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Dentro il circo contemporaneo: appunti sul Dinamico Festival a Reggio Emilia

di Francesca d’Arielli

Ad accogliere coloro che si ritrovano a passeggiare in uno dei più noti parchi di Reggio Emilia c’è lui: un grosso clown col naso a punta, sorridente e ammiccante, parrucca verde ed espressione che gioca su quel sottilissimo limite che separa e a volte confonde il comico col malinconico, dipinto su una vecchia roulotte adibita a biglietteria. “Venghino signori, venghino!” sembra già di sentire, insieme a passi accelerati ed emozionati di bambini vivaci e a quelli più disillusi di adulti costretti all’ennesimo tour de force per favorire quelle innocenti attività ludiche. Eppure, basterà entrare in uno di quei tendoni, così simili a quelli vivi nell’immaginario di tutti noi, per accorgersi subito che tutta quella dimensione fanciullesca non è altro che una patina.

Dal 6 al 15 e poi il 20-21 e il 28-29 settembre, a Reggio Emilia per l’appunto, precisamente nell’elegante Parco del Popolo, tesoriere di diversi alberi secolari, si è svolta la quattordicesima edizione del Dinamico Festival, un’occasione non solo per la cittadinanza, ma anche e soprattutto per amanti del circo, di osservare e toccare con mano alcuni dei più significativi spettacoli sulla scena circense nazionale e internazionale. Anno dopo anno infatti, come ci rivela Matteo Giovanardi, Project Manager dell’associazione Dinamica, non solo è stato possibile ampliare l’offerta, ma anche osservare come sia cambiato il rapporto tra pubblico e festival: nel corso delle edizioni la manifestazione reggiana ha potuto vantare una partecipazione sempre più numerosa e stratificata.

«Nel corso del tempo – racconta Giovanardi – ci siamo resi conto che le persone inizialmente erano attratte dalle bancarelle di cibo e bevande biologiche che operano sul territorio, oppure venivano per gli spettacoli di musica e per i concerti, mentre guardavano al circo come a qualcosa destinato unicamente ai bambini. Attraverso alcune strategie di comunicazione mirate e dando un prezzo allo spettacolo abbiamo visto, pian piano, che la tipologia di pubblico stava cambiando e siamo arrivati al target dei ventenni e trentenni. Non solo, questi giovani hanno poi capito che il circo è molto più di ciò che avrebbero immaginato».

Certamente, la rivalutazione da parte dei più non ha potuto prescindere dall’alta qualità delle proposte portate dal Dinamico che, sotto la direzione artistica di Elena Burani presente dalla prima edizione, quest’anno ha guardato più da vicino alla scena nazionale. Per Altre Velocità, abbiamo seguito le giornate del 14 e del 15 settembre, con il privilegio di poter vedere gli spettacoli e sbirciare la macchina che mettendosi in moto permette di realizzare tutto ciò.

Sabato, 14 settembre 2024

Ore 16

È pomeriggio e lo spettacolo di Botanica Queer sta per cominciare. Mi vengono date delle cuffie, mi metto in fila e aspetto, insieme alle altre persone, che lo spettacolo inizi. Siamo fermi per un po’, curiosi, quando all’improvviso arriva lei, Demetra, come scopriremo più tardi chiamarsi, una drag queen interpretata da Ulisse Romanò, performer della compagnia Nina’s Drag Queens con un passato da biologo.

Appariscente, colorata e simile a un fiore, Demetra ci accompagna per i viali del parco e, tra una riflessione sulla botanica e un pezzo musicale nelle cuffie, ci permette di addentrarci in un universo vegetale con eleganza e ironia. Fin dall’inizio appare chiaro lo scopo della performance, che a tratti si rivela forse un po’ troppo didascalico: trovare un punto di contatto tra il comportamento degli esseri vegetali e quelli umani, sotto un’ottica, chiaramente, queer. «Queer è ciò che è stravagante, eccentrico. I fiori sono colorati perché vogliono essere attraenti, perché vogliono farsi notare. I fiori sono queer!». Questo il sillogismo più volte ribadito, con esempi di volta in volta attinti alle più disparate caratteristiche delle piante.

