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Eredità danzanti. Un racconto

di Altre Velocità

Ricordare Pina è stata aperta dalla presentazione di due proiezioni video che hanno introdotto il pubblico nel mondo della coreografa di Wuppertal. Durante la seconda giornata è invece andata in scena Cristiana Morganti con una conferenza danzata sulla poetica, la tecnica, la creatività della maestra, Moving with Pina, mentre il terzo incontro è stato dedicato a Pina Bausch e l’Italia. Sabato 10 marzo all’Arena del Sole, sempre Cristiana Morganti ha portato sul palcoscenico la sua ultima creazione A Fury Tale. Bologna Teatri era presente a tutti gli appuntamenti e ha anche avuto il piacere di intervistare la curatrice della rassegna, la docente di storia della danza dell’università di Bologna, Elena Cervellati. Martedì 6 marzo: Intervista ad Elena Cervellati Bologna Teatri: Il titolo della rassegna Eredità danzanti implica non solo la voglia di ricordare il lavoro di Pina, ma suggerisce anche l’esistenza di un terreno ancora fertile, da coltivare, da muovere. Da dov’è nata l’idea di indagare le questioni legate alla memoria dello spettacolo attraverso Pina Bausch e perché proprio lei? Elena Cervellati: Il tema della memoria dello spettacolo è molto indagato dagli studiosi di danza, di storia dell’arte e anche da tanti artisti. Nella scena di oggi si possono rintracciare infatti tanti esempi di rifacimenti, riprese, ricostruzioni, che esprimono la necessità di confrontarsi con un’eredità. Per questo abbiamo deciso di partire da Cristiana Morganti: è un’artista che lavora sulla memoria della sua insegnante cercando di portarla nella contemporaneità con una ricerca e uno stile personale. Le radici servono per cercare la propria via, e mi sembra che Cristiana Morganti lo faccia con molta consapevolezza e autoironia. Le eredità sono spesso ingombranti, soprattutto se si tratta di un lascito come quello della Bausch. Morganti, attraverso la costruzione della memoria di 20 anni di lavoro insieme alla coreografa del Wuppertal, è riuscita a diventare non solo “la figlia di” ma un’artista con una propria identità. B.T: Quindi è anche per questa esigenza di ricercare un proprio cammino che Cristiana Morganti ha deciso di non danzare nel suo ultimo spettacolo, A Fury Tale? E.C: Si, esatto. Nello spettacolo A Fury Tale, Cristiana Morganti si rispecchia nella sua coreografia e inevitabilmente si confronta anche con la diversità delle due danzatrici presenti in scena che, essendo fisicamente molto simili, esaltano ancora di più il discorso del confronto con l’altro. B.T: Com’è cambiato il Wuppertal Theater dalla scomparsa di Pina Bausch nel 2009? Secondo Lei, è possibile che questo progetto sia portato avanti anche senza la sua fondatrice? E.C: È senz’altro un eredità difficile. I primi anni la compagnia ha continuato a portare il repertorio con una direzione di danzatori Bausch, come ad esempio Dominique Mercy che è stato anche il direttore delle prime fasi dopo Bausch mentre oggi, oltre a un’altra direttrice/danzatrice, c’è anche il tentativo di aprire a degli altri coreografi. È chiaro che una mancanza c’è, ma la fondazione Bausch sta anche tentando di portare avanti un progetto rispetto all’idea di eredità, digitalizzando e archiviando tutto il materiale possibile: quaderni di scena, costumi, appunti, registrazioni. B.T.: Pina con la sua danza e il suo teatro elabora un vero e proprio linguaggio. Quali sono i temi principali di questo linguaggio? E.C.: Negli spettacoli della Bausch entra il mondo. In particolare però, mi sembra di poter dire, come elemento fondamentale, la relazione tra esseri umani, nello specifico tra uomo e donna. Un nucleo molto forte e presente è anche la relazione con gli altri, tra i singoli, con le loro uguaglianze e diversità. La sua compagnia aveva proprio la forza di essere formata da diversi, da persone provenienti da varie parti del mondo. Sicuramente non abbiamo l’uniformità del balletto, ma abbiamo altezze, pesi e morbidezze differenti che risultato però bellissime. La diversità diventa una ricchezza.

Lisa Camilla La Colla, Natascha Scannapieco

  Martedi 6 marzo: Ricordare Pina. Pina, il suo sorriso, il suo sguardo, i suoi gesti. Il tempo e la malattia l’hanno portata via fisicamente, ma è ancora possibile leggere le sue poesie attraverso le braccia dei danzatori che si muovono. La professoressa Elena Cervellati ed Enrico Coffetti introducono brevemente la figura di Pina Bausch lasciando la parola direttamente al lavoro della coreografa. Il primo video proiettato è stato prodotto negli anni ‘70 per la televisione tedesca, mentre il secondo negli anni ’80 per le reti francesi. Le telecamere seguono Pina nel suo tour dei Teatri europei. La musica echeggia durante la proiezione del video, le stesse note su cui i danzatori provano i movimenti, raramente possiamo ascoltare i toni melodiosi della sua voce. Una delle danzatrici sarà la protagonista della seconda giornata della rassegna Moving with Pina, conferenza danzata di Cristiana Morganti, allieva e interprete per vent’anni del Tanztheater Wuppertal.

