Introduzione
Le parole proposte hanno una loro derivazione da spettacoli e concetti di circo contemporaneo, ma gli autori suggeriscono anche ibridazioni con altri mondi performativi (e non solo) consapevoli che proprio nel mescolamento di linguaggi e parole la creazione artistica vive una sua possibilità di diffusione.
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Circomorfosi (s.f.)
Con il sostantivo circomòrfosi, formato da circo e morfosi, intendiamo la capacità di utilizzare tecniche circensi (giocoleria, equilibrismo ecc.) per attivare una variazione della forma scenica del corpo e/o della voce oppure per alterare una postura dello e nello spazio.
La parola è stata desunta dallo spettacolo di Fabrizio Solinas Little Garden, in cui l’acrobata per trasformarsi in dinosauro, mammifero o uccello effettua esercizi e numeri di giocoleria con tre palline. Quel principio rotatorio trasfigura il comportamento umano per trasferirlo in una incarnazione dell’animalità che compie una sorta di ciclo ecologico continuo.
Analizzando una sequenza fotografica di quella performance ricostruiamo la modalità in cui avviene la circomorfosi.
In un primo momento è l’esercizio con le palline a caricarsi di qualità cinetica e a trasformare l’atteggiamento del performer (Foto 1).
Nel gioco poi emerge la figura animale e le palline sono la traccia visibile di questo passaggio nel modo in cui vengono impugnate e lanciate. In questo momento si vede una sorta di ibrido pronto alla trasformazione (Foto 2).
Da quella forma transitoria si genera una figura nuova, in questo caso una scimmia, che continua a utilizzare le palline come struttura di gioco, temperatura di uno stato d’animo e possibilità relazionale con gli spettatori (Foto 3).
Fabrizio Solinas ha, infatti, colto questa possibilità dall’osservazione del mondo animale, in cui lontre, uccelli e scimmie giocano e fanno evoluzioni con oggetti e sembrano naturalmente predisposti alla giocoleria oppure hanno delle protuberanze che, nell’immaginario dell’artista, diventano palline colorate (Audio 1).
La circomorfosi attiva, quindi, il principio di figurazione e trasfigurazione di forme del performer che, in questo caso, si finalizza nell’incarnazione di un altro essere vivente. In questo senso la vita di un singolo, il bios, si relaziona con la molteplicità dei viventi, la zoe. Se il circo tradizionale individuava nel rapporto con l’animale lo strumento per ribadire una separazione specista (Foto 4), operazioni artistiche come quelle di Solinas tendono a utilizzare la performatività come superamento continuo di questo confine attraverso le molteplici possibilità di azione del corpo in stato di rappresentazione.
D E F
G H I
J
Kinemontaggio (s. m.)
Con “kinemontaggio” si vuole qui intendere la specifica sintesi, tipica della drammaturgia scenica circense contemporanea, tra narrazione e movimento acrobatico e/o coreutico. Questa parola si forma di kinesis, dal greco “movimento”, e montaggio, dal francese montage, e stabilisce che il criterio di costruzione scenica è veicolato e vincolato all’azione.
Il montaggio viene associato maggiormente alla dimensione cinematografica, ma l’utilizzo del montaggio nelle arti con una specifica durata nel tempo è in realtà connaturato anche nella dimensione scenica. La studiosa Daniela Sacco individua nel montaggio il principio mitopoietico dell’opera già a partire dal teatro greco delle origini, quello predrammatico (Sacco 2013). Anche la teatralità medievale, in seguito, si relaziona al montaggio mediante la successione di scene paratattiche, ovvero con azioni concomitanti e parallele distribuite in più luoghi deputati: è il caso ad esempio dei Misteri e delle Sacre Rappresentazioni, durante i quali spettatore era solito muoversi tra diversi palchi con scene in contemporanea.