Ciò che più colpisce dello spettacolo non è tanto la provocazione giocosa tra i due mondi, animale e vegetale, bensì la capacità di Demetra di radunare un certo numero di persone, di portarle in diverse aree della città e, attraverso il semplice atto del camminare, allargare l’orizzonte dello spazio scenico, rendendo unica l’esibizione che, è chiaro, in un altro spazio non potrebbe essere uguale. Infine c’è la volontà di riappropriarsi del parco, del quartiere, delle vie centrali, uscendo dunque dalla marginalità dell’eccezione per rivendicare l’appartenenza politica di quei territori. Al centro quindi vi è sì la parola, sì l’ascolto, ma ancor di più il corpo che viene trascinato dal suono col fine di compiere piccoli atti di ribellione. O meglio, sono i tanti corpi di persone unite dall’ascolto di musiche di larga popolarità, come Segnali di vita di Battiato, a marciare, ricalcando concretamente l’azione politica centrale e fondativa delle manifestazioni pride attraverso il semplice ma potentissimo atto del camminare: uniti, colorati e, per l’appunto, queer.

Ore 18

Con ancora la musica nelle orecchie lascio l’arguta Demetra per ritrovare, nella sua versione borghese, il talentuoso Ulisse Romanò pronto a dialogare con il pubblico insieme a Gaia Vimercati, ricercatrice indipendente e responsabile della comunicazione dell’associazione Quattrox4, e Emanuele Regi, dottorando in Arti visive, performative e mediali presso l’Università di Bologna.

Con loro ci sono anche i performer degli spettacoli successivi: Cordata For per Bello!, Circo Zoè per Deserance e Side Kunst Cirque per Winter.

La discussione, animata con ritmo e affondi interpretativi di notevole spessore, ha fatto emergere non solo alcune delle volontà espressive dei performer ma ha anche messo in luce alcuni dei nodi teorici che più ci fanno interrogare sul circo, da critici e da spettatori. Di cosa si occupa il circo contemporaneo oggi? Che rapporti intesse con le altre forme artistiche già ampiamente canonizzate? Quali elementi ci permettono di affermare che ciò che si sta svolgendo sotto i nostri occhi è circo? Qual è la relazione per il performer tra corpo, testo e oggetto scenico? Questi alcuni dei nodi nevralgici che hanno dato input significativi alla conversazione e che hanno aperto nuovi orizzonti e scenari. Com’è facile immaginare, le risposte degli artisti sono state variegate e molteplici, cucite addosso alla propria esperienza e all’urgenza artistica da comunicare; eppure, è stato possibile trovare un terreno comune fatto di consapevolezza e desiderio di portare l’arte circense ad una nuova fase di legittimazione.

Gaia ed Emanuele hanno infine racchiuso gli aspetti caratterizzanti degli spettacoli e dei loro interpreti coniando parole provenienti da campi semantici vari ed intersezionali, tra musica, danza, teatro e circo, col desiderio di abbattere i limiti di una terminologia rigida nel proprio assetto ontologico, per approdare a un nuovo linguaggio accogliente e in via di definizione. Le parole scelte sono state ECOIRONICO, per Botanica Queer, SUPERSOMATISMO per Bello! e CIRCOSPETTRO per Winter. Se siete curiosi di approfondire i temi dietro a questi neologismi e scoprire l’esistenza di un intero nuovo glossario in via di definizione, vi rimando a (Per)formare parole.

Ore 20:30

Finalmente, e un po’ dando ascolto alla bambina che è in me e che subito ha pensato al grande tendone che si vede nel cartone d’animazione Dumbo della Disney, entro nello spazio in cui di lì a poco si sarebbe svolto Bello!, spettacolo di una forte carica corporea che travolge, così come sono travolti i corpi degli artisti sul palco. Un uomo si guarda attorno, confuso, si domanda perché le persone aspettino in fila, ordinatamente, come se lui stesso non fosse un uomo, come se fosse un alieno precipitato in uno strano universo. Eppure sono gli “altri umani” le figure che sembrano alienate, che rispondono alla confusione dell’uomo contrapponendogli la loro sicurezza, l’audacia del movimento che come un’onda agitata soffoca il malcapitato, l’estraneo. È una lotta impari perché, dopo aver annaspato durante il nubifragio di carne, l’uomo che ci ha accolti sul palco alla fine soccombe e si lascia coinvolgere dai gesti centripeti degli altri: ne risulta che adesso non c’è più solo un uomo sulla scena, non ci sono nemmeno tanti individui a sé stanti: c’è una moltitudine di corpi a farsi unico, solo.

