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(foto di Filippo Manzini)
(foto di Filippo Manzini)

La sconfitta tragica del Fato. “Iliade, il gioco degli dei” con Alessio Boni

di Michelangelo Suma

Gli dei sono la causa di tutto, ma non hanno la colpa di niente, mentre gli umani hanno la colpa di tutto, pur non essendone responsabili. L’interrogazione sul ruolo del fato nelle vicende umane è il tema principale dello spettacolo Iliade, il gioco degli dei, andato in scena al Teatro Mario del Monaco di Treviso dal 13 al 16 marzo 2025.

L’atto si svolge in un Monte Olimpo deserto, cupo e ricoperto dalle ceneri, in cui Zeus, impersonato da Alessio Boni, dopo aver convocato la propria famiglia, confessa ai presenti di aver perso la memoria dopo lo scoppio della guerra di Troia, al punto da non ricordarsi nemmeno il motivo della riunione. Il padre degli Dei, oltre ad affrontare il problema dei suoi difetti di reminiscenza, si vede anche costretto a lanciare di continuo saette e fulmini per vigilare sul suo clan familiare, composto da divinità capricciose e infantili, che litigano su ogni cosa per i motivi più futili. Le divinità vengono rappresentate nei loro eccessi, come la passione incestuosa fra Ermes (Haroun Fall) e Atena (Elena Nico), oppure i continui tradimenti di Zeus nei confronti di sua moglie Era (Antonella Attili). Mentre nei cieli gli Dei danzano e festeggiano nella loro onnipotenza, a Troia l’esercito acheo, accampato fuori le mura e decimato dalla peste, chiede al proprio re Agamennone di liberare la sacerdotessa Criseide per porre fine all’epidemia. Su sollecitazione di Achille, anch’egli interpretato da Boni, il re accetta, pretendendo però in cambio dall’eroe la sua schiava Briseide. Achille, preso dalla sua ira funesta, vorrebbe uccidere Agamennone per il torto subito, ma Atena lo ferma dall’alto, ricordandogli che il fato non ha previsto per lui questa azione.

Mentre sul suolo troiano avvengono i primi scontri e le prime morti, come quella di Sarpedonte (Francesco Meoni), uno dei figli mortali di Zeus, ogni divinità sceglie un eroe sul quale scommettere, facendolo in molti casi scontrare con quello di altri dei; la teocrazia olimpica, a causa di rivalità bizzose fra i suoi componenti, decide sulla vita di migliaia di soldati, muovendo questi ultimi come pedine di una grande scacchiera. Sono quindi gli dei a decretare sia la morte di Patroclo, con lo scopo di far tornare Achille in battaglia, sia quella di Ettore (Marcello Prayer) nel duello contro lo stesso Achille. Non esiste nessun libero arbitrio, poiché anche la causa della guerra, ovvero il ratto di Elena da parte di Paride, è avvenuta per mano della dea dell’amore Afrodite (Jun Ichikawa). Le uniche figure divine che soffrono per questo meccanismo sono la ninfa Teti (Liliana Massari), la quale conosce in anticipo la sorte del figlio Achille, e Zeus, che piange disperato l’uccisione di Sarpedonte. Nell’ultima scena Zeus racconta alle altre divinità la distruzione della città di Troia e la conclusione della guerra narrata nell’Odissea, rivelando che dalla costruzione del Cavallo di legno da parte di Ulisse gli umani fecero tutto da soli, sottraendosi al controllo divino. La situazione di iniziale supremazia della sorte viene completamente ribaltata.

(foto di Filippo Manzini)

Lo spettacolo riesce a tenere alto il coinvolgimento emotivo del pubblico non solo tramite la recitazione degli attori e le musiche di ispirazione greca, ma anche per mezzo dei colori della scenografia, che passano dal nero dell’oscurità notturna al rosso ardente del sole. Lo sfondo intensifica da un lato la dimensione misteriosa e incerta del mito greco, dall’altro l’impotenza del singolo di fronte alla rappresentazione del cosmo e dei fenomeni naturali. Il momento più avvincente dell’intera rappresentazione è costituito probabilmente dall’inizio del duello fra Achille ed Ettore, in cui Prayer, partendo dalla platea per poi salire sul proscenio, ha saputo far immedesimare gli spettatori nell’intera cittadinanza troiana. I costumi color turchese e i gioielli indossati dagli attori per l’interpretazione degli dei danno idea della ricchezza e della potenza delle divinità olimpiche. L’uso di maschere e di manichini con elmi, lance e scudi, mossi come feticci dagli attori per impersonare gli eroi dell’Iliade, rafforza l’idea dell’assenza di libero arbitrio degli umani descritta precedentemente. L’esibizione risalta le movenze e la forza fisica dei protagonisti, specialmente nelle scene dei combattimenti, in cui il rumore delle lance si fonde con le grida di battaglia dei soldati.

Lo spettacolo evoca una profonda contrapposizione fra la dimensione comica del mondo divino e quella tragica del mondo terreno; mentre nel primo gli dei possono fare quello che vogliono ridendo delle sventure mortali, nel secondo gli esseri umani soffrono e muoiono, subendo tutto il male possibile. La battuta recitata da Boni riguardante il cavallo di Troia simboleggia la fine del dominio degli dei avvenuta grazie all’ingegno, una forza imprevedibile e incontrollabile che ancora oggi produce il meglio e il peggio del nostro mondo. Ulisse mediante l’ingegno ha fornito ai suoi simili un’arma potentissima contro gli dei, ancor più efficace del fuoco rubato da Prometeo. È il conflitto fra gli individui e il fato a essere un elemento essenziale della Tragedia, genere letterario che secondo l’opinione espressa da Aristotele nella Poetica troverebbe delle prime radici tematiche proprio nei due poemi omerici.

L'autore

  • Michelangelo Suma

    Nato a Venezia nel 2005, collabora con le testate online “Il Punto Quotidiano” e “Finnegans”, con il periodico “Gente Veneta” e nel 2024 ha scritto recensioni per la Rassegna teatrale e musicale “Le città visibili”, svoltasi a Rimini

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