La fiaba è da sempre uno strumento potentissimo di trasmissione dei saperi. Una storia apparentemente semplice è capace di dialogare con il nostro mondo interiore stimolando riflessioni e accrescendo la consapevolezza. Non a caso la fiaba e più in generale il racconto, assume valenza educativa nella formazione delle nuove generazioni e rappresenta la possibilità di trasmettere insegnamenti, esperienze, punti di vista sul mondo.
Con questi presupposti nasce il festival Ecofor Fiabe, organizzato da Ecofor Service Spa di Pontedera, per contribuire a formare una coscienza critica sui temi ambientali e della sostenibilità.
Il presidente di Ecofor, Antonio Pasquinucci, racconta che il festival nasce nel 2024 e viene promosso all’interno di una manifestazione conosciuta come gli Ecodays, una settimana in cui gli impianti di conferimento e smaltimento dei rifiuti gestiti da Ecofor Service Spa sono aperti alla cittadinanza per poter essere visitati: «Ecofor Fiabe ha avuto particolare successo, anche perché a essa abbiamo collegato l’esperienza del premio letterario a tema ambientale Ecofor Libri 2024, che ha visto anche il coinvolgimento, in veste di giurati, di studenti e studentesse di alcuni istituti superiori. La prima edizione del premio è stata vinta da Francesco Niccolini per la sezione narrativa per ragazzi con Storia del Vajont, scritto insieme a Marco Paolini.
Nel corso dell’incontro con Niccolini per la consegna del premio gli abbiamo parlato del desiderio di ampliare la manifestazione Ecofor Fiabe ritagliandole uno spazio autonomo nell’arco dell’anno e gli abbiamo proposto la direzione artistica di Ecofor Fiabe 2025». Le iniziative, in programma dal 10 al 15 Febbraio nei Comuni di Pontedera, Ponsacco, Calcinaia e Casciana Terme-Lari prevedono spettacoli, incontri, laboratori e presentazioni di libri e hanno coinvolto diversi istituti scolastici. È una comunità che si raccoglie intorno a una manifestazione di interesse collettivo, in quanto promotrice di tematiche che mai come in questo momento diventa fondamentale indagare.
Il direttore artistico del festival, Francesco Niccolini, che si occupa da tempo nel suo lavoro di drammaturgo e scrittore di intrecciare il teatro e la letteratura con i temi ambientali, racconta che tutto comincia lo scorso maggio da una telefonata da parte di Mondadori, che lo informava di aver vinto il premio Ecofor Libri 2024 e di andare a ritirarlo a Pontedera: «Quando siamo arrivati all’Università del Tempo Libero di Pontedera, dove abbiamo trovato un posto bello e accogliente, mi hanno detto che avevano fatto una fatica a trovarmi e si sono sorpresi quando hanno scoperto che abitavo a 20 minuti da qui, a Casciano Alta. Stavo parlando con Marco Migli, il presidente del premio, e lui strabuzza gli occhi e dice di essere nato proprio lì. Siamo diventati amici e dopo aver capito quale fosse il mio lavoro mi ha chiesto di collaborare alla realizzazione di una settimana dedicata a spettacoli e non solo, alle eco fiabe, abbiamo iniziato a chiamarle così. Il programma, a tematica ambientale, doveva essere completamente rivolto all’infanzia e all’adolescenza e pian piano mi è presa un po’ la mano e ho iniziato a inserire spettacoli, incontri, presentazioni di libri e alla fine sono venuti fuori sei giorni densissimi di attività». L’intento di Niccolini è stato quello di realizzare un festival in cui le tematiche ambientali potessero essere raccontate poeticamente attraverso le strumento dell’arte e soprattutto coinvolgendo spettatori e spettatrici in momenti di riflessione condivisi.
I due lavori presentati il 14 febbraio presso il Museo Piaggio, accomunati dal filo della narrazione, hanno affrontato il tema dell’ecologia da diversi punti di vista.

