grado di costruire un discorso che sembra vivere di un solo fiato, un effetto sottolineato dalla straordinaria abilità di C. G. che, se non fosse per quei solo musicali, sembrerebbe non interrompere mai il suo racconto. Anche i più minuti iati interni al narrato sono infatti colmati da suoni gutturali, finanche salivari, i quali legano indissolubilmente ogni passaggio dello stesso. Un racconto della prima cantica dantesca e che si snoda attraverso i suoi passi più celebri: il proemio, il lussurioso V canto di Paolo e Francesca, il XXVI di cui è protagonista il mitico Ulisse, il XXXIII abitato dalla figura del Conte Ugolino della Gherardesca, e il canto conclusivo, il XXXIV, il quale reca l’incontro con «lo ‘mperador del doloroso regno» Lucifero, prima che si possa tornare «a riveder le stelle». Chiara Guidi incarna, trasfigurando la propria voce anche grazie al supporto di alcuni strumenti di distorsione vocale, ognuno dei protagonisti del suo racconto riuscendo pienamente nel tentativo di dimostrare come la voce sia un veicolo che conduce la parola a vivere al di là del significato. Una duttilità vocale la sua in grado di “colorare” di un’assai ampia gamma di sfumature gli uomini e le donne cui presta il proprio “strumento”, sfumature che colorano concretamente la scena in coincidenza del V canto quando questa si tinge di rosso, lo stesso rosso vestito dalla Guidi. Lei, magnetica sin dalle prime battute, complice forse l’empatia che tutti, più o meno profondamente, sentiamo con i primi versi dell’infernale cantica: quelli che si è ripetuti, e ci si è sentiti ripetere meccanicamente tante volte, ma ai quali C. G. riesce a imprimere valenze tutte nuove e inusitate, abituandoci a una sonorità tanto variegata ed emotivamente carica da convincerci che forse non sarebbe possibile decantarli in altro modo.
Mariangela Cicciarella
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.