Dal cittadino allo spettatore. Prendendo parte ai primi appuntamenti previsti all’interno della programmazione di Periferico Festival (20 ottobre – 6 novembre 2022), giunto alla sua quattordicesima edizione, l’impressione è che il luogo designato alla rappresentazione, in cui rievocare un fatto o dare corpo a una narrazione radicale, risieda in una dimensione che non è di ordine discorsivo ma che appartiene all’insieme canto-danza. Nel corso dei nove appuntamenti della prima settimana appena trascorsa, agli spettatori si chiede di abitare un conflitto, quello tra logos e phone. Medesimo conflitto che, in fin dei conti, è anche uno degli elementi costitutivi della tragedia antica, laddove la rappresentazione si snoda tra le scene dell’eroe e il canto intonato dal coro. A Periferico l’invito, allora, è a prestare ascolto alla voce e privilegiare non soltanto l’udito rispetto alla visione, ma anche il canto rispetto a un discorso dotato di senso o a un’azione drammatica.
In un testo del 1999, La voce addolorata, la storica e filologa francese Nicole Loraux traccia una riflessione attorno all’universo culturale della tragedia greca, mettendo al centro proprio la voce come argomento centrale del suo studio, il canto del coro della tragedia come elemento attivo, «il cui predominio può arrivare al punto da investire l’intreccio» [Nicole Loraux, La voce addolorata. Saggio sulla tragedia greca, Einaudi, Torino, 2001 p. 93]. Per la studiosa la catarsi si consuma sulla scena, o meglio nell’orkhestra, spazio in cui si genera un conflitto tra le prestazioni collettive da una parte e le vicende narrate di un’individualità dall’altra. Interrogare la tragedia volgendo lo sguardo all’emissione vocale e alle lamentazioni, al conflitto che esse generano con il dramma, per Loraux può voler dire chiedere all’osservatore che arriva a teatro di dismettere momentaneamente i panni di cittadino e vestire quelli di spettatore, scoprendosi prima di tutto e irrimediabilmente parte della specie umana al di là, o ancor prima, di una sua appartenenza civica a una comunità politica. Prestando orecchio alla “voce addolorata” del coro nel quartiere del Villaggio artigiano di Modena Ovest, lontano dalle assemblee e dal disordine della città, lo spettatore si scopre mortale ancor più che cittadino e la sua singolarità vacilla, adesso, tra due frontiere, un via vai irregolare tra un noi e un io, per abbracciare, così, un’alterità indefinita o un’identità neutra.
La questione del coro come soglia o terra di mezzo, abitata letteralmente dallo spettatore, è affrontata di petto nel lavoro Le ceneri di Atena. Riti di fondazione da Eschilo a Pier Paolo Pasolini dal gruppo teatrale Archivio Zeta, che in occasione di Periferico ha lanciato una chiamata di cittadinanza a persone di tutte le età per prendere parte a un laboratorio di sole due ore finalizzato alla preparazione di uno spettacolo da presentare nella stessa giornata davanti a un pubblico. Un esercizio di democrazia, come lo ha definito Enrica Sangiovanni, fondatrice della compagnia insieme a Gianluca Guidotti, oppure un gioco pericoloso a cui i partecipanti devono affidarsi ciecamente. A una ventina di iscritti al laboratorio aperto di comunità si chiede durante le prove di suonare insieme: masticare in bocca e servire le parole di autrici e autori che la sanno più lunga come Italo Calvino, Anna Maria Ortese, Ettore Sottsass e adoperare strumenti musicali poverissimi e artigianali ricreando dei suoni sulla scena. La drammaturgia, di volta in volta, cambia e si adatta al percorso da compiere nei luoghi che la compagnia ha a disposizione. Nel Villaggio artigiano di Modena Ovest una palestra, una pista ciclabile e una sorta di argine con degli alberi e delle fabbriche dismesse a vista accolgono il coro dei partecipanti al laboratorio e il pubblico. In relazione a questi tre luoghi a cielo aperto si snoda la storia della nascita di Atena, ricavata dal Pilade etrattata da Pasolini alla stregua di una grande metafora della città: la nascita di Atene. In quest’opera teatrale Pasolini descrive i miracoli del boom economico degli anni Sessanta in Italia che Atena e la sua nascita si trascinano, fino a siglare in questa drammaturgia del 1967 un presagio fatale: tutto sta franando intorno a noi. Alle parole di Pasolini sono accostate quelle di una sponda antica, Platone, il quale nella Repubblica si mette in ascolto della città che si sta componendo e fa affiorare in maniera ironica e concreta i problemi che sottendono il proposito di fondarne una.
