Discorso grigio. I giorni del 2-3 marzo, infatti, la struttura ha ospitato lo spettacolo della compagnia ravennate Fanny & Alexander, composta da Luigi De Angelis, regista, Chiara Lagani, drammaturga e Marco Cavalcoli, attore. Il teatro del Sì, battezzato da Leo De Berardinis come “lo spazio della memoria”, è, per questa occasione, il luogo d’incontro tra uno sconosciuto Presidente e lo spettatore. L’attore si mostra nei panni di un politico compassato: capelli laccati e pettinati all’indietro, cravatta, camicia sudata, giacca sudata, troppa tensione; indossa sulle orecchie, abituate a non ascoltare, grandi cuffie attraverso le quali gli dettano le parole da recitare. Questa tecnica di recitazione, adottata esclusivamente dalla compagnia ravennate e nominata dalla stessa eterodirezione, è una proposta innovativa sul campo delle tecniche teatrali. Con essa va in scena una sorta di radiodramma, in cui l’attore mette in atto un monologo spiazzante circa la politica “stitica” del Bel Paese. Dunque sintonizzatevi, spettatori, che il Presidente sta per fare il suo discorso alla Nazione! Il palco è vuoto, non c’è alcuna scenografia a riempire gli spazi. I riflettori sono puntati al centro, nel cerchio di luce di un ring immaginario, in cui l’attore si allena per allentare i nervi in vista del suo discorso. Un lottatore, in questo caso, che affronta se stesso, perché è se stesso l’avversario che lo aspetta sul ring. Marco Cavalcoli ci ricorda che un politico, prima di esser tale, è un uomo fragile e insicuro quanto qualsiasi altro uomo. Sforzando il proprio fisico all’estremo, l’attore si dimena al punto di creare l’illusione di un balletto, durante il quale il corpo tutto è scosso da forti tremolii. Questo è quanto accade prima che il nostro sconosciuto Presidente prenda la parola. Tutta la parte iniziale dello spettacolo è, infatti, immersa in una densa suspense che provoca nello spettatore curiosità e impazienza. Durante questa fase di preparazione, il silenzio è intervallato da un audio in crescendo, che ricorda il frastuono di mitragliatrici azionate. Sarà forse un’avvisaglia questa, un avvertimento giacché le parole del premier saranno assordanti proprio come gli spari della mitragliatrice? Il dubbio lascia spazio alle risposte. Il premier è pronto, o almeno ci e si illude di esserlo. L’attesa è finita. Le luci del palco si affievoliscono lentamente fino a confondersi con l’oscurità della sala, concedendo al presidente un ultimo istante di intimità. Improvvisamente però la luce torna a far capolinea sul volto di Marco Cavalcoli che, petto in fuori, atteggiamento superbo, si accosta al microfono e…silenzio. Buio. Cambio di scena. Niente discorso. Marco Cavalcoli mette da parte il personaggio del Presidente per avviare un comizio, durante il quale imita lo stile oratorio di vari politici, delineando una sorta di “profilo” della repubblica italiana degli ultimi decenni. I volti degli italiani più illustri, filtrati dal sarcasmo dell’attore, ci appaiono così meno austeri e, forse, meno ostili del solito. Anche l’ultima parola di questo comizio bizzarro è stata detta, udita e forse subito dopo dimenticata. Non riusciamo ora a prevedere quello che succederà: c’è solo il buio che preannuncia una breve pausa, l’ultima. Discorso grigio è uno spettacolo che dà peso alle pause, forse concependole come spazio di riflessione. Nell’ultimo atto l’attore dà finalmente un volto al nostro sconosciuto Presidente, indossando una grande maschera di cera e, in silenzio, comincia a girare su stesso. Non si sa quanti minuti passino prima che Marco Cavalcoli si fermi e si tolga la maschera. Magari questo era l’ultimo esercizio previsto dall’allenamento, quello che veniva in aiuto al presidente per allentargli i nervi in vista del suo discorso; magari ora egli è finalmente pronto per parlare…silenzio…per parlare alla nazione…silenzio…per parlare…silenzio.
Carmen Zaira Torretta
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.