Mentre il pubblico cammina, cerca il proprio posto, chiacchiera, già la sala inizia a riempirsi silenziosamente di una sottile nebbiolina. Il buio arriva accompagnato da suoni distorti, lontani. Così inizia La Tempesta di Shakespeare, ultimo lavoro del regista Alessandro Serra. Si apre il sipario e una figura distesa, coperta da un enorme sudario nero che si stende su tutta la superficie calpestabile del palco, ci accoglie. Per chi avesse visto Macbettu, opera di grande successo del regista, può sembrare quasi una scena rubata a quello spettacolo, cupa, giocata su diverse sfumature e gradazioni di nero. Ma come a voler togliere di mezzo il cadavere di Macbeth, ecco il telo salire e cancellare tutto quello che è rimasto negli occhi del pubblico di Macbettu per portarli verso un’altra storia e verso un altro Shakespeare.
Sotto di esso appare Ariel, lo spirito schiavo di Prospero, signore dell’isola. Il telo si ferma a mezz’aria, fluttua dolcemente, segue i movimenti di Ariel, che a distanza sembra manovrarlo. Muovendosi il telo filtra la luce creando ombre e fluttuazioni, i rumori e la musica si fanno più presenti, un rimestio di acque in tormento, il canto di una balena, il telo sale, scende, Ariel lo scatena con tutte le sue forze e il teatro è compiuto. Un telo, una partitura fisica montata su musica, alcuni puntamenti luce di grande efficacia e Serra ci trasporta sott’acqua, a vedere il dietro le quinte della tempesta scatenata da Ariel. Questa magia svelata è filo conduttore di tutto lo spettacolo. La figura di Prospero va a sovrapporsi a quella del regista e la sua magia, appunto, non è altro che il teatro che accade davanti agli spettatori senza cambi scena, senza alcuna pretesa naturalistica ma al contrario, mostrando tutto ciò che è possibile mostrare, senza veli, senza nessuna censura.
Così al pubblico viene mostrata Ariel mentre, con premura di non essere percepita dalle sue vittime, compone una foresta piantando dei rami sulla pedana-isola al centro del palco, oppure, in un altro momento, viene mostrato il dietro le quinte, con gli appendi abiti e gli attori che si cambiano prima di tornare in scena. La pedana rialzata al centro del palco non è solo un richiamo a un teatro di strada, popolare, ma è anche l’arena del gioco, solo su di essa gli attori agiscono il testo, per romperlo non appena ne discendono. Solo chi appartiene all’isola può agire fuori da essa, e c’è un profondo distacco tra le vicende dei protagonisti: lo stesso Prospero, non sembra essere spinto affatto dal desiderio di recuperare il Ducato di Milano che gli appartiene. È un personaggio distaccato, quasi divino, distaccato e divertito dalle vicende umane. Più di ogni altro agente sul palcoscenico è a lui che sono affidate le chiavi interpretative della regia e dell’intera vicenda. Interpretato da un granitico Marco Sgrosso, rassicura tutti dicendo che questa strana storia raggiungerà la fine ma non è quello che importa, quello che importa è capire il trucco del mago, capire che “siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni”, che dietro il teatro non c’è alcun trucco perché è il teatro stesso il trucco svelato. D’altronde, tra tutti i testi di Shakespeare La Tempesta è quello in cui il bardo più si è lasciato andare a riflessioni sul teatro stesso.
Come per il suo celebre Macbettu, anche quest’opera ha subito una lavorazione lunga, che parte dalla traduzione del testo, passa per lo studio, la citazione e la reinvenzione di storiche messe in scena dello stesso testo, come quella di Strehler, (a cui si attribuisce l’utilizzo del telo per rappresentare la tempesta, reinterpretato da Serra sfruttando appieno le possibilità tecniche della scena) e solo allora si permette di incontrare il palcoscenico. La cura di ogni dettaglio, fin dalla traduzione, è quasi maniacale, e arriva alla scelta dei suoni, al gioco tra gli attori, ai già citati diversi piani di lettura, alla creazione di paesaggi estremamente evocativi utilizzando poco o nulla. Tutti questi elementi donano allo spettacolo un piano quasi rituale, lo rendono un racconto ancestrale ma fatto di visioni reali, e non di sogni, di trucchi e non di magie. Alla fine Prospero decide di liberare il suo assistente. Grazie ai suoi servigi, tutto è ristabilito e torna alla normalità. Ariel allora è l’ultimo rimasto. Sale sulla pedana che è stata l’isola e lentamente, un fascio di luce alla volta, converge verso il centro, verso Ariel, che sembra smarrita. E in effetti Ariel non sa cosa ne sarà di lei, la sua maledizione è sciolta, ma cosa gli accadrà? Tornerà aria? Rimarrà così? Quando la luce sul suo corpo diventa talmente intensa da essere quasi accecante Ariel prende un grande respiro in levare e viene inghiottito dal buio e dal silenzio, il sortilegio è sciolto e lo spettacolo è finito.