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Il tragico e il contemporaneo. Riflessioni a partire da "Menelao" di Carnevali

di Altre Velocità

Ethos anthropoi daimon: Il carattere è il demone per l’uomo – il demone è il carattere dell’uomo. (Eraclito, Frammenti)

Gli ultimi cinquecento anni sono stati testimoni di una seria sbalorditiva di rivoluzioni. L’economia si è sviluppata in misura esponenziale e l’umanità oggi gode di un tipo di ricchezza che un tempo veniva associata solo alle fiabe. Ma siamo più felici? Il paradosso di Easterlin o il paradosso della felicità negli anni ’70 spiega che, in breve, più abbiamo meno siamo felici. La nostra incessante ricerca di qualcosa di meglio – spesso assimilata con l’aumento della ricchezza per assicurarsi la felicità – assomiglierebbe più a una corsa incessante su un tapis roulant.

Ma la nostra percezione della felicità si afferma soltanto quando qualcosa le si contrappone. Questo rapporto dialettico rappresentò le fondamenta sulla quale gli antichi greci costruirono le loro maggiori opere tragiche. Prendiamo Menelao, ad esempio. Fratello minore di Agamennone, ha tutto: salute, denaro, una donna bellissima, una grande casa con giardino, palestra, jacuzzi, due auto e ogni sera quando torna a casa si trova la cena pronta in cucina. Insomma, non gli manca niente, eppure è infelice e soprattutto non sa perché. Durante Vie Festival abbiamo assistito al ritorno in scena di questo personaggio un po’ ai margini delle proposte contemporanee sui tragici greci. Il drammaturgo Davide Carnevali si confronta con questo eroe mitologico riconoscendogli le caratteristiche dell’uomo dei nostri tempi. È un uomo che vuole sempre di più, più di ciò che ha e non è mai soddisfatto. Non c’è una vera azione nell’opera di Carnevali. Menelao lamenta il proprio stato; scrive le lettere che poi strappa e brucia; pone le domande alle quali non c’è risposta. Il tragico per l’autore consiste proprio in questo, nel non poter risolvere un conflitto proprio perché non c’è un conflitto da risolvere.

Ma quali sono le vere domande da porre alla storia? Che lascito ha il tragico nel nostro contemporaneo?

Il concetto del tragico non nacque assieme alla tragedia, è il frutto infatti di elaborazioni filosofiche sulle tragedie attiche che affondano le radici nel Romanticismo tedesco. Già nei tempi di Aristotele la tragedia aveva compiuto il proprio ciclo ed egli nella Poetica ci indica gli elementi dell’arte tragica per porre le basi su come si debbano comporre i racconti perché la poesia riesca ben fatta. Egli tenta di riportare in vita la grande arte di Eschilo, Sofocle ed Euripide. Menziona che la tragedia nacque dal ditirambo – che fu l’antica forma di lirica corale greca in onore del dio Dioniso. Ciò che sappiamo noi è che la stagione della tragedia attica fu effimera e coincise di fatto con il momento del massimo fulgore politico di Atene. In poco meno di ottanta anni (480-404 a.C.) l’evoluzione del genere tragico accompagnò l’ascesa, la potenza e il declino della polis. Quando il teatro di Dioniso fu ricostruito in pietra, nella seconda metà del IV secolo, fu ornato con statue di Eschilo, Sofocle ed Euripide. Relativamente presto avvenne anche la scelta del canone delle trentadue tragedie ancora oggi note. La ragione di canonizzazione del tragico antico potrebbe essere avvenuta per l’universalità dell’azione mimetica che appare fuori del tempo. Naturalmente, i tragici antichi componevano le loro opere facendo riferimento alle circostanze storiche e politiche del momento, eppure la loro abilità fu quella di saper trascendere le particolarità storiche creando da moventi particolari figure umane universali.

