Vestite con pantaloni neri e canotte bianche sette attrici-danzatrici irrompono in scena. Entrano ed escono più volte, sistemando degli oggetti sul palcoscenico, fino a disporsi una di fianco all’altra. Rivolte al pubblico iniziano a saltellare, continuamente, portando fino allo sfinimento i loro fragili corpi. Una si accascia a terra, le altre continuano. Poi, a turno, tutte insieme crollano come sfinite ai piedi delle altre. Con questa sorta di esercizo-rito ha inizio lo spettacolo Drage/Drage (Expensive/Darlings) di Maja Delak, presentato per la prima volta in Italia durante il festival di teatro contemporaneo Omsissis8. In questa nuova produzione, nata in collaborazione con l’Emanat Institute e con l’associazione City of Women, la coreografa analizza criticamente la situazione della danza contemporanea in Slovenia: quest’arte, infatti, si trova in una condizione di subordinazione e rispecchia un’emarginazione non dissimile a quella della donna nell’intera società. Attraverso Drage/Drage la coreografa porta avanti anche una ricerca di nuovi luoghi per il movimento e nuovi spazi per il pensiero: le danzatrici vengono presentate agli occhi del pubblico anche attraverso otto monitor sistemati sul proscenio. Questi ultimi sono collegati a telecamere che riprendono dal vivo i loro movimenti sottolineandone i volti e alcune parti del corpo. Gli occhi, le mani, i piedi presi in primo piano vanno ad aumentare le particolari individualità delle danzatrici, rese fisicamente anonime da quel movimento standardizzato. Una di loro si distacca dalla fila e va a indossare un abito bianco con delle ali appese: inizia così a danzare, con passi ritmati classicamente, mentre le altre cinque si spostano in modo convulso e quasi isterico. Muovendosi in questa sorta di stanza sotto sorveglianza ogni performer va a incarnare diversi ruoli: dall’oscura strega-vampiro al fragile angelo, dal toreador spagnolo in abito dorato all’icona di Adriano Celentano, interpretato dalla stessa Maja Delak. In mezzo a loro si muove una sorta di timorosa traduttrice che accompagna le figure nelle transizioni fra spazio e parole. La performance raggiunge il suo apice nel momento in cui le danzatrici e la stessa traduttrice prendono in pugno alcune armi e le sollevano puntandole violentemente contro il pubblico. Il momento successivo vede il loro ultimo gesto che si scioglie in una coreografia animata dalla musica del film Barbarella. Drage/Drage, una delle più significative rappresentazioni di questi ultimi anni in Slovenia, ci dice sia dell’individualità di artiste che tentano di uscire da uno stato di oblio artistico sia di quella di donne che indossano ironicamente i panni di icone della società moderna.
di Francesca Giuliani
(fotografia di Nada Zgank)
L'autore
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.