Lisa Camilla La Colla

[caption id="attachment_1964" align="alignnone" width="850"] Roma, Auditorium Parco della Musica 15 02 2010. Equilibrio – Festival della nuova danza. Omaggio a Pina Bausch, Cristiana Morganti in “Moving with Pina”. ©Musacchio & Ianniello[/caption]   Mercoledi 7 marzo: Moving with Pina Cristiana Morganti entra nella sala vestita di rosso acceso e comincia a parlare. Racconta che, anni fa, si trovava su un taxi con Pina, che le disse: «Cristiana, io ho iniziato a danzare per poter esprimere ciò che a parole non sono mai riuscita a comunicare, ma a te che ti piace tanto parlare e parlare, perché danzi?»; così Cristiana comincia la sua danza, riprendendo talvolta il filo del discorso. Impossibile non notare sin da subito la sua acuta e intelligente auto-ironia. Ci coinvolge nel mondo di Pina, immergendoci direttamente nell’universo della danza e poesia quotidiana del Tanztheater. Pina non mancava mai, era lei stessa che controllava tutti i suoi danzatori. C’erano dei temi che Pina prediligeva di più, come il rapporto conflittuale uomo-donna, la femminilità, la difficoltà di comunicazione. Ma la sua genialità consisteva nel far emergere queste tematiche a lei care attraverso l’aiuto dei suoi danzatori. Pina infatti, arrivava alle prove con numerosi quesiti di vario genere, a cui gli allievi stessi rispondevano a parole o attraverso dei gesti, scavando all’interno della propria umanità più nascosta. Questo era il materiale da cui Pina attingeva per poter costruire uno spettacolo. Le domande erano centinaia e Cristiana ci illustra alcune delle sue preferite. «Che animale sei?», «Che strumento musicale sei?», «Dimostrami cos’è l’amore per te in un gesto?», «Mostrami con dei movimenti una parte del tuo corpo che non ti piace». Uno dei momenti preferiti di Cristiana era quello in cui Pina si raccoglieva insieme ai danzatori, ne chiamava uno alla volta, per guardare insieme, attraverso lo schermo, tutto il materiale raccolto durante le prove per poterne fare una selezione da usare per lo spettacolo. Pina parlava pochissimo, (anche se Cristiana ci racconta che a notte fonda, dopo qualche bicchierino, la coreografa silenziosa diventava una grandissima oratrice di racconti incredibili) e mostrava ai suoi danzatori esempi di sequenze attraverso la danza. Oltre a essere un’eccezionale coreografa infatti, Pina era anche una danzatrice formidabile. In questi momenti traspariva la sua grande nostalgia, il grande vuoto lasciatole dalla decisione di dedicarsi alla coreografia. In una delle sequenze finali il corpo di Cristiana diventa quello di un bambino lamentoso in presa ai soliti capricci: si soffia il naso, fa le boccacce, strizza gli occhi ossessivamente, si lamenta attraverso dei gesti nervosi. È bastato che Cristiana invitasse a sedersi al centro della sala, un uomo dal pubblico perché tutti i movimenti infantili più irritanti si trasformassero in gesti seducenti di donna. Una donna “sciocchina”, che si avvicina all’uomo desiderato toccandosi leggermente il naso, provocandolo attraverso sguardi carichi di desiderio in una smorfia facciale. Tutti i mondi sono penetrati con attenzione sottile e provocatoria dagli occhi di Pina e dai movimenti di Cristiana. È impossibile non respirare l’aria che respira la coreografa, non scorgere i dettagli che a lei non sfuggivano mai e non intravedere la luce poetica che riflette sul pavimento in cui Cristiana si muove. Pina è tra di noi, ride alle battute scherzose della sua alunna e la osserva, sostenendola nella sua danza.

