Lo cunto de li cunti di Basile, che racconta le avventure domestiche di due sorelle che da sempre vivono insieme, alle prese con un principe invaghitosi del dolce canto della più “giovane” e che pur senza averla mai vista le chiede una notte insieme proponendole di sposarla. Emma Dante propone un teatro essenziale, di corpi che vecchi raccontano il vizio di una bellezza impossibile ma indispensabile per una vita nuova, di una volontà che non si arrende all’evidenza e a cui non resta che continuare a sucare. Occhio non vede, cuore non duole: il sogno dura solo finchè non si getta luce su quelle rughe che pur dietro la schiena restano un nodo alla gola. Proprio le luci sono le protagoniste dello spettacolo che ora sublimano ora appesantiscono i corpi degli attori: Bestie di scena (titolo della penultima fatica della regista palermitana ove riflette sulla condizione dell’istrione e dell’uomo) capaci di cambiare maschera con gesti semplici ma mai nascosti, gesti che ritornano uguali all’inizio e alla fine dello spettacolo con significati diversi, pronti all’amore prima e alla morte dopo, rispetto ai quali le parole non sono che coronamento barocco, espressione di un ritmo incalzante che non lascia tregua. Il testo è stato prima ripreso dalla Dante per poi essere «riscritto sui corpi degli attori» (come lei stessa ha affermato), in un dialetto napoletano che produce modi e forme espressamente teatrali tra lazzi della commedia dell’arte e dialoghi shakespeariani. «Per arrivare al silenzio c’è bisogno della musica»: attraverso la musica della tradizione italiana la regista crea picchi di umorismo quasi pirandelliano (memorabile il mimo della notte di fuoco sulle note di Mambo Italiano) e commozione (la vecchia minore si trasforma in una reginella sulle note dell’omonima canzone di Murolo) che conducono lo spettatore a partecipare delle vicende narrate fino ad avvertire sulla propria pelle la lama che, tremante, pone fine al gioco tra realtà e finzione e spezza le luci facendo calare il buio della triste verità posta in forma di domanda: se bella vorrai apparire quanto sei disposta a soffrire? Una risposta viene forse suggerita dal vecchio di Pino Daniele che «cammina, cammina e chiagnenno aspetta ‘a morte».
Gaetano Palermo
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.