Nel momento in cui l’uomo cede, la narrazione si capovolge: gli abiti, dalle tonalità del beige, si fanno eccentrici, così come le luci e le musiche, che riproducono uno scenario simile a quello di una discoteca: i membri della compagnia sfilano indossando maschere carnevalesche, irrisorie, alcuni escono anche nudi. C’è divertimento, c’è gioia, ma c’è anche contrasto, lotta. Fino all’ultimo soffio, quando tutti indossano un tutù rosa e, silenziosamente, escono di scena, per poi tornare di nuovo in fila, di nuovo grigi, di nuovo anonimi.

Il sogno è finito, la festa è finita. Non si è una moltitudine, si è soli.

Ore 22

Ultimo spettacolo della serata è Winter, della compagnia Side Kunst Cirque. Anche qui, si entra dentro un grande tendone ma l’atmosfera, lo si percepisce subito, è molto diversa dalla precedente: l’ambiente è cupo, le poche luci sono fredde e lo spazio scenico è arredato da una statua greca, un pianoforte, un ritratto femminile, una porta. Quattro i performer in scena: caricaturali senza mai essere sopra le righe, versatili, abili trasformisti, ognuno di loro porta sul palco una notevole dose di carisma, riuscendo a creare nelle interazioni tra loro un godibilissimo equilibrio di atmosfere diverse, tra comico, ecoansia, abilità circensi fino a lievi tocchi di horror e suspence.

Nella volontà della compagnia c’è l’idea di far convergere tutte le arti nel loro campo espressivo, e così tessono uno spettacolo complesso, stratificato, nel quale lo spettatore coglie diversi aspetti ma rischia di trovarsi confuso, continuamente sorpreso e strattonato da nuovi stimoli e impreviste sensazioni. Persino il finale, metateatrale, vuole collocarsi al di sopra dei limiti del normato, e lo fa con uno dei più classici richiami allo strappo del cielo di carta della letteratura pirandelliana, o alla fuga di Truman del celeberrimo show nel film di Peter Wier.

Rimaniamo soli in questa sala degli spiriti e quegli oggetti in scena ora acquisiscono un significato quasi sinistro, spettrale: l’assenza, la morte, la fine. Dopo tante parole e tanti gesti, le luci si spengono. È uno spettacolo sulla fine, sul nostro personale inverno. Winter.

15 settembre 2024

Osservare di mattina degli spazi animati in orari serali ha sempre un qualcosa di estremamente pacifico: così è per il Parco del Popolo, ancora addobbato di tendoni e bancarelle ma ormai assopito, soffuso, pronto a riprendere vigore di lì a qualche ora. È bello poter sbirciare artisti e operatori gironzolare per il parco, vederli provare i loro spettacoli, confrontarsi con gli altri artisti e dare vita ad una comunità dinamica e in movimento.

