Teatro dell’Albero mercoledì 15 marzo ci ha mostrato mostra la sua ultima produzione di kathakali: Parashurama. Chi è Parashurama? È un guerriero saggio, un’eremita dal carattere fortemente bellicoso. Viene rappresentato con tre simboli: l’arco, la freccia e l’ascia. È un personaggio che nasce con il preciso intento di combattere le ingiustizie e le vessazioni esercitate dai re e dai guerrieri. Il movimento del suo corpo in scena è guidato prevalentemente dai sentimenti della rabbia e della furia. Conclude la rappresentazione in un crescendo di collera attraverso «forme geometriche che vengono dipinte con il corpo», come ci suggerisce il danzatore Mario Barzaghi. Infatti il lavoro del kathakali, relativamente al personaggio, si basa sulla suddivisione del movimento del corpo in blocchi. È possibile quindi parlare di tre livelli: i piedi che danzano, le mani che traducono in gesti la storia che viene intonata dai due cantanti fino ad arrivare a dei micro dettagli, come quelli dati dall’espressività degli occhi. Questi ultimi sono fondamentali nell’esprimere l’anima e il sentimento del personaggio e, proprio per questo, sono considerati la parte che più si avvicina all’interpretazione attoriale. Il Teatro dell’Albero presenta lo spettacolo non solo per far conoscere in occidente tale tecnica artistica. Il personaggio di Parashurama è considerato anche l’inventore del kalaripayattu, un’antica arte marziale indiana che ha fortemente influenzato il kathakali. L’obiettivo della compagnia è dunque allestire una dimostrazione-spettacolo per evidenziare la relazione che intercorre tra questi due stili di movimento. Mario Barzaghi, oltre a un accurato lavoro di ricerca, ha infatti approfondito le tecniche collaborando con il Maestro Sankar Lal Sivasankaran Nair presso l’Istituto Grotowski di Wroclaw, in Polonia. Alla Soffitta lo spettacolo è stato seguito da un incontro con gli artisti, i quali hanno voluto sottolineare come Parashurama non fosse una libera interpretazione del kathakali ma seguisse invece un’operazione filologica, attraverso una scrupolosa ricostruzione di tutti gli elementi dettati dalla tradizione. D’altro canto, noi spettatori non siamo stati pienamente soddisfatti in quanto abbiamo assistito uno spettacolo incompleto. Non è stata una riproduzione autentica della danza ma, piuttosto, un riflesso di ciò che avrebbe potuto essere. Ma Mario Barzaghi ci confessa che, per un occidentale, è impossibile decifrare questo tipo di evento. «Tutto è basato sulla commozione e non sulla comprensione», ci dice. Tuttavia, la mancanza di diversi elementi fondamentali come la musica dal vivo, i cantanti e altri personaggi, ha reso difficile la percezione di quel senso di opera d’arte totale che sta alla base del kathakali.
Camilla Fiore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.