Ma il coro della tragedia antica aveva anche il compito di estendere idealmente la scena, slargare le coordinate spaziali e temporali della vicenda, facendosi pausa, tempo di attesa proiettata al futuro o momento benefico e ristoratore per alleviare la stretta del lutto. Attorno al desiderio di sentirsi collettività e fare insieme, innalzando preghiere e lamentazioni, armi di lotta, resistenza e partecipazione, si stringe il progetto musicale di canto corale e polifonico Voce a vento di Claudia Losi, artista visiva, e Meike Clarelli, cantante e musicista, presentato nei locali di Ovestlab a conclusione della prima settimana di Periferico. Davanti al murale, concepito ad apertura del festival dal collettivo di public art CHEAP lungo la strada che un tempo ospitava la linea ferrata, si chiude questo concerto. INTONARE RESISTENZE. Il coro di Voce a vento dà le spalle a una scritta enorme a caratteri cubitali mentre intona l’ultimo canto, Bella ciao.
Il rapporto dello spettatore con un corpo sonoro affiora anche in un altro lavoro, il primo che apre questa edizione del festival: Simpatia n.4 del duo Lilli/Sansone, svoltosi nell’area antistante la chiesa di Gesù Redentore a Modena. Questo progetto site-specific, il cui titolo segue una numerazione crescente a seconda delle versioni (Simpatia n.1 e Simpatia n.2 Roma, Simpatia n.3 Rocca di Mezzo) e che il duo realizza in contesti e forme sempre differenti, mira a intercettare una forte connessione tra il suono delle campane e il corpo della performer.
La simpatia, a cui si fa riferimento nel titolo, è intesa come quella capacità che hanno i corpi di vibrare all’unisono anche se non sono sollecitati direttamente da una forza. Un diapason, disposto su un piano e non sollecitato da alcun contatto, inizierà ad assumere la stessa vibrazione di un altro diapason in movimento. Tale fenomeno fisico, grazie al quale può verificarsi un trasferimento di energia, ha il nome di risonanza simpatica. Così in Simpatia n.4, una distanza fisica profondissima avvicina concettualmente i corpi dei due performer in scena, quello di Filippo Lilli, sound artist e compositore, munito di cuffie da poligono e tutto proteso a lavorare con il suono assordante delle campane ingaggiando una lotta corpo a corpo, e quello di Valentina Sansone, danzatrice e coreografia, in movimento palpitante nel piazzale della chiesa. «Decisi a esplorare il potere comunicativo delle campane – mi rivela Filippo Lilli in una conversazione telefonica – io e Valentina abbiamo lavorato con questo strumento, che in qualche modo finisce per determinare l’ecologia sonora di una determinata area geografica e a cui nell’antichità gli uomini ricorrevano per dare avviso di un lieto o funesto annuncio, di un pericolo, di una festa o per scambiare delle informazioni tra paesi limitrofi». Il suono delle campane penetra negli appartamenti dei condomini circostanti. Tutto si fa passato e presente. «Questa è l’Italia, e non è questa l’Italia: insieme la preistoria e la storia che in essa sono convivano», scriveva lo stesso Pasolini in un poemetto dal titolo L’umile Italia contenuto nel volume Le ceneri di Gramsci, a cui il titolo del lavoro sopracitato di Archivio Zeta fa volutamente il verso. Tutto a Periferico è preistoria e storia.