Ne approfitto per parlare meglio con Matteo Giovanardi e affrontare con lui alcune delle questioni su cui ci siamo interrogati maggiormente, seppur da punti di vista diversi. Dalla chiacchierata emerge chiaramente quella che è stata la spinta di Dinamico e quella che continua a essere la sua missione: allargare il bacino di utenza, portare il circo contemporaneo a una nuova consapevolezza, a una fase di affermazione e di definizione, alla cooperazione con enti ed istituzioni non sempre disponibili all’ascolto. «Spesso ci sono difficoltà pratiche, materiali, dovute a finanziamenti bloccati per il nostro settore. Gli interlocutori non hanno chiare le esigenze del nostro lavoro», spiega Matteo. «Dinamico esiste da quattordici anni. Nel corso del tempo abbiamo sperimentato e i risultati sono arrivati: abbiamo attratto e, in un certo senso, educato la cittadinanza al circo. Prima venivano per accompagnare i bambini, o attratti dai concerti, ora vengono per gli spettacoli». Gli domando allora in che modo è cambiato l’atteggiamento del pubblico. «Sicuramente, ciò che è rimasto invariato, ed è anche il bello del circo, è l’idea di festa, di stupore. A volte partono applausi in continuazione, non si rispettano i codici del teatro ma questa carica emotiva è anche la cifra del pubblico di circo, e non vogliamo che cambi. Siamo invece soddisfatti che inizino ad arrivare spettatori anche da fuori città, alcune volte anche dall’estero. Capita che chi arriva nella regione per turismo faccia una deviazione per partecipare al festival».

Concludo dunque domandandogli quali sono le sfide future del festival, domanda a cui lui risponde prontamente: «Il nostro obiettivo, che siamo certi di poter raggiungere, è diventare un punto di riferimento per il panorama nazionale e per gli artisti di circo contemporaneo. Desideriamo dialogare anche con performer internazionali e lavorare affinché essi possano trovare un pubblico italiano preparato alla loro arte. Per quanto riguarda le difficoltà che abbiamo nel panorama internazionale sono più tranquillo, perché abbiamo già concrete collaborazioni con attività all’estero e, facendo parte di Circostrada, sviluppiamo progetti assieme a loro; si tratta quindi di continuare così. A livello nazionale siamo pronti, ma dobbiamo aspettare da parte del Ministero un certo tipo di sostegno, mentre a livello locale soffriamo la mancanza di risorse e professionalità adeguatamente ricompensate e riconosciute».

A breve ripartiranno gli spettacoli per la giornata conclusiva delle due settimane consecutive di festival, e mentre cammino per il parco ripenso alle performance viste il giorno precedente: è difficile cogliere un fil rouge nella programmazione, ma ciò che tiene insieme gli spettacoli è forse uno dei temi più caratterizzanti l’esperienza del circo nella sua storia, ovvero l’esperienza dell’extra-ordinario, appunto della festa, che però si manifesta in maniera diversa nei tre spettacoli visti.

In Botanica Queer, è Demetra stessa l’eccezione, e noi lo diventiamo con lei, ascoltandola e partecipando alla sua lezione di botanica e queer culture: dea della Natura, fuori dal comune, eccentrica, appunto, guida la sua spedizione verso nuove forme di consapevolezza e lo fa aprendo uno spiraglio di luce e conoscenza sulle relazioni tra piante e mondo queer.

Bello!, invece, in questo è più leggibile: lo spettacolo è diviso in tre tempi, una sorta di tesi, antitesi e sintesi che si risolve in un ritorno al quotidiano, rinvigorito grazie al necessario passaggio della fase del sogno e della festa, in cui tutto si fa luci, musica, colori e divertimento a tratti dissacrante.

Winter, infine, recupera il senso dello straniamento attraverso il contatto con l’oggetto (elemento, questo, che potrebbe definire e distanziare il circo dalle altre forme performative), che di volta in volta sorprende lo spettatore in un tripudio di abilità tecnica e narrativa. I colpi di scena sono continui, e non resta che riconoscere in questo gioco, in questa sorpresa, la natura archetipica del circo che nella programmazione di Dinamico festival è così visibile.

Il clown con la parrucca verde è ancora lì, gli occhi chiusi e truccati, il sorriso tirato, esagerato, ambiguo. È lui ad accogliere gli spettatori, che siano essi bambini o giovani adulti poco importa: a tutti rivolge l’invito a farsi avanti con la promessa di uno spettacolo lieto e vibrante. Le promesse non vengono tradite: i performer, ognuno col proprio linguaggio, incatenano lo sguardo degli spettatori in quello che è circo, ma un circo che non conoscono ancora, e permettono loro di vivere lo stupore incantato dell’infanzia e di svegliarli bruscamente con un ritorno alla realtà arricchito di suggestioni e nuovi incontri.

Tutte le immagini dalla pagina Facebook di Dinamico Festival

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