Feel the city breakin’ and everybody shakin’ And we’re stayin’ alive, stayin’ alive La febbre del sabato sera, film cult del 1977, sdogana la sub-cultura dei clubbers, allora fenomeno prettamente newyorkese, facendone tendenza mondiale. A quarant’anni dall’uscita, il Teatro Nuovo di Milano presenta una nuova versione musical per la regia di Claudio Insegno e la grande sala dell’Europauditorium di Bologna, quasi piena, testimonia il suo successo commerciale.
Ma al di là dell’aspetto economico, che senso ha riproporre un contenuto del genere? Cosa comunicano oggi le avventure di Tony Manero? Il film fu tratto a sua volta da un’inchiesta giornalistica che parlava delle condizioni di vita dei giovani di Brooklyn, in bilico tra violenza, disoccupazione e lotte di quartiere; e, purtroppo, la situazione di certe periferie italiane fa intuire l’attualità di questi temi, anche se con una cornice temporale e geografica differente. Sui personaggi del lungometraggio, infatti, aleggia aria di determinismo sociale à la Zola: ognuno, spinto dalla sua ambizione, agisce in modo deviato, a causa delle condizioni avverse che lo circondano, e che infine lo ostacolano. Nella trasposizione teatrale di Insegno questa critica sociale, anche se conservata formalmente, subisce la preminenza dell’aspetto ludico più scanzonato e divertito. Il pubblico ride ai siparietti comici, si svaga ascoltando brani cantati in modo impeccabile e gusta coreografie d’impatto che entusiasmano. I mitici brani dei Bee Gees, eseguiti dal vivo, trascinano efficaci lo spettacolo, assieme alla scenografia seventies, che “cade” solo quando, tentata dal monologo introspettivo, si abbandona all’astrazione. Punte d’eccellenza dello show, sono certamente le esecuzioni canore di Giovanna Dangi e Giada D’Auria/Annette, e la recitazione di Gianluca Sticotti/dj Monty. I protagonisti, Tony Manero e Stephanie Mangano, rispettivamente interpretati da Anna Foria e Giuseppe Verzicco, funzionano, anche se perdono un po’ di carica drammatica a beneficio di un tono più leggero. La stessa considerazione si potrebbe forse applicare al tono complessivo dello spettacolo, che colpisce nel segno nei momenti in cui si palesa la sua funzione d’intrattenimento, ma arranca sul versante drammatico, che infine risulta come depotenziato. Forse complice la diversa natura del mezzo che presenta la storia, in questa versione musical colpisce particolarmente l’abilità dei coreografi e dei ballerini ad occupare interamente il palcoscenico, piuttosto che lo spunto critico inscritto nella narrazione. Questa Saturday Night Fever del Teatro Nuovo di Milano tiene comunque fede al film del ’77 per quanto riguarda la trasposizione delle sequenze narrative, dei dialoghi principali e delle scene cult. La sua funzione, nel panorama teatrale odierno, è forse più legata a strappare un sorriso, piuttosto che a stimolare una riflessione, ma c’è bisogno anche di questo, e non è per forza un male. Let’s Stayin alive!
Alessandro Carraro
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.