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Io esisto in quanto creo finzioni. “12 stanze per Elsa Morante” di Alchemico Tre

di Damiano Pellegrino

Tra i mesi di gennaio e luglio del 1938 Elsa Morante scrive e riunisce una serie di lettere mai spedite in una raccolta a cui dà il titolo di Lettere ad Antonio. Il materiale autobiografico presenta tutti gli attributi del genere epistolare ma il destinatario è assolutamente illusorio e – come indica Alba Andreini nell’introduzione al testo pubblicato da Einaudi – Antonio non è altro che una finzione, un alter ego della stessa Morante, che cerca, invece, il suo interlocutore nello spazio bianco della pagina. Ricorrere a una scrittura privata, pertanto, per descriversi ed esaltarsi – come si legge ancora nell’introduzione al volume.

Si sviluppa proprio a partire da questo materiale letterario, studiato e approfondito da Tatjana Motta, che ha curato il lavoro sulla drammaturgia, lo spettacolo, ancora in forma di studio, 12 stanze per Elsa Morante, realizzato a Bologna da Michele Di Giacomo alla regia e in scena insieme a Tamara Balducci all’interno della programmazione di LUCY Festival. Linguaggi della scena technologically oriented. Una ricerca sul palco che dà piena cittadinanza a un teatro in assoluto movimento o meglio in cammino, uno svolgersi costruito per interruzioni, brevissimi quadri, singhiozzi e ovali di luce che inquadrano attraverso dei primissimi piani, quasi cinematografici, i volti dei due interpreti. Uno studio che sembra quasi mimare il percorso che vive Elsa Morante ai suoi esordi in campo letterario. Ed è la stessa Tatjana Motta a parlarcene, durante gli applausi alla fine dello spettacolo, indicandoci un’autrice appena diciottenne che combatte per mantenersi e vivere di scrittura, muovendosi in incognito, senza dimora e sfrattata finché la sua lotta non la porterà alla stesura del primo romanzo, Menzogna e sortilegio.

Via Margutta 61, l’appartamento di Bragaglia, via Sgambati 9 e ancora altre pensioni vanno a comporre sulla scena un percorso a tappe sbriciolato e senza un centro, laddove seguiamo Elsa Morante, interpretata da Tamara Balducci, da una camera all’altra. Non sono altro che stanze immense, in cui l’autrice è pronta a incontrare le sue storie, sale-lacerti, in cui si intersecano due piani, uno mentale e uno profondamente istintuale e violento, oppure spazi che si attivano e si spalancano ai nostri occhi tra sonno e veglia oppure perché è l’ora di un altro trasloco o ancora a causa di un brutto sogno.

(foto di LUMI)

E all’inizio del lavoro lo stesso Marco Antonio Bazzocchi, critico letterario, saggista e docente universitario, chiamato a spalancare, in video, le porte della prima stanza e invitato a tracciare un profilo di quest’autrice, riferendosi ai suoi libri, allude a una scrittura senza un centro, esuberante e anomala.

Un avvicinamento verso questa scrittrice romana forse è possibile se percorso attraverso la scelta di un testo privato, meno conosciuto rispetto ai romanzi e dalla forte matrice autobiografica: un documento, infatti, che è in fondo più un colloquio della Morante con se stessa. Una scelta a teatro obliqua, di parte e che, in fondo, fa meno rumore ma che, di certo, può aprire gli studi successivi di questo lavoro a inedite possibilità e ricerche. Così la scena può rischiare un avvicinamento, un approssimarsi lento o un inseguimento in progress, pari a una ricerca d’archivio, dando vita quasi a un magazzino-Morante, in cui accanto al mondo interiore dell’autrice può subentrare l’indagine in vitro del gruppo di lavoro stesso, ricorrendo a materiali d’archivio, ad altrettante testimonianze di studiosi contemporanei, a pagine di diario, a filmati, all’uso di installazioni o alle stesse voci degli interpreti protagonisti di quest’indagine, sovrapponendo a una biografia altre due vite, altre due esperienze. Dalla scena potrà emergere, allora, un materiale confuso e sparpagliato ma profondamente vivo, donandoci un formato per la scena che va avanti per deviazioni, cambi di rotta, indizi e nuovi stimoli e prove che dilatano un discorso sul potere della scrittura e sulla relazione tra il secolo scorso e il presente.

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