Veryferici di Shebbab Met Project. Il progetto prende le mosse dal gruppo di lavoro della compagnia dei Cantieri Meticci, padroni di casa dello spazio e formata da giovani provenienti da varie zone d’Italia, dell’Africa e dell’est Europa. Lo spettacolo, inserito nella rassegna Interscenario 6, inizia con una bambola ricavata da una pannocchia e finisce con il mais sparso sul pavimento della sala, chicchi che zampillano dalla scenografia sul fondo: un raffazzonato collage di teli di plastica e sacchi della spazzatura che gli attori violentemente recidono. Nel mezzo ci sono le vite dei Veryferici, raccontate e accompagnate dalle canzoni dell’album che li porterà al successo. Ma chi sono i Veryferici? Fanno canzoni, si direbbero musicisti.. «I Veryferici suonano. A volte canzoni. A volte botte. A volte i citofoni di notte». Sono anche supereroi, ce lo fanno vedere indossando mantelli e proiettandosi come Superman in posizione di volo. «I Veryferici sono supereroi. O supererrori. Dipende da come si svegliano». C’è l’Uomo Melone, l’Uomo Nebbia, l’Uomo Tenda, la Donna Nido. «Veryferici arrivano da fuori. Se non arrivassero da fuori non sarebbero Veryferici». Un intreccio tra momenti musicali e racconto segna dunque le tappe di questi viaggi, diretti verso l’ambito «premio finale», alludendo così al Premio Scenario, per il quale lo spettacolo è stato ideato. Ascoltiamo brani accompagnati da beatbox, oppure dalla chitarra: le note de Il gorilla di Brassens/De André – tramite opportuni cambiamenti di strofe – narrano le vicende di Gorino, il paese dell’Emilia divenuto purtroppo famoso per le barricate anti-immigrati: «Attenti a Gorii-i-i-i-iino!». Due ragazzi marocchini si rivolgono invece alla “zietta” Angela Merkel, che a loro parere vuole accoglierli tutti tra le braccia cariche di doni. Ai momenti individuali si mescolano sequenze corali, che guidano la scena – come quando i giovani performer parlano del loro primo schiaffo, metafora di tutte le porte chiuse sulle loro facce di emarginati – oppure fanno da contrappunto ai monologhi. Proprio questa fisicità corale sostiene la semplicità dei testi, restituendo con movimenti precisi la verità dei «corpi incazzati» dei ragazzi. Dai margini del mondo, i Veryferici sono attratti verso il centro (l’Italia, l’Europa) come falene dal fuoco; osservano la gabbia lucente della società patinata borghese e la desiderano, nonostante presto si rivelerà altrettanto spietata. È così che per arrivare al successo offrono in sacrificio una di loro, che per produrre il disco deve inginocchiarsi al potere, essere abusata, violata nel corpo. Gli altri sentono le sue grida ma non fanno nulla. La voglia di successo è per loro troppo forte. È l’inizio della fine, i Veryferici sono così inghiottiti dalla società che prima li escludeva, ma al prezzo della loro vivacità, della loro purezza. Shebbab Met Project, offrendo uno spettacolo dalla struttura ancora caotica e ingenua, riesce comunque a saldare i caratteri individuali e biografici dei partecipanti con una visione problematica dei confini sociali e geografici, intrattenendo e spronando a uno spunto di riflessione con umiltà e spontaneità.
Matteo Boriassi
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.