Il teatro al lavoro, firmato da Massimiliano Pacifico. L’occhio indiscreto della camera segue tre giovani ed entusiasti attori nella creazione, sotto la guida di Toni Servillo, dello spettacolo Elvire Jouvet 40, scritto da Brigitte Jaques. Quest’ultimo è ispirato alle sette lezioni sul Don Giovanni di Molière, tenute al Conservatorio di Arte drammatica di Parigi nel 1940 da Louis Jouvet. Donna Elvira, Don Giovanni, Sgaranello, Claudia, Octave, Léon, Petra, Francesco, Davide si alternano sulla scena e seguono le indicazioni di Molière, di Jouvet e di Toni Servillo. Il teatro diviene metateatro. La grande sfida dello spettacolo sta nel riuscire a restituire allo spettatore questa stratificazione. Siamo nella scena VI del IV atto del Don Giovanni dove riappare il personaggio di Elvira. «Non vengo qui piena di quel risentimento, a cui ho dato libero sfogo stamattina: mi troverete molto mutata.[…]Questo perfetto e puro amore mi conduce qui per il bene vostro, per rivelarvi un segno dal cielo e cercare di salvarvi dal precipizio a cui vi avviavate[…]» Mentre queste dense parole ci colpiscono e rimbombano, una voce esterna irrompe e ci trasporta nella Parigi degli anni ‘40. «È necessario che ogni frase di Elvira (che sono frasi che sembrano sgorgare da una sorta di eloquenza naturale) venga sostenuta da una carica emotiva che ne sostenga l’emissione fino alla fine.» Fin quando il discorso si interrompe nuovamente e siamo catapultati intorno ad un tavolo a Venezia nel 2016. A questo percorso, che compiamo seduti sulla poltrona di un cinema, va ad aggiungersi anche un ultimo strato, creato dalla presenza della macchina da presa. I tre piani spazio-temporali si intrecciano fino quasi a confondersi. Il teatro, in questo modo, arriva sullo schermo. L’obiettivo del film non è quello di mostrare cosa avvenga effettivamente dietro le quinte di uno spettacolo, ma come il teatro stesso lavori sulle coscienze degli attori e degli spettatori. Si nota, nelle immagini scelte, l’evoluzione del rapporto che gli attori hanno con il testo e con se stessi. Le paure, le incertezze, le gioie riescono a trapassare lo schermo. L’importanza del rapporto maestro-attore è cruciale. Jouvet e Servillo parlano a tre giovani attori come due pedagoghi che in epoche diverse basano il loro metodo di lavoro sull’inclusione e sul dialogo. L’allievo non è un contenitore vuoto da riempire e da impostare. Bisogna provare, sentire, essere presenti al massimo della propria energia, anche quando “semplicemente” si cammina. Le luci si accendono. E così tra Venezia, Napoli, Milano e Parigi ci riscopriamo in un 23 Gennaio del 2019 nella sala del cinema Lumière di Bologna. Il tutto si concretizza con l’arrivo di Toni Servillo, che con il suo sigaro sembra essere uscito dallo schermo per rispondere con fare diretto e schietto alle varie domande che il pubblico emozionato gli pone. Lungi dal voler identificare la sua figura con quella del maestro Jouvet, Servillo parla di teatro come chi del teatro ha fatto la sua vita, ne comunica la poesia, ma, allo stesso tempo, con occhio disincantato, anche la fatica. Con una modestia tutta particolare, vede nello spettacolo che ha deciso di portare in scena, un vero e proprio atto di riconoscenza nei confronti di un gigante, di un poeta: Jouvet. In risposta a un intervento Servillo definisce il teatro «la festa dei sensi e dell’intelligenza». In quest’ottica, restituire nobiltà al mestiere dell’attore diviene l’obiettivo fondamentale. Mostrare una realtà nella quale i sogni, nonostante mille sacrifici, possono realizzarsi è oggi più che mai fondamentale. La sala era gremita di giovani volti. Probabilmente abbiamo bisogno di sentirci di dire che possiamo farcela, che immaginare di diventare attore nel 2019 non è insensato. Occorrono, come in tutte le cose, pazienza, dedizione e perché no, anche un Servillo che ti proponga di recitare in un suo spettacolo.
Marcella Pagliarulo
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.