Lupi addomesticati
Francesca Camilla D’amico (Bradamante Teatro), giovane e appassionata narratrice, porta in scena Paolo dei Lupi, spettacolo finalista a In-Box Verde 2020 e al Premio Nazionale Otello Sarzi 2020, ispirato alla vita del poeta e biologo Paolo Barrasso e diretto da Roberto Anglisani. La voce calda e accogliente di D’Amico prepara i bambini di due scuole primarie all’esperienza del racconto. La narrazione è relazione, si compie necessariamente insieme. E i bambini e le bambine ci stanno. L’attrice comincia e i respiri in scena e in platea si accordano. La scenografia di William Santoleri è estremamente suggestiva, una lamiera di ferro ossidata e zincata e filo di ferro cotto che con il tempo ha cambiato colore finendo per assomigliare sempre di più alla faggeta che intendeva riprodurre. La narratrice alla fine dello spettacolo racconterà anche questa storia, svelando pure un piccolo grande segreto che avvicina ancora di più spettatori e spettatrici alla storia: Simone, il bambino protagonista della storia, e William sono la stessa persona. Simone e William, quindi, a nostra insaputa sono sempre stati insieme in questo racconto, l’uno vivendo nella voce della narratrice, l’altro nelle proprie scenografie.
Ascoltiamo attentamente la storia di Paolo, un uomo che con pazienza e devozione ha seguito le tracce di uno degli ultimi lupi in un territorio e in un tempo che teme la natura selvaggia e vive di stereotipi sugli animali non addomesticati. Gli abitanti del villaggio in cui Paolo si ritrova sono uomini e donne cresciuti con l’idea che il lupo sia un nemico da combattere per il benessere della collettività. I cacciatori sono gli eroi dei pastori le cui greggi di pecore vengono spesso predate. Nessuno ha gli strumenti per comprendere che proprio la presenza ostinata dell’uomo, anche nei luoghi in cui dovrebbe lasciare che la natura faccia il proprio corso, sconvolge gli equilibri di natura, a svantaggio di tutti gli esseri viventi. I cacciatori fanno bottino delle potenziali prede del lupo e il lupo è costretto a mangiare quello che trova, rovistando perfino nella discarica del villaggio e avvicinandosi sempre di più all’uomo, andando contro la propria stessa natura.
D’Amico ci accompagna in una storia che prende le fattezze di una fiaba moderna. Riconosciamo gli abitanti del villaggio, molto caratterizzati, quasi macchiettistici, da piccoli dettagli che passano dal corpo e dalla voce della narratrice, che in questo caso utilizza il dialetto abruzzese, adattandolo leggermente perché risulti comprensibile: un sigaro tra le labbra, una voce profonda, una gamba puntata spavaldamente su una sedia, un discorso intervallato da incomprensibili imprecazioni. Questo racconto ha della fiaba anche le ripetizioni, come il modo sempre uguale che ha Paolo di richiamare il proprio cane battendosi una mano sulla coscia e ripetendo: “Orso, andiamo!”. E infine ha della fiaba la presenza di personaggi archetipici. Simone rappresenta la vitalità infantile, quella curiosità fremente che ci aspettiamo dall’infanzia; Paolo è la figura positiva, l’adulto dal cuore buono, paziente e appassionato, con il desiderio di cambiare il mondo; gli abitanti del villaggio sono tutti raccolti nella figura del cacciatore crudele, descritto esattamente come la nostra immaginazione potrebbe figurarsi una persona losca e pericolosa: un fucile sempre in spalla, un lungo cappotto che aprendosi lascia intravedere le munizioni e un coltello, di poche parole, sguardo indecifrabile. Non parla in dialetto lui, non come gli altri, sembra davvero arrivare da un altro mondo, dai nostri peggiori incubi. A rendere il racconto vicino alla nostra realtà, trattandosi di fatto di una storia di pochi decenni fa, sebbene non venga esplicitato, è la tematica ormai nota dell’uomo in competizione con la natura, della sua incapacità di percepirsi insieme a tutti gli altri esseri viventi. Una storia emozionante, che D’Amico racconta con la partecipazione di chi abita quei luoghi, in cui conduce anche l’attività di guida ambientale. E non solo.

Pandemie in scena
Sandro Fabiani del Teatro Giovani Pirata, mette in scena davanti ad alcune classi di una scuola secondaria di secondo grado lo spettacolo Goccia dopo goccia scritto da Francesco Niccolini e diretto da Simone Guerro, in cui il tema ambientalista irrompe riportandoci a un recentissimo periodo storico, quello pandemico. Ma si parte da lontano, dalle cause originarie di una tragedia prevedibile.
Una mappamondo enorme pende sulla testa del narratore, che lo utilizza per mostrare le grandi distanze che un virus può percorrere, passeggero di un essere vivente inconsapevole. E quando questo accade, quelle stesse distanze, in un mondo che corre veloce, risultano davvero irrilevanti. Sono questi i momenti in cui ci si accorge che abitiamo tutti la stessa casa, una dimora, in fondo, neppure troppo grande, della quale siamo tutti ugualmente responsabili. Cambiamento climatico, impatto ambientale, virus, salto di specie, un quadro tremendo della nostra condizione attuale. Poi arriva inaspettato uno spiraglio di luce, che porta il nome di Carlo Urbani, l’uomo che riuscì a identificare e classificare una polmonite atipica, chiamata SARS, e ad attivare i protocolli necessari per bloccarne la diffusione. Nel mondo ci furono molte vittime, ma grazie a Urbani molte meno di quelle che ci sarebbero state senza la sua ostinata lotta. Siamo nel 2003 e in Italia l’unica vittima fu proprio lui. Una storia che a sentirne parlare oggi, pur avendo vissuto lo sgomento della pandemia, sembra irreale. Ma è anche la storia di come un singolo uomo possa cambiare il corso degli eventi e che ci interroga su quanto, allora, potremmo fare tutti insieme.
Questo spettacolo, a cui si accompagna anche una graphic novel edita da BeccoGiallo, di Francesco Niccolini e con le illustrazioni di Sara Vincenzi, attiva una riflessione sulla nostra coscienza collettiva e fa luce su una delle tante figure spesso dimenticate che silenziosamente e per puro desiderio di mettersi al servizio dell’altro sono riusciti a fare la differenza.

Resistere alla fine del mondo
Il 15 febbraio chiude il festival il grande scrittore francese Daniel Pennac, che ha regalato parole importantissime sulla necessità di una pedagogia attiva, sulle modalità di trasmissione dei saperi ai più giovani e sull’importanza della lettura non come fine in sé, ma come possibilità di ispirazione attraverso i personaggi delle storie, che diventano per il lettore amici per la vita. Che cosa dobbiamo trasmettere, in fondo, alle nuove generazioni, in un momento in cui il mondo crolla su se stesso e non certo per colpa loro? La capacità di resistere. E si resiste solo attraverso la creatività, afferma con sicurezza Pennac, attraverso la capacità di scrivere nuove storie proprio quando tutto sembra perduto.