Il cineasta russo Sergej M. Ejzenštejn – inventore della tecnica del montaggio concettuale o ejzenstejniano (Ejzenštejn 2001) – muove quindi i suoi primi passi proprio nel teatro popolare, individuando questo principio nell’alternanza di “attrazioni”, ovvero di shock scenici inaspettati; una struttura di numeri concatenati non troppo dissimile dal circo tradizionale. Infine, il montaggio ritorna nel teatro contemporaneo e postdrammatico con le soluzioni innovative sperimentate nel cinema e riadattate da numerosi registi: Christoph Marthaler, Luca Ronconi (dall’Orlando Furioso in scena paratattica a Gli ultimi giorni dell’umanità) e molti altri.
Nello spettacolo di circo contemporaneo WHITE OUT. La conquista dell’inutile di Piergiorgio Milano, sembra che il movimento acrobatico e coreografico sia la genesi del montaggio, a cui seguono poi luce e immagine come accade nel cinema. Lo spettacolo, infatti, è un “film acrobatico” dove una serie di episodi cinetici (coreografo-acrobatici), ispirati a reali storie di alpinisti, ci trasportano alternando momenti di estatica leggerezza a situazioni di pericolo e solitudine.
In questo senso il movimento funge da principio narrativo conchiuso della scena; è il suo succedersi a formare la “sceneggiatura” dello spettacolo. Danze sugli sci, mostri di corde, maschere che fuoriescono dalle tende, concorrono a creare un vortice onirico, e una partitura gestuale, specifici del registro fisico della figura dell’alpinista.
Questo montaggio di scene oniriche che dall’interiorità emergono con vigore meta narrativo, viene sintetizzato dall’immagine dell’’alpinista sulla corda, che nella sua scalata trascina con sé una sfera stroboscopica, moderno Sisifo sfidato da una Natura inquieta e ferita. E quindi cos’è la “conquista dell’inutile”? Il desiderio di arrivare a una cima per poi accorgersi che c’è un’altra vetta, ancora più alta da conquistare, e allora lo scopo mai raggiungibile diventa quello di continuare a muoversi. E di montare questo movimento in una sintesi quasi perfetta destinata a succedere ancora, e ancora, e ancora.
Riferimenti bibliografici
Sergej M. Ejzenštejn, Il montaggio, Pietro Montani (a cura di), Marsilio, Venezia, 2001 (3a ed.).
Daniela Sacco, Mito e teatro. Il principio drammaturgico del montaggio, Mimesis, Torino-Milano, 2013.
Liberrare (v. intr.)
Liberrare si riferisce alla potenza generativa dell’errore nella costruzione coreografica di una performance. Questo procedimento è reso possibile in assenza di indicazioni drammaturgiche troppo specifiche e dentro una scrittura “a fisarmonica”, che si può individuare nelle proposte di scrittura del circo contemporaneo. Il fine dell’atto di “errare liberamente” è duplice: da un lato, lo sbaglio che è insito nel «rischio» (Zardi 2024) della tecnica circense, esprime e libera un potenziale di accrescimento della restituzione scenica; dall’altro, più il performer abita lo spazio scenico vagabondando, maggiori saranno le possibilità di incappare nell’errore nel senso del risultato non atteso. L’errare, quindi, è doppiamente pre-condizione e diretta conseguenza della liberazione creativa: dove non si pongono confini, non ci sono neanche limiti al processo di comprensione degli errori che sorgono in qualsiasi percorso. L’altra faccia semantica di errare, infatti, è quella di «andare qua e là senza meta certa» (Treccani): si vaga, nell’ipotesi di un non ritorno, dentro il brechtiano L’eccezione e la regola, ne La strada di McCarthy; passeggiano, perdendosi fisicamente e nel pensiero, Msr. Dallowaye Leopold Bloom; Robert Walser e Thomas Bernard vivevano una condizione di quasi moto perpetuo; Giuliano Scabia parla dei poeti camminanti come quelli che si predispongono alla scrittura andando in giro per «meglio ascoltare» (Scabia 1995). E potremmo andare avanti ancora per molto citando quanti, nell’errare, hanno trovato nutrimento artistico.
Liberrare è, quindi, un procedimento artistico applicato sia al processo ideativo che all’esito creativo consente agli ideatori e ai performer di un’opera di orientarsi scevri da precondizioni, lasciandosi guidare erraticamente dalle necessità contingenti. Ad aver suggerito questo procedimento è Croûte, performance site-specific della compagnia Defracto, di e con Guillame Martinet.
Il performer e autore, affiancato dalla dramaturg Margot Seigneurie, lavora utilizzando la giocoleria con tre palline: nella caduta della pallina è visibile l’errore e la mancata riuscita del numero. Nel processo Martinet e Seigneurie lavorano partendo proprio dagli errori compiuti nell’effettuazione del numero per inglobarli all’interno della drammaturgia finale: la caduta (della pallina e del corpo), sempre individuabile e mai celata, viene quindi normalizzata nella coreografia; un’operazione simile la ritroviamo in Otto di Kinkaleri.
Ma il processo creativo di Croûte non si alimenta solo attraverso l’errore, ma anche con l’errare. Il dispositivo performativo è infatti pensato come un site-specific e cioè «generato da o per un sito specifico» (Wilkie 2002). Le discipline afferenti al mondo del circo affollano da sempre mercati, piazze, strade e fiere, ma in questo caso il luogo funge da parte attiva e costitutiva della performance. Nel liberrare della compagnia Defracto individuiamo l’accumulo di nuove conoscenze rispetto agli spazi urbani e non che di volta in volta vengono rimesse in discussione nell’incontro con una nuova geografia. Procedimento, questo, impossibile da realizzare nel palco di un teatro in cui lo spazio trovato è sempre uguale a sé stesso. Errando nei luoghi si comprendono le regole e le geometrie di uno spazio che poi vengono poste in relazione con la costruzione fisica e drammaturgica.
Riferimenti bibliografici
Giuliano Scabia, Il poeta albero, Einaudi, Torino, 1995.
Fiona Wilkie, Mapping the Terrain: a Survey of Site-Specific Performance in Britain, in «New Theatre Quarterly», XVIII, 2002, n. 2, pp. 140-160.
Andrea Zardi, Di tentativi ed errori. Riflessioni sul rischio nel processo creativo e nella danza e nel circo contemporanei, «Il Castello di Elsinore», 89, 2024, pp. 53-67.
Meccanidramma (s. m.)
Si riferisce alla reificazione del sentimento tramite il movimento e l’uso di oggetti sapientemente costruiti. Per meccanidramma si intende quindi un procedimento narrativo per cui a ogni evento corrisponde un’azione di ampio spettro che, a partire dal corpo del performer, investe lo spazio circostante. In un meccanidramma, i conflitti e le evoluzioni emotive si riverberano sugli oggetti concepiti come protuberanze vitali e organiche del performer stesso.
La parola “emozione” contiene l’impeto del movimento: è uno scossone interiore, intangibile, ma che può inverarsi in un’azione concreta. In questo senso, emozionarsi significa muovere da, mettere in moto, far uscire quell’energia interiore e materializzarla. L’emozione differisce dallo stato d’animo che ha una durata maggiore e implica l’immobilismo di chi lo prova. Il meccanidramma opera anche sul piano dell’avvicendamento emozionale, non lavorando su una dimensione di fissità del sentimento, ma piuttosto di accostamento emotivo.
Per questo si potrebbe dire che è un principio, questo dell’emozione-azione, che ha ispirato il processo e la messa in scena di Gretel, spettacolo scritto, diretto e interpretato da Clara Storti. Ispirato a una delle fiabe più feroci del patrimonio popolare, lo spettacolo riassume in sé i principi basilari del viaggio dell’eroe, con il crollo della casa dell’infanzia come fattore che innesca il dramma e introduce la nostra figura in un mondo extra-ordinario e ostile.
La dislocazione dal luogo natìo immette il personaggio in una serie di sfortunati eventi conflittuali (drammatici, appunto) in cui la reazione emotiva, anche quando prevalgono sentimenti di disfatta e sconfitta, non è mai verso l’immobilismo. Sono i gesti piccoli, calcolati al millimetro a caratterizzare l’andamento emotivo del personaggio e a porre in meccanidramma l’ecosistema oggettuale creato intorno. L’attore biomeccanico mejercholdiano, che concepisce il movimento come fase principale della realizzazione scenica del pensiero, è a sua volta vissuto dal movimento fuori da sé. Il regista russo riconosceva questo concetto nella formula: N (attore) = A1 (cervello, impulso) + A2 (corpo che realizza). Qui Mejerchol’d stabilisce che il movimento neurologico e corporeo non sono separati, ma vivono insieme nell’azione del performer. Con il meccanidramma questo principio si individua nella relazione tra stimolo emotivo e movimento corporeo.
Il crollo della casa corrisponde a un impeto interiore, drammatico ed emotivo, che smuove conseguentemente gli elementi sulla scena: la corda, oggetto di riferimento dell’arte circense, perde la sua funzione virtuosistica e diventa elemento attivo del dramma, integrando organicamente la magia dell’azione fisica.
In questo senso, dai micromovimenti il meccanidramma si sposta in una costruzione più ampia della dinamica, in cui però l’avvicendamento emozionale si costituisce nel senso di gravità e sospensione che questa disciplina implica. Gretel costruisce un preciso universo estetico in cui l’eroina, come in una bottega color cannella (che ha ispirato il miglior Kantor), può persino arrivare a seguire i consigli di un estatico mannequin, tributando omaggio sincero allo spirito cosale del mondo.
Riferimenti bibliografici
Bruno Schulz, Le botteghe color cannella, Einaudi, Torino, 2015 (ed. or. 1933)
Vsevolod Ėmil’evič Mejerchol’d, L’attore biomeccanico, Fausto Malcovati (a cura di), Cue Press, Imola, 2016.
N O
P Q R S
Tragicoreutico (agg. m.)
Aggettivo che designa il processo di sublimazione ironica dell’imminente tragico attraverso il movimento, nell’esatto momento in cui il gesto corporeo interviene per contenere le emozioni più violente scatenate dalla consapevolezza del carattere tragicomico dell’esistenza.
Uno spettacolo tragicoreutico è tale perché scatena l’inversione della sensazione moderna di distacco rispetto allo spettacolo e, come invece rileva Nietzsche per la nascita della tragedia, genera una sensazione di mimesi con la realtà quotidiana.
Ciò accade ad esempio nello spettacolo Lento e violento, con cui Valentina Cortese percorre le fractures, cioè le deviazioni dal reale, come antidoti all’irrazionalità di alcuni aspetti della vita stessa. L’uso delle ripetizioni verbali e degli intercalari innescano il meccanismo della risata ma, poco prima che essa sfoci nella disperazione di fronte all’insensatezza delle situazioni che ci troviamo a fronteggiare (esemplificate dall’uso del doppio scenico), ne contiene la violenza con l’atto corporeo. Nella tragicoresi, Melpomene e Tersicore, rispettivamente muse della tragedia e della danza, trovano la loro fusione massima.
La degenerazione del linguaggio è una discesa ripida: la visione dei pertugi di realtà inspiegabili – forme di incursione del magico come i deja-vu -, attraverso la risata volta ad esorcizzare la tragedia dell’inesplicabile, si consuma in una forma corporea di argine della violenza di questa agnizione.
Uno spettacolo tragicoreutico come Lento e violento recupera le lezioni del grottesco ligottiano ma lo dissacra attraverso la satira danzante tipica della tradizione del burlesque e potenziata dall’acrodanza di matrice circense. La sensazione di smarrimento sensibile innescata dal conflitto tra reale e desiderato, tra controllo e imprevisto, resiste soltanto dentro l’attimo di transizione, dalla dimensione stonata dell’incomprensione a quella armonica del gesto danzante e mimetico.
U V W X
Y Z
(immagine di copertina da commons.wikimedia.org)
Gli autori
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Dottorando in studi teatrali presso il Dipartimento delle Arti dell'Università di Bologna, il suo campo d'indagine è la relazione tra arti performative e gli spazi naturali. Frequenta convegni internazionali (EASTAP) e nazionali. Ha partecipato ai College di critica e archivio presso la Biennale di Venezia (Teatro). Si occupa di critica teatrale per varie riviste online.
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