Fermandoci un istante alla tragedia definita dallo stesso Aristotele la più perfetta di tutte, Edipo re, riusciamo ad avvicinarci al significato intimo del tragico attico. Il concetto del tragico appare molto chiaramente in quest’opera nella quale Edipo si presenta come un personaggio schiacciato dal proprio destino – ananke – ma secondo la nostra visione etica egli è del tutto innocente. Edipo rappresenta la scienza, la cultura, egli diventa il re perché risolve l’enigma della sfinge. Il paradosso ironico sta nel fatto che egli dimostra di conoscere la natura umana ma risulta cieco alla sua propria vicenda. Edipo è continuamente preda dell’ambiguità di linguaggio dimostrando di non saperlo usare. Peter Szondi sottolinea che l’elemento tragico delle tragedie non consiste nel fatto che l’eroe subisca una sorte luttuosa, ma nel fatto che il lutto intervenga nel momento in cui l’eroe si trova al culmine della sua luce. Questo succede a Edipo, è re di Tebe, i suoi sudditi lo rispettano, è al massimo della sua gloria ed è lì che viene rovesciato nella sconfitta. Da quel momento Edipo cieco diventa vedente. Ciò che è tragico è questa inconsapevolezza, questo rovesciamento. Questo elemento viene evidenziato da Aristotele nella Poetica come peripezia. Edipo nella sventura che gli è capitata scopre la propria natura umana, che è nello stesso tempo anche divina, poiché un tale accanirsi del destino non può trovare spiegazione che nel carattere straordinario, umano e insieme non umano, dell’eroe. Così Edipo accecato e abbandonato alla disperazione diviene uomo sacro, accolto nella divinità nell’Edipo a Colono. Sono due i fattori che entrano in conflitto nell’atto tragico: l’agire dell’eroe, cioè la necessità e qualcosa al di là dell’orizzonte dell’azione – la libertà. Il paradosso tragico esiste nella misura in cui la libertà sarà sconfitta, questa sconfitta è la punizione che l’eroe riceve ed è allo stesso tempo il riconoscimento della libertà. Il soggetto non è qui quello moderno, consapevole della propria soggettività; libertà e necessità si compenetrano nell’eroe classico poiché l’eroe non è consapevole. Il protagonista deve combattere con il fato e deve essere sconfitto. L’eroe perisce ma perisce rivendicando il libero arbitrio. Questo è lo spirito profondo della tragedia greca. La catarsi, la fine della tragedia, è tradurre le passioni in virtù.

L’eroe tragico greco, cercando di combattere il destino, non fa altro che la volontà del destino stesso, perpetuando l’errore inconsapevolmente. Nella cultura post-moderna questo concetto viene rielaborato in una chiave nichilistica nella quale l’eroe attraverso la consapevolezza razionale si rassegna all’incapacità di reagire alla volontà del destino. Il Menelao di Carnevali a questo punto incarna la dialettica che si compone tra il pensiero tragico e la sua elaborazione in chiave post-moderna. La drammaturgia di Carnevali va oltre: Menelao, l’uomo più ricco e potente vuole risolvere un problema che non esiste e, cercando la soluzione, genera il problema. Egli è l’eroe pragmatico che attraverso la buona ragione e la logica cerca disperatamente di uscire dalla propria infelicità. Questo intreccio tra la mitologia e la contemporaneità è palesato attraverso la messa in scena, con l’inconsueta costruzione e interpretazione di Teatrino Giullare. Carnevali crea un allestimento facendo uso di fantocci quasi a sottolienare un abbassamento della tragedia in relazione ai nostri tempi. Dalla messa in scena riusciamo a cogliere molto bene l’intento registico dell’idea di una tragedia provocata dai danni scaturiti dalla ragione: un’idea esce dalla testa e la tragedia ha inizio. L’ultimo eroe tragico, Macbeth, viene condotto alla rovina non attraverso il confronto con il destino, come nel caso di Edipo, ma per la propria ambizione. Menelao non ha ambizioni, non si confronta con il destino. Personaggio tragico contemporaneo possiede tutto tranne la consapevolezza di se stesso. Affine al pensiero di Socrate cerca di interrogare se stesso, di conoscere i propri limiti facendo appello alla razionalità logica la quale secondo l’autore non è sufficiente poiché avere tra le mani “la verità” non significa necessariamente comprenderla. Nella pluralità della forma incarnata in Proteo, nell’irragionevolezza delle emozioni incarnate in Afrodite, lo spettatore coglie l’intento dell’opera. L’eroe contemporaneo è incapace di ascoltare, poiché il suo sentire è condizionato dal suo ragionamento logico rinnegando il diritto di ascolto all’intuito, ai sensi, alle emozioni. Alcuni tipi di problemi non hanno una matrice logica alla base, poiché la realtà non sempre è logica. Allora se la scrittura rappresenta una messa in logica dell’esperienza, il tragico sta nell’insufficienza del linguaggio nel comunicarla.

Jovana Malinarić

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