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Dostoevskij a teatro for dummies, prima di Delitto e castigo

di Altre Velocità

I fratelli Karamazov possa essere per un uomo di teatro una sfida avvincente sia per l’importanza dei temi che il romanzo dostoevskiano affronta, sia per i modi radicali e espliciti con cui problemi esistenziali fondamentali – e abitualmente rimossi dalla nostra cultura – come la paura della morte, le conseguenze dell’azione o la fede – vi sono messi in discussione». Luca Ronconi «La scrittura bruciante di Dostoevskij, la potenza dei suoi personaggi e la natura estrema delle situazioni che propone, come materia di azione scenica, rappresentano una forte tentazione per coloro che lavorano nel teatro». Thierry Salmon [caption id="attachment_1497" align="alignnone" width="850"] Karamazov di César Brie[/caption] Le dichiarazioni dei due grandi maestri del Novecento mettono in luce le ragioni principali per le quali i registi decidono di confrontarsi con Dostoevskij: la vastità e profondità dei temi trattati, le relazioni e la rilevanza psicologica dei personaggi, la portata filosofica dell’opera. Non mancano però le difficoltà, per chi si cimenti in tale impresa: spesso i dialoghi sono dei “monologhi travestiti” e i personaggi non adottano registri linguistici differenti, ma si uniformano su quello dell’autore. Ad ogni modo, dando un rapido sguardo alla scena italiana degli ultimi trent’anni, notiamo una folta presenza di spettacoli tratti da titoli dostoevskiani, in molti casi fedeli trasposizioni, in altri lavori più ibridi. I fratelli Karamazov è fra i testi più rappresentati, oltre alla già citata opera di Ronconi del 1998 (www.trax.it/olivieropdp), da molti critici ritenuto l’edizione teatrale più riuscita di un romanzo di Dostoevskij, possiamo citare le versioni di César Brie (www.sipario.it) e Guido De Monticelli (paneacquaculture.net) nel 2012, l’una incentrata più sulla trama, l’altra che ne mette in luce maggiormente il pensiero e la riflessione. Thierry Salmon nel 1991 dedica a Dostoevskij il progetto Tre studi per i Demoni, realizzato con attori belgi, francesi, russi e italiani, focalizzato sui personaggi del romanzo che offrivano «una possibilità di rappresentare quella particolare condizione umana che si nutre della tragedia di una fede senza speranza e di una violenza che distrugge i suoi protagonisti» e che metteva a fuoco soprattutto il confronto tra varie culture presente sia nel romanzo, sia nell’ensemble teatrale (www.thierrysalmon.org).   [caption id="attachment_1496" align="aligncenter" width="690"] La leggenda del grande inquisitore di Babina/Orsini[/caption] Eimuntas Nekrosius nel 2013 presenta al Teatro Biondo di Palermo Idiotas, spettacolo impegnativo e lungo (cinque ore di durata), caratterizzato dal lavoro fisico, quasi ginnico degli attori (palco-reale-palermo.blogautore.repubblica.it), mentre Umberto Orsini nel 2014, per la regia di Pietro Babina, mette in scena La leggenda del grande inquisitore (da lui interpretato precedentemente in uno sceneggiato tv nel 1969), rendendolo contemporaneo e ambientandolo «in una Ted Conference, sul Web, sito dove ciascuno può dire qualcosa ma in 18 minuti» (milano.corriere.it). Non mancano versioni di Delitto e castigo: Glauco Mauri nel 2005 (Teatro Comunale Chiabrera, Savona; (www.sipario.it ), Ippolito Dell’Anna e Nino Campisi nel 2016, Alberto Oliva nel 2017 (Teatro Franco Parenti, Milano). E proprio in una nuova produzione di Ert, ispirata a questo capolavoro dostoevskiano, vedremo il regista russo Konstantin Bogomolov all’Arena del Sole dal 24 al 28 maggio. Bogomolov dichiara che riportare in scena questo romanzo di fine Ottocento «significa innanzitutto cercare il modo di rapportarsi a un materiale fortemente arcaico. Scoprire come padroneggiare l’inattualità del tema trattato» La difficoltà più grande, però, forse rimane quella di adattare al teatro un testo letterario che non nasce per il palcoscenico. Condensare in poche ore di spettacolo un romanzo di centinaia di pagine di uno dei padri della letteratura russa certamente comporta il rischio di perdere elementi importanti e di risultare superficiale rispetto all’opera originale, ma in questo consiste del resto la «sfida avvincente» di cui parla Ronconi.  

Marta Buggio

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