Romeo e Giulietta perché l’opera non sarebbe mai uscita da nessuna casa diroccata della Londra del Seicento; non diremmo più lo stupido scioglilingua «Eschilo per le scale Euripide perché qui si Sofocle», inventato per ricordare i tre grandi poeti tragici, perché essi sarebbero stati dimenticati; e non avremmo un teatro, una tradizione teatrale così potente da riecheggiare sui palchi contemporanei. La tradizione drammaturgica ha lasciato molto su cui lavorare, e tuttora una parte degli spettacoli presentati nelle stagioni teatrali si basa su drammaturgie “classiche”. Analizziamo quella bolognese di quest’anno (2017/2018), degli spettacoli de l’Arena del Sole. In totale, solo all’Arena (quindi senza contare il Teatro delle Moline), sono stati rappresentati 40 spettacoli. Di questi 40 titoli, 3 erano basati su testi “classici” greci (Medea, Antigone e Emone. La traggedia de Antigone seconno lo cunto de lo innamurato); 1 su Shakespeare (Otello); 1 su un romanzo di Umberto Eco (Il nome della rosa). A essi si aggiungono due spettacoli che hanno preso in prestito i personaggi di testi del teatro “classico” e li hanno trasportati in una situazione contemporanea vicina al pubblico, diventando così “drammaturgia moderna” (mi riferisco a Il giardino dei ciliegi: trent’anni di felicità in comodato d’uso e a Amleto Take Away). Sulla totalità della stagione, quindi, circa un quarto del totale aveva nel titolo o come protagoniste storie già conosciute, o almeno sentite dire. Ciò porta con sé due conseguenze: il lato positivo è che lo spettatore può avere in parte certezza di quello che vedrà sul palco; quello negativo è che così facendo le idee innovative perdono terreno. Ma non mancano di certo le opportunità. Ogni anno viene dato spazio alle nuove drammaturgie con riconoscimenti e concorsi. A livello mondiale, la drammaturgia è considerata e premiata con premi quali il Premio Pulitzer alla drammaturgia e un Tony Award per i libretti dei musical candidati. Anche in Italia ci sono riconoscimenti che premiano le migliori drammaturgie. Quest’anno, in occasione di un incontro universitario, mi è stata offerta l’opportunità di partecipare a un laboratorio di analisi del testo drammaturgico di due giorni, presso la scuola di teatro “Iolanda Gazzerro” a Modena, dove ho avuto l’occasione di conoscere il Premio Riccione Teatro e le successive sottocategorie quali il Premio Tondelli, la menzione speciale Franco Quadri e il Premio speciale per l’innovazione drammaturgica.
Il nome della rosa
L’esperienza mi ha messa per la prima volta davanti a testi drammaturgici nuovi, che non fossero già stati letti e riletti da studiosi o filologi. I testi in questione appartenevano ai vincitori del premio Riccione del 2017: Vitaliano Trevisan, Il delitto del particolare; Pier Lorenzo Pisano, Per il tuo bene e Fabio Massimo Franceschelli, Damn and Jammed. Il Premio Riccione per il Teatro, nasce nel 1947 ed è il più autorevole premio per gli autori teatrali italiani. Nato su iniziativa dell’allora sindaco di Riccione Gianni Quondamatteo e da Paolo Bignami, pittore e scenografo bolognese, il Premio testimoniava l’ansia di rinnovamento che animava la cultura del dopoguerra. Durante la prima edizione venne assegnato a un allora giovane Italo Calvino il premio della sezione letteraria per Il sentiero dei nidi di ragno. L’anno dopo la sezione scrittori fu eliminata, diventando esclusivamente per gli scrittori di teatro. Nelle giurie successive intervennero studiosi e critici di fama: tra i giurati del primo quindicennio si trovano i nomi di Vito Pandolfi, Massimo Bontempelli, Ivo Chiesa, Ezio Raimondi. Nel 1982 il comitato promotore del “nuovo” Premio Riccione contattò Franco Quadri, uomo di teatro lontano dalle convenzioni della prosa “tradizionale”, per avvalersi di un autorevole e innovativo contributo alla rifondazione del premio. Franco Quadri assunse la direzione artistica del Premio dal 1983 al 1991. Nel lungo ciclo segnato dalla collaborazione con il critico, l’apertura al nuovo e la sua capacità di intercettare, valorizzare e portare in scena le voci innovative ed “eccentriche” del teatro contemporaneo hanno dato frutti straordinari. Negli anni, inoltre, il Premio Riccione ha promosso i testi premiati e segnalati presso i maggiori teatri e compagnie italiane, seguendo il loro passaggio dalla pagina alla scena grazie a uno specifico premio di produzione. Esiste una speciale menzione dal 1999 per gli autori under-30: il Premio Tondelli. Gli autori che hanno vinto negli anni questi premi sono stati riconosciuti nella sfera teatrale: l’importante rassegna organizzata dalla Biennale Teatro di Venezia nel 2004 era costituita quasi interamente di giovani autori scoperti dal Premio Riccione o dal Premio Tondelli. Tutti i vincitori sono stati messi in scena da importanti teatri e festival italiani. Alcuni vincitori, come Fausto Paravidino (vincitore del 1999), hanno anche collaborato con teatri internazionali, in particolare a Londra con il Royal Court e il National Theatre. La drammaturgia quindi non è “roba vecchia”: è un’arte anch’essa in continuo sviluppo e crescita, che costruisce gli immaginari che andiamo a vedere a teatro. È grazie a lei certo se esiste Amleto o Sei personaggi in cerca d’autore, ma è anche vero che senza persone amanti di teatro, che ogni anno si recano curiosi di scoprire spettacoli nuovi o di rivedere le classiche storie, la drammaturgia ora sarebbe solo un “passatempo” praticato dagli scrittori che non vogliono scrivere romanzi.Eleonora Poli
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.