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Il filo sospeso: Lo sguardo a Oriente del Teatro Potlach

di Altre Velocità

Terzo Teatro. Ieri, oggi, domani al Teatro Potlach. Di Buduo parte dalla sua formazione antropologica, che presto si incrocia con il teatro dando vita alla compagnia fondata nel 1976 assieme a Daniela Regnoli. Il racconto inanella poi una serie di aneddoti: da quando fu spettatore dell’Antigone del Living Theatre al suo incontro con Eugenio Barba, dal quale riesce a farsi invitare a pranzo e a presentargli la sua tesi di laurea condotta sul campo seguendo le orme di Ernesto De Martino. L’ambiente romano di allora, così stimolante a livello teatrale, scoraggiava tuttavia le piccole realtà che volevano agire al di fuori dal contesto tradizionale; il Teatro Potlach sceglie quindi di stabilirsi nella periferia rietina, a Fara Sabina, dove riesce a farsi concedere dal comune un convento abbandonato. All’interno di questo microcosmo rurale l’interesse per l’arte dell’attore porta il gruppo a diventare centro di formazione, con gli occhi aperti inizialmente verso le seduzioni del teatro orientale, dove l’attore è anche ecletticamente danzatore e cantante; avviando una ricerca che riesce ad affermarsi all’estero ma non sul territorio. La consapevolezza di questa difficoltà porta la compagnia a dirigere lo sguardo verso la cittadinanza locale, a indagarne e capirne realtà e inclinazioni: «la gente va a vedere ciò che gli appartiene». Il lavoro si arricchisce così di forme spettacolari tradizionali: il coro del paese, il teatro in vernacolo, la danza folklorica. Lo spettacolo nasce dal luogo, infiltrandosi negli angoli cittadini vissuti dalla popolazione, abitandoli teatralmente e trasformandoli (ad esempio con luci e teli) fino a renderli irriconoscibili agli occhi degli stessi abitanti. «Raccontiamo luoghi» ci suggerisce Di Buduo. A questa direzione di lavoro il Teatro Potlach affianca quella degli spettacoli di sala. La compagnia all’interno dei teatri si dedica infatti a indagare la relazione che si instaura tra le nuove tecnologie e l’attore, in un tentativo di rinnovarsi pur mantenendo forte la propria identità. Anche Il filo sospeso, lo spettacolo che viene presentato presso il centro La Soffitta, appartiene a questa categoria. Qui la tecnologia a dire il vero non è pervasiva come in altri progetti del gruppo laziale; si concentra piuttosto nell’utilizzo del fumo che, sparso in sala, viene colpito da un raggio di luce orizzontale proveniente dal proiettore, creando un ambiente capace di rimembrare un paesaggio montuoso dove le nubi si scontrano con le cime. A fare da perno dello spettacolo è piuttosto la presenza fisica delle attrici e la narrazione, affidata a Nathalie Mentha, che ci racconta la storia di un samurai innamorato di un’acrobata francese, alla morte della quale (precipitata mentre stava esibendosi su una corda stesa tra due montagne) abbandona il ruolo militare per diventare poeta, pittore, calligrafo… Il filo narrativo è perciò accompagnato incrociando la precisione del gesto dell’attrice giapponese Keiin Yoshimura, interprete del samurai, con il lavoro vocale e fisico della compagna svizzera che, oltre a narrare, incarna altri personaggi. La relazione tra le due declina scenicamente i momenti della storia, dalla primavera dell’innamoramento all’inverno dell’abbraccio finale dei due, definendo i contorni di una scena sospesa, legata da poesia e musicalità. Per completare il racconto vi proponiamo un montaggio musicale dei brani dello spettacolo e di altri con sonorità affini

Matteo Boriassi

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