Qualche sera fa ho visto Naviganti alla Villa Salina, alle porte di Bologna, comune di Castelmaggiore. Domenica 8 settembre, ultima replica, chissà non si possa rivederlo anche in altri contesti.
Ho visto un gruppo di attori e attrici in una villa, ma erano di fronte a noi come se fossero su una nave in crociera. Davano corpo a personaggi da un intarsio letterario sul viaggio, sui tormenti dell’anima chi solca il mare, sui naufragi, sulle paure dei “barbari”. Basta una scena sul filo del gioco, dove i personaggi si accorgono della nostra presenza e ci additano come profughi e diversi, a farci intuire cosa accade ogni giorno a chi attraversa il canale di Sicilia. Nell’androne dove siamo seduti ci sono tre porte, a noi paiono gli accessi per le cabine della nave. Brevi monologhi si alternano a dialoghi e invocazioni, è un brulicare di un’umanità spassosa, in quel luogo sospeso dal mondo che è il ponte di una nave: chi compendia capolavori della pittura scimmiottando conferenze di critici, chi intrattiene i viaggiatori proponendo esperimenti sulla consistenza dell’acqua, chi elenca, vestito da militare, le occorrenze umane e le attività a cui si è dediti stando in crociera, una delle wallaciane cose divertenti che non farà mai più. Maurizio Cardillo, Fabrizio Croci, Oscar De Summa, Angela Malfitano, Marco Manchisi, Francesca Mazza, Gino Paccagnella, Bruno Stori, in uno spettacolo prodotto dall’Associazione Tra un atto e l’altro, ci invitano a domandarci: come si vede la terra, dal mare? Cosa abbiamo da imparare, se provassimo a vederci senza i piedi piantati nei nostri paesaggi consueti? Sull’orlo di una burla affilata come una comédie humaine, i personaggi che questi attori e attrici convocano ci appaiono distanti e a noi vicinissimi allo stesso tempo. Su un lato un uomo suona una batteria jazz, nel finale dismette i panni del personaggio e dell’attore per rivelarci la sua vera identità. È Pulcinella, la maschera che parla con chi non è più qui, sta per salire una scala ma in fondo alla tromba ode una voce, il rimbombo dice che il mare è tutto ciò che è sul punto di compiersi. Il mare è il nostro prossimo passo, è l’umano in potenza, siamo noi.
Ho visto questi attori a Villa Salina e ho pensato che il teatro non si esiste solo nei binari del sistema produttivo. Il teatro sono gli attori e le attrici in una villa prima che la stagione cominci. Sono le visioni “fuori dalle righe” della regia, fuori dall’ordine delle buone indicazioni sulla recitazione. Il teatro è anche questo sguardo che calpesta il centro della scena senza il riparo di un orientamento, è un fluire non eterodiretto, è un moto endogeno che rivivifica. Senza produzione e senza circuitazione. Questa forza endogena è decisamente “riproduttiva”: è qui che occorre cercare i semi di un teatro del futuro, al di là dei dati anagrafici. Certo, da sola non basta. Eppure in sua assenza il teatro si distanzia dal mutamento, restano le sue forme solidificate, come le occorrenze di una bellissima lingua antica.
L'autore
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Tra i fondatori di Altre Velocità, è assegnista di ricerca presso il Dipartimento delle Arti all'Università di Bologna, dove insegna Discipline dello spettacolo nell'intreccio fra arte e cura (Corso di Educazione professionale) e Nuove progettualità nella promozione e formazione dello spettacolo al Master in Imprenditoria dello spettacolo. Immagina e conduce percorsi di educazione allo sguardo e laboratori di giornalismo critico presso scuole secondarie, università e teatri. Progettista culturale, è tra i fondatori di Altre Velocità e dal 2020 co-dirige «La Falena», rivista del Teatro Metastasio di Prato. Fa parte del Comitato scientifico dei Premi Ubu. Usa solo Linux.