Lisa Camilla La Colla

Giovedì 8 marzo: Pina Bausch e l’Italia. Giovedì 8 marzo si è tenuta nel foyer dell’Arena del Sole la tavola rotonda attorno a Pina Bausch e l’Italia. A Introdurre l’argomento, Elena Cervellati, professoressa di Storia della Danza all’Università di Bologna e curatrice del progetto della Soffitta/Danza 2018, Eredità danzanti dedicato a Pina Bausch e alla sua storica allieva italiana Cristiana Morganti. Insieme a quest’ultima, ospiti della tavola rotonda sono state Leonetta Bentivoglio, giornalista culturale della Repubblica e critica di danza, meritevole di aver portato per la prima volta la Bausch in Italia e Eugenia Casini Ropa, storica prima docente italiana di storia della danza che nel 2000 consegnò la laurea ad honorem a Pina Bausch. La giornata si è aperta con il racconto di Cristiana Morganti circa il suo percorso artistico: dopo la morte di Pina Bausch nel 2009, continuò a lavorare per qualche anno con la compagnia Wuppertal per poi ideare Jessica and me dove cercò di creare il proprio universo artistico. Il primo vero input arrivò però da Leonetta Bentivoglio che chiese alla Morganti di immaginare uno spettacolo che ricordasse Pina, in occasione di un festival organizzato dall’Accademia Nazionale di Danza di Roma (dove la stessa si diplomò nel 1986): nacque così Moving with Pina. Dopo questa prima introduzione l’attenzione si è spostata su Pina e l’Italia: Leonetta Bentivoglio dopo aver assistito agli spettacoli di Pina Bausch a Wuppertal decise di portarla in Italia, a Roma, per la prima volta nel 1982. Qui mise in scena Café Muller e 1980 e l’impatto sulla critica italiana fu molto forte e disastroso. I critici di danza, tra cui L.B. ricorda anche Gino Tani, non apprezzarono e probabilmente non capirono il lavoro “bizzarro” di Pina; (Paradossalmente Pina qualche anno dopo vinse proprio la prima edizione del premio in memoria di Gino Tani). Al contrario Pina fu molto apprezzata dall’ambiente teatrale dove la sua influenza è visibile tutt’ora: Pina ha insegnato a usare lo spazio scenico e soprattutto a percepire il corpo come parte integrante della drammaturgia e della poetica; ha reso la musica elemento drammaturgico e con le sue grandi e complicate scenografie ogni volta ha condizionato i suoi danzatori spingendoli ad andare oltre l’imprevisto: nei suoi spettacoli infatti, i ballerini potevano trovarsi di fronte a una superficie di terra, di acqua o a un muro di mattoni che ogni sera precipitava in maniera diversa costringendoli a cambiare direzione e movimento. Come ha poi sottolineato Eugenia Casini Ropa, nonostante inizialmente ci sia stato un equivoco linguistico riguardante la produzione di Pina, nella coscienza comune è sempre stata conosciuta come una danzatrice: «È stata una grande donna di teatro con la specificità della danza», ha lavorato sulla drammaturgia dell’attore e ha fuso il linguaggio teatrale a quello della danza. È proprio la professoressa Casini Ropa a ricordare l’episodio in cui decise di recarsi dall’allora Magnifico Rettore dell’Università di Bologna per chiedergli di conferire a Pina Bausch la laurea ad honorem, che le è stata poi assegnata nel 1999. Pina non amava teorizzare ma, per l’occasione, scrisse una tesi dove cercò di spiegare a parole la sua poetica. Si è parlato a lungo, non solo dell’influenza di Pina sull’Italia ma anche del ruolo centrale che il Belpaese ha giocato nella sua vita: professionalmente qui si sono aperte molte occasioni per lei, dall’incontro con Federico Fellini e la partecipazione al film E La nave va (1983) nel ruolo di Lherima, la principessa cieca, alla nascita del “progetto sulle città” nel 1986, quando l’allora direttore artistico del Teatro di Roma, Maurizio Scaparro, propose a Pina una coproduzione su uno spettacolo dedicato alla capitale. Questa idea pioneristica di un progetto finanziato in parte dal Wuppertal in parte dalle città ospitanti le ha permesso di continuare a perfezionare il suo “metodo delle domande e delle risposte” e di girare il mondo con la sua compagnia, senza doversi scontrare con la realtà dei pochi finanziamenti (non) ricevuti dalle istituzioni pubbliche locali. Per approfondimenti si consigliano: L. Bentivoglio, Il teatro di Pina Bausch, Ubulibri, 1991 Roberto Giambrone e Francesco Carbone, Pina Bausch, Le coreografie del viaggio, Ephemeria,2008

Natascha Scannapieco

Sabato 10 marzo: A Fury Tale Sabato 10 marzo è andato in scena nella Sala Leo de Berardinis dell’Arena del Sole A Fury Tale, ideato e coreografato da Cristiana Morganti. Inizialmente lo spettacolo venne pensato per due danzatrici del Wuppertal Theater, Anna Fingerhuth e Breanna O’Mara, ma a causa di una gravidanza e di impegni fuori dal continente quest’ultima è stata sostituita dalla collega Anna Wehsarg. Palcoscenico interamente bianco, entrano in scena le danzatrici accompagnate da Cristiana Morganti che vestita di nero e con un microfono in mano comincia a raccontarci delle difficoltà coreografiche riscontrate quando si ha a che fare con due corpi e fisicità diverse. Per motivarci questo disagio chiede alla due ballerine di eseguire dei movimenti: Anna W. esegue una sequenza sul posto mostrandoci le sue linee morbide e delicate, Anna F. dimostra la sua forza e intensità con movenze più controllate e veloci. Poi insieme, mentre la coreografa continua a parlare, hanno uno slancio speculare verso i lati esterni e “RUMBLE” cadono perfettamente insieme per terra provocando un suono forte e lasciando tutti a bocca aperta. Un colpo di scena unico, inaspettato che mette gli spettatori in una condizione di stupore, attesa, curiosità. Parte una musica cupa, con suoni elettronici, lo sfondo si comincia a tingere di blu, lievi strisce di colore scendono dal fondo bianco, le due Anna si muovono insieme, con una sequenza di gesti cercano di alzarsi mentre la Morganti strisciando verso le quinte, tra il fumo che comincia ad alzarsi frontalmente, esce di scena. L’atmosfera si fa sempre più intensa e scura, con una musica che tende al techno-rock e mosse aggressive, a tratti sensuali. In poco tempo si delinea il tema di A Fury Tale: un incontro-scontro, una lotta furiosa che a tratti unisce, a tratti divide. Dopo questo inizio scoppiettante, l’atmosfera diventa più fiabesca; le danzatrici tra le quinte e il palcoscenico si cambiano gli abiti neri indossati fino a quel momento, per diventare più “signorili e giornaliere” indossando gonne e canottiere insieme a un paio di tacchi. Danzano e parlano, seguendosi nei cambi di direzione. La parola, che la Morganti non abbandona neanche in A Fury Tale, è un elemento fondamentale che diventa parte integrante della drammaturgia e veicola la sua voce come elemento scenico pur non essendo il suo corpo fisicamente presente; infatti, per necessità linguistica e volontà registica la Morganti traduce le parole delle due Anna che si esprimono nelle loro lingue madri, tedesco e inglese alternando qualche parola in italiano. Anna W. chiede a uno spettatore di passarle una lavagnetta da sotto il palcoscenico e, tramite disegni e scritte, comincia a raccontarci la sua vita passata e futura: ne emerge una donna sognatrice, positiva, energica che ha programmato la sua vita privata e professionale con un tono un po’ infantile, come farebbe una bambina alle prese con i suoi sogni da principessa. Dietro di lei Anna F. è alle prese con una palla da ginnastica (wellness ball); sembra fare degli esercizi, ci gioca un po’, è distratta da quello che dice la sua collega, forse un po’ infastidita e appena tocca a lei presentarsi capiamo perché. Anna F. ci mostra uno schema, illustrato sullo sfondo, molto preciso e dettagliato di come ha organizzato la sua quotidianità. È una donna meno sognatrice, con un forte bisogno di organizzazione, quasi maniacale; con un’ironia un po’ cinica tocca temi più concreti come la salute ed elabora un sistema basato sullo yoga e la danza per poter rimaner in forma con l’avanzare dell’età. Combattuta dalla paura si esprime istericamente e ci lascia un po’ di tristezza in quanto è forse l’espressione dell’incertezza che ogni giorno percorre un po’ tutte noi. Quindi abbiamo due Donne, simili fisicamente, alte, rosse, con la carnagione chiara, un po’ vichinghe, che sembrano in realtà molto diverse fra loro. Sono la rappresentazione di due donne agli antipodi o sono forse una dualità dello stesso essere? Sono l’espressione delle forze e delle debolezze di ogni creatura femminile in continuo conflitto con se stesse. Sono l’esternazione del bipolarismo che attanaglia ogni donna. Per tutta la durata dello spettacolo questo combattimento interno è esplicato esternamente con due donne guerriere che si scontrano e poi si raccolgono a vicenda. Come due sorelle che a tratti si amano e a tratti si odiano, e ce lo fanno vedere quando cinematograficamente si schiaffeggiano in slow motion. Invadono i propri spazi per poi riprenderseli come quando Anna F. cerca di danzare il suo assolo rubando la musica a Anna W. e questa, in un divertente siparietto, continua a entrare e uscire di scena dicendo che tocca a lei perché quella è la sua musica. Continue contrapposizioni, nei corpi, nelle musiche e nelle scenografie sono i segni drammaturgici prevalenti in questo spettacolo che mantiene tensione ed energia per tutta la sua durata e la trasmette anche al suo pubblico che non riesce a togliere gli occhi di dosso a queste incredibili danzatrici. Si consiglia l’ascolto di: Biafra, Daniel Hope & Jacques Ammon.

Natascha